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23/08/2023

La destra si spacca sul generale “machista”

In una qualche misura potrebbe aver ragione perfino Enrico Mentana che, al prolungarsi delle polemiche intorno al caso del “generale no gay”, sbuