di Guido Salerno Aletta
Non c'è quasi niente che accomuni la crisi finanziaria in cui versa già da anni il settore immobiliare cinese con la crisi economica delle famiglie americane che determinò il fallimento della Lehman Brothers nel settembre del 2008, scatenando conseguentemente il caos sui mercati finanziari di mezzo mondo.
In Cina, si è determinata una bolla speculativa: programmi di sviluppo immobiliare enormemente ambiziosi, con milioni di vani d'abitazione e decine di migliaia di immobili ad uso commerciale ancora solo progettati, oltre a quelli in via di realizzazione, hanno attirato l'interesse crescente degli investitori interni ed internazionali.
Gli investitori, a fronte del finanziamento versato agli sviluppatori, usando risorse proprie o spesso prese a prestito, contavano sulla futura vendita a prezzi estremamente vantaggiosi delle costruzioni una volta che fossero state realizzate: la crescita continua dei prezzi degli immobili avrebbe consentito loro guadagni sicuri ed enormi.
Da una parte, sul mercato interno cinese alcuni operatori, soprattutto soggetti privati già molto abbienti, hanno comprato direttamente "sulla carta" immobili di prestigio o centri commerciali ancora da costruire, anticipando percentuali molto elevate sul prezzo, nella convinzione di poterli rivendere una volta realizzati ad un prezzo maggiorato, tale da consentire un ampio margine di guadagno. Molte famiglie, poi, hanno finanziato i costruttori per comprare la casa di abitazione, usando i propri risparmi.
Dall'altra parte, gli operatori stranieri hanno sottoscritto i bond da queste compagnie cinesi di sviluppo immobiliare, emessi prevalentemente sul mercato americano con la promessa di incassare tassi di interesse molto elevati, magari indebitandosi ai tassi più bassi che erano correnti sui prestiti erogati in dollari o in euro sulle piazze finanziarie occidentali per via delle politiche monetarie eccezionalmente accomodanti decisi dalle varie Banche centrali (Fed, BCE, BoE).
Taluni giganti del settore cinese delle costruzioni, come Evergrande, sono da tempo in difficoltà, in quanto non riescono a far fronte agli impegni assunti sia nei confronti dei creditori interni e dei finanziatori internazionali che degli stessi acquirenti "sulla carta": il mercato immobiliare è saturo.
Visto che non ci sono abbastanza acquirenti e che i prezzi di vendita calano rispetto alle previsioni, sono saltati tutti i piani finanziari: gli sviluppatori non hanno né le risorse necessarie per pagare le rate ai finanziatori né quelle occorrenti per completare le realizzazioni degli immobili. Pur cercando di liquidare gli asset, smembrando le società stesse o vendendo le partecipazioni azionarie in altri settori, gli incassi che ne derivano non consentono di fronteggiare gli impegni: questa è la situazione di crisi strutturale che caratterizza il mercato immobiliare cinese.
Le situazioni sono assai diverse: ci sono le famiglie cinesi che hanno versato anticipi per compare la loro prima casa usando il proprio risparmio; ci sono operatori privati sempre cinesi che hanno investito per comprare seconde o terze case da dare in affitto o da rivendere; ci sono gli investitori internazionali che hanno sottoscritto bond emessi prevalentemente sulla piazza di Wall Street.
La crisi cinese ha dunque natura finanziaria: i piani di sviluppo si sono dimostrati troppo aggressivi, ottimistici, perché hanno stimato un mercato potenziale superiore a quello reale. Questo accade sempre quando un numero troppo ampio di operatori si affolla in un singolo settore che cresce in modo assai promettente: la torta diventa più grande, ma non abbastanza grande per soddisfare gli appetiti e le scommesse di tutti.
La crisi americana del 2008 fu completamente diversa: derivò dal default delle famiglie che si erano indebitate per comprare la casa in cui abitavano, sottoscrivendo mutui senza avere il reddito sufficiente a ripagarne le rate in condizioni di tensione sui tassi. Erano i mutui concessi ai cosiddetti debitori "sub prime": le banche americane si arricchivano erogando questi mutui ad alto rischio per poi cartolarizzarli subito dopo in appositi veicoli finanziari, il cui asset era rappresentato dal valore del mutuo che era stato conferito.
Questo sistema di finanziamento dei mutui era stato denominato "originate to distribute": in pratica, le banche americane e gli altri operatori finanziari, come Lehman Brothers, erogavano i mutui alle famiglie americane per rivenderli il prima possibile all'estero. Il rischio era dunque traslato agli operatori stranieri che compravano le quote di queste MBs' (Mortgage Backed Security): le rate mensili dei mutui fronteggiavano il pagamento agli investitori degli interessi ed il rimborso delle quote di capitale.
