Da qualche mese l’Associazione Porto Pulito Livorno è attiva sul tema dell’inquinamento atmosferico causato dai fumi navali nel porto di Livorno. Nel proprio portale possiamo leggere che l’associazione si prefigge di tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori portuali attraverso la sensibilizzazione della popolazione e delle autorità e tutte le relative azioni di mobilitazione. Nel sito possiamo ritrovare una serie di documenti, foto, programmi di iniziative che favoriscono la diffusione della consapevolezza del problema per cercare di ridurlo e superarlo. Il presidente dell’associazione è Luca Ribechini a cui abbiamo rivolto alcune domande.
Dopo questi primi mesi di lavori intensi in cui siete riusciti a ottenere una serie di documenti, foto, video e dati essenziali intorno al problema dei fumi navali, quale tipo di valutazione puoi dare del lavoro che avete fatto in termini di risultati e di consapevolezze acquisite?
Noi crediamo che il primo bilancio sia già molto positivo. Abbiamo approcciato e approfondito tematiche scientifiche e sanitarie tutt’altro che semplici, cercando di divulgarle alla cittadinanza sia sui social che attraverso sei incontri di quartiere, in presenza. Il primo passo era suscitare consapevolezza del problema, perché a Livorno sembra ancora una cosa normale che le navi “fumino”. Non c’è percezione della gravità delle emissioni in termini di effetti negativi sulla salute e sulla qualità della vita. Abbiamo provato a sollevare la questione anche tramite vari flashmob e altre iniziative di sensibilizzazione, riscuotendo qualche attenzione anche dai media. E poi si è iniziato a esercitare una pressione asfissiante verso le varie Autorità.
Quali sono i dati più importanti che avete rilevato dalle centraline che avete installato e da altre analisi effettuate?
Abbiamo installato tre centraline che rilevano il particolato PM10 e PM2,5, prodotti dalla combustione dei carburanti navali, che possono influire sul sistema respiratorio e, attraverso gli alveoli polmonari, danneggiare anche gli organi interni. Sono molto valide e visibili su web da chiunque e stanno dando evidenza del contributo del porto all’inquinamento cittadino da polveri sottili.[1] Grazie all’ultima installata, due settimane fa, siamo perfino in grado di associare i “picchi” di particolato, soprattutto PM2,5, alle singole navi in transito o agli ormeggi. Ovviamente per avere un quadro più completo degli inquinanti servirebbero strumenti più sofisticati ma costosissimi, non alla portata di un’associazione. Tuttavia, proprio nelle scorse settimane abbiamo ultimato un mese di campionamento con ricettori passivi di biossido di azoto, gas estremamente tossico e tipico delle emissioni navali. Avremo i risultati nei prossimi mesi.
Che rapporto avete instaurato con l’Autorità portuale, ARPAT, Comune e Sindaco? Vi sono stati momenti di tensione o di dialogo?
I rapporti purtroppo non sono idilliaci. Di fronte al “muro di gomma” contro cui vanno solitamente a sbattere le associazioni ambientaliste, abbiamo da subito formulato richieste specifiche e concrete, formalizzandole tramite PEC. Nessuna risposta, o quasi. L’Autorità portuale, ad esempio, deve risponderci da molti mesi circa i programmi temporali di elettrificazione delle banchine. È una soluzione spesso presentata come panacea, sulla quale esistono problemi enormi, a cominciare dalla effettiva disponibilità di energie alternative per finire con l’ostruzionismo degli armatori, che si troverebbero a sopportare maggiori costi, sia di investimento che correnti.
Al sindaco abbiamo formulato dieci domande nel febbraio scorso, anche su aspetti che dovrebbe gestire in prima persona, come quelli sanitari. E poi sul c.d. “Blue Agreement”, a Livorno ancora più fittizio che in altri porti. E sull’impatto devastante delle crociere.
Anche Arpat non brilla per spirito collaborativo, a differenza dell’esperienza di altri comitati, ad esempio con la consorella ligure Arpal.
