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27/08/2023

Viaggio nel paese delle meraviglie di Francesco Lollobrigida

Se Francesco Lollobrigida non esistesse, bisognerebbe inventarlo. E, a pensarci bene, nel paese che sulla commedia ha sempre investito le sue energie migliori, è quasi assurdo che nessuno abbia mai scritto un personaggio come il nostro ministro dell’Agricoltura.

Non è solo – o non è tanto – la sua incredibile propensione alle gaffe e alle uscite imbarazzanti. Come non è solo – o non è tanto – il suo albero genealogico intricato come quello di un nobile inglese.

Né può essere solo – né può essere tanto – la sua storia politica, tutta consumata nel solco della destra postfascista laziale – lui mozione Storace – sin da quando era studente e lo chiamavano “Beautiful” per i tratti gentili del suo viso (lui la butta più sulla versione Die Hard: lo chiamavano così per confondere i compagni intenzionati a picchiarlo).

È tutto insieme, quindi molto di più. L’ultima sparata è quella sui poveri che mangiano meglio dei ricchi perché hanno rapporti più vicini con i produttori diretti di roba buona e sana.

L’Ansa, curiosamente, racconta l’episodio specificando che la frase va inserita «in un contesto più ampio», un atto di clemenza in un’epoca in cui ai politici non se ne lascia cadere mezza.

Del resto, se Lollobrigida fosse un personaggio dei fumetti sarebbe Gastone, il cugino fortunato di Paperino, quello che persino quando inciampa trova una moneta d’oro per terra.

Insomma, abbiamo fatto tantissima ironia sul passato da steward di Luigi Di Maio e non siamo riusciti a trovare manco mezza battuta sulla laurea di Lollobrigida, ottenuta all’università telematica Niccolò Cusano: un dettaglio che in tempi più felici sarebbe stato la gioia degli autori satirici.

È forse in questo contesto, di certo più ampio, che vanno collocate le altre uscite a vuoto del ministro: dalle varie sulla sostituzione etnica alla polemica sulla parola «razza» nella Costituzione, fino a quelle un po’ più gravi, tipo quando il suo ministero aveva assegnato con un bando 19 milioni di euro a un imprenditore coinvolto in un’inchiesta per truffa.

Ed è invece nel contesto della politica che bisogna indagare suoi suoi rapporti familiari: Lollobrigida – peraltro parente alla lontana di Gina, «la» Lollobrigida: il bisnonno di lui era il fratello del nonno di lei – è il “cognato d’Italia”, cioè il compagno (pardon…) di Arianna Meloni, sorella di Giorgia e adesso responsabile della segreteria politica del partito.

A prescindere da tutte le dietrologie del caso, parliamo di un fatto naturale: si tratta di persone che fanno politica insieme più o meno dall’alba dei tempi e che, come spesso accade, talvolta finiscono per innamorarsi, sposarsi, fare figli.

Sull’opportunità di mettere su famiglia e piazzarla in giro per ministeri, poi, sia il lettore a farsi una sua idea.

Qualche mese fa, però, fu proprio la famiglia a rivelarsi un bel problema per Lollobrigida, sua moglie e sua cognata. L’ex deputata del Movimento Cinque Stelle poi passata a Fratelli d’Italia Rachele Silvestri, con una lettera al Corriere della Sera, confessò di aver sottoposto il proprio figlio a un test del dna per fugare ogni dubbio sulla di lui paternità.

Quali dubbi? Prima della letterina di Silvestri erano gossip che sibilavano negli ambienti politici di destra e sconosciuti al pubblico. Dopo tutti i giornali si sono tuffati a pesce sulla storia ed è venuto fuori che erano proprio i parlamentari di Fratelli d’Italia ad alimentare la voce che il papà del figlio di Silvestri fosse Lollobrigida.

Malelingue, elementi di una lotta politica che a destra si conduce così da sempre, andando sul personale, mettendo in giro voci. La calunnia, si sa, è un venticello. E ci mette un attimo a diventare uragano. Non sempre ma a volte sì. Questa volta no.

Fatto sta che, Silvestri dixit, Giorgia non ha mai voluto vedere i risultati del test del dna. In effetti, però, quel test non l’ha visto proprio nessuno e poi, come spesso accade, la questione è sfumata nella malinconia e nell’indifferenza di una classe politica che di classe proprio non ne ha.

Lollobrigida pare abbia tuonato in privato, ma in pubblico non si è mai lasciato sfuggire mezza parola. Anche perché, quando lo si vede in giro, non sembra uomo da grandi discorsi.

Sono più le foto abbracciato a caciotte e video di lui che osserva filoni di pane che trascrizioni dei suoi discorsi: chi vorrebbe vedere nero su bianco una frase come «se non devono esserci distinzioni di razza, allora la razza esiste»?.

Da ministro dell’Agricoltura – settore strategico per il governo Meloni, con tanto di riesumazione del termine «sovranità alimentare», un tempo cavallo di battaglia di no global e altermondisti e adesso simbolo di quelli che odiano il kebab e amano gli spaghetti al pomodoro – il cognato d’Italia ha stretto rapporti saldissimi con la Coldiretti, le cui convention sono ormai eventi turistici a base di stand tutti uguali, animali da pascolo e da soma esibiti per le strade, convegni contro la carne sintetica e sponsorizzazioni del McDonald’s.

Perché lui la politica la vede così: non è importante fare qualcosa o non fare niente. Né è importante essere coerenti tra ciò che si dice e ciò che si fa. Non conta nemmeno farsi parlare male dietro.

Basta farsi vedere al momento giusto dalle persone giuste. Proprio come in Beautiful.

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