Anche in questo caso, ci fu un elemento speculativo a determinare la bolla dei valori immobiliari: i valori delle case esistenti erano in crescita per via dello sviluppo esponenziale di questo meccanismo di finanziamento, che si alimentava erogando sempre più mutui a famiglie sempre meno abbienti. La costruzione dei nuovi immobili cresceva ad un ritmo più basso rispetto a quello di erogazione dei mutui.
Per bloccare questa dinamica dei prezzi delle case che crescevano in continuazione e soprattutto quella dei mutui concessi a creditori sempre meno affidabili, la Federal Reserve decise di aumentare i tassi di interesse, senza sosta: ma, così facendo, non bloccò solo la erogazione dei nuovi mutui ma soprattutto rese più care le rate di quelli già in corso, stipulati a tasso variabile.
In America, il valore delle case smise di crescere continuamente: coloro che si erano indebitati pensando di trovarsi con una casa di maggior valore da rivendere, cominciarono a metterle su mercato col mutuo ancora in piedi, ma senza trovare acquirenti visto che i tassi erano in crescita. Molte famiglie cominciarono a non pagare le rate e ad abbandonare le case comprate: visto che l'acquisto era stato finanziato integralmente dal mutuo bancario, non perdevano neanche un centesimo. Avrebbero affittato un alloggio assai più piccolo, risparmiando.
In America, fu la mancanza di risparmio interno delle famiglie ad innescare un modello malsano di erogazione dei mutui e la crescita del mercato e dei valori immobiliari: il rialzo dei tassi di interesse, deciso dalla Fed per bloccare la speculazione finanziaria che si era sviluppata ed i rischi per la stabilità del sistema finanziario che stava determinando, portò al default delle famiglie che non erano in grado di pagare mutui più cari. Mentre gli investitori stranieri, che avevano comprato quote delle MBs' ebbero perdite enormi, il mercato interbancario si bloccò perché nessuno si fidava di erogare prestiti anche di 24 ore a chi chiedeva liquidità: avrebbe potuto avere in portafoglio titoli illiquidi e senza valore.
La Lehman Brothers, che era un operatore finanziario e non uno sviluppatore immobiliare, fallì perché aveva ancora molte quote di MBs' in portafoglio: non era stata abbastanza lesta a rivenderle all'estero, prima del default delle famiglie americane meno abbienti.
La differenza tra le due speculazioni in campo immobiliare è palese.
In America, dove c'è poco risparmio interno, furono indebitate le famiglie sempre meno abbienti, illudendo gli investitori finanziari stranieri che sarebbero state comunque in grado di onorare le rate dei mutui. Il rialzo dei tassi di interesse fece da detonatore.
In Cina, dove al contrario c'è un risparmio interno enorme, il sistema bancario e finanziario interno, sia quello ufficiale che quello ombra, ha pensato di cavalcare la crescita del settore immobiliare per fare enormi profitti. Gli investitori internazionali si sono aggregati a loro volta, approfittando della immensa liquidità immessa dalle Banche centrali e dai tassi a zero.
Il rialzo dei tassi di interesse e la riduzione della liquidità da parte della Fed e della Bce, oltre che dalla BoE, mette in difficoltà gli operatori stranieri, soprattutto quelli che si sono indebitati per avventurarsi nel settore immobiliare in Cina: si devono preparare ad una ristrutturazione dei debiti degli sviluppatori immobiliari cinesi.
La riduzione dei tassi di interesse e la immissione di liquidità, decise dalla PBoC, favoriscono sul piano interno il riequilibrio dei piani finanziari degli sviluppatori immobiliari, il completamento delle costruzioni in corso e l'acquisto degli immobili già realizzati.
La prospettiva potrebbe essere quella trasformare il colossale risparmio precauzionale detenuto dalle famiglie cinesi in asset immobiliari, sgravandone così le banche e gli investitori finanziari che lo intermediano, riducendo le perdite operative ed i write-down del valore gli impieghi. La Cina eviterebbe così la deflazione decennale che colpì l'economia giapponese dopo il crollo del Nikkei nel 1991, causato dallo scoppio della bolla di valori immobiliari ed azionari su cui si era riversato l'ingente surplus commerciale con l'estero maturato a partire dal 1986.
Da grandi risparmiatori, i cinesi diventerebbero un popolo di piccoli proprietari: questo assicurerebbe loro maggiore serenità, facendo aumentare i consumi.
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