E poi ci sono le continue sollecitazioni, non particolarmente fruttuose, alla Capitaneria e al Servizio Prevenzione dell’USL Nordovest. E sul tema enorme della Darsena Europa l’Associazione ha presentato proprie osservazioni al Ministero dell’Ambiente. Ovviamente molto critiche.
Amitav Gosh nel suo libro “La grande cecità” afferma che la crisi climatica e ambientale che stiamo vivendo è anche una crisi della cultura e pertanto dell’immaginazione. Cosa ne pensi? E come vedi l’immaginario collettivo che si respira, in tutti i sensi, a Livorno in questo momento?
Nel momento in cui abbiamo pensato di creare l’Associazione, esattamente un anno fa, ci siamo detti che iniziavamo una battaglia difficilissima. Ma il problema, a Livorno come in altre città portuali, è molto grave e qualcuno deve pur combatterla. Non siamo ovviamente una realtà connessa a forze partitiche, ma il contenuto della nostra attività è estremamente politico: l’inquinamento navale è un classico caso in cui grandi imprenditori privati – gli armatori e indirettamente i petrolieri – scaricano sulla collettività i costi sociali del loro business. Misure immediate per cominciare a ridurre la tossicità dei fumi ci sarebbero, ma andrebbero a erodere i profitti altissimi che si stanno conseguendo nel settore navale, sia per il boom delle crociere che per il trend in forte ascesa del commercio tramite container. È la solita privatizzazione dei benefici e socializzazione dei costi: da una stima formulata da un accademico [2] risulta che soltanto le crociere negli anni scorsi (2017/2018) avrebbero provocato 4 milioni di costi sociali, per lo più sanitari. Di fronte a questa situazione, l”immaginario collettivo di Livorno” segue la narrazione secondo la quale l’incremento del traffico navale porta solo benefici. Ed è una narrazione che viene dalle massime autorità locali e dai media che le sostengono. Serve invece costruire un “immaginario concreto”, in cui la città venga ripensata in funzione di una dimensione economica più vasta e articolata, nella quale il porto sia vissuto come risorsa importante, non come padrone assoluto delle dinamiche politiche e sociali.
Nel suo incredibile lavoro giornalistico sulla città di Taranto, Alessandro Leogrande ci avvertiva del pericolo del binomio posti di lavoro / ambiente sano come se fosse una contraddizione senza uscita. Queste le sue ultime parole: “Elaborare un nuovo nesso tra ambiente e città, interpretare la nuova questione operaia, disegnare un nuovo piano del lavoro, ridurre le diseguaglianze, parlare di ecologia su scala globale sono tutte facce dello stesso problema. Città per città esso andrebbe affrontato per evitare di trovarsi in un ambiente che si spegne lentamente”. Trovi un nesso con Livorno in queste parole?
Livorno, esattamente come Taranto e altre realtà (pensiamo solo alla Val d’Agri, in Basilicata) vive il ricatto fra morire di fame e morire di inquinamento. Il porto e la raffineria, con le aree inquinate circostanti tuttora da bonificare, ci collocano fra i Siti di Interesse Nazionale e Regionale in cui, statistiche alla mano, si muore di più. In questo contesto le grandi imprese e la politica compiacente tentano di dividere il fronte degli oppositori, contrapponendo occupazione e ambiente. L’obiezione che ci viene mossa più spesso è “allora volete chiudere il porto?”. Senza essere smentita da chi invece dovrebbe avere il ruolo di contemperare e difendere due diritti costituzionali come il lavoro e la salute. Noi rivendichiamo con grande forza la necessità di garantire entrambi, nello stesso percorso politico ed economico. Non a caso fra i nostri striscioni uno dei più significativi è: “Dalle navi lavoro, non veleni”. Non a caso la nostra collaborazione con i lavoratori portuali è sempre più estesa. Sono i primi a respirare veleno, i primi a dover essere tutelati. Livorno è una città malata, non solo dal punto di vista ambientale e sanitario, ma anche nei rapporti fra le varie fasce socioeconomiche e culturali, nel degrado della solidarietà e della cultura. Noi vogliamo costringere i responsabili all’“onere della prova” sulle “cose” malate che inquinano la nostra città a causa di una gestione del potere finalizzata solo al beneficio di pochi a discapito dei cittadini e in particolare dei più deboli sia economicamente che culturalmente. Noi vogliamo che le nostre centraline e la nostra denuncia portino all’“onere della prova” i fruitori del profitto e chi li difende come le amministrazioni assenti o a volte complici di interessi politici compiacenti.
I comitati cittadini spesso nascono, a volte con iniziative lodevoli, per esigenze legate alla vivibilità del quartiere o della città (degrado, traffico, parcheggi, antenne satellitari). Ma nella maggioranza dei casi i comitati rimangono fini a se stessi in quanto non contribuiscono a una reale crescita dell’insieme cittadino, privilegiando singole battaglie, spesso importanti, ma slegate da un processo politico e sociale che metta in discussione i concetti di lavoro, ambiente, reddito, partecipazione, spazio cittadino, interessi clientelari e molto altro ancora. Perché? Cosa possiamo fare ancora per questa città “che si sta spegnendo lentamente”?
È un tema importantissimo, delicato, di non facile soluzione. Si intreccia con l’egemonia culturale dominante a livello nazionale, secondo la quale il sistema economico e sociale vigente è l’unico possibile. È il T.I.N.A., il “There Is Not Alternative” di thatcheriana memoria. Livorno non fa eccezione, anzi. I comitati di quartiere si impegnano in micro-battaglie spesso del tutto legittime, ma manca la visione complessiva della città e spesso tutto si traduce nella difesa della propria particolarità rionale. E la politica locale non fa nulla per coinvolgere realmente i cittadini nel governo della città, coltivando anzi i particolarismi egoistici. La stessa istituzione dei Consigli di Zona ne è espressione. Sulle scelte complessive il mantra è “ci avete votato e adesso decidiamo noi” e i processi partecipativi previsti per varie procedure amministrative (vedi progetto Ospedale nel Parco Pertini, ma anche Piano Strutturale, Operativo, del Verde) sono sempre diretti a una mera ratifica di decisioni già prese. Il civismo, anche a Livorno, può rinascere solo attraverso una interconnessione delle tematiche ambientali e sociali, soprattutto alla luce delle devastazioni del tessuto del territorio, dell’occupazione, dei servizi pubblici. Anche in questa città ci sono espressioni cosiddette civiche che organizzano momenti di aggregazione fini a sé stessi, apparentemente utili alla socializzazione di quartiere, ma in realtà nocivi, perché spesso si traducono in salottini autoreferenziali, avulsi dal dramma collettivo che stiamo vivendo. Questa città si riaccenderà nel momento in cui le singole lotte verranno viste nella loro coerenza complessiva. La tutela dell’ambiente e del lavoro deve costituirne la base. Noi ci stiamo provando.
Note
[1] http://www.cheariatira.it/
2. Si tratta dello studio del prof. Giuseppe Tattara di Ca’ Foscari sui costi indiretti delle crociere su Livorno.
In questo caso bisogna tener conto del fatto che si tratta di dati del 2017/2018, quando ancora non vigevano i nuovi limiti sul tasso di zolfo. Quanto sopra per completezza, anche se le emissioni di biossido di zolfo sono solo una parte minore dell’inquinamento navale, dovuto principalmente a particolati e biossido di azoto. Inoltre, il prof. Tattara tiene a precisare che si tratta delle stime possibili sulla base delle informazioni messe a disposizione: ”gradirei che venisse specificato che si tratta di una stima di larga approssimazione, non avendo a disposizione il calendario degli attracchi e le permanenze x nave”. Per quanto parziale e non aggiornatissima, si tratta comunque di una fonte ufficiale e autorevole, trattandosi del rapporto “Carbon Footprint” dell’Autorità Portuale.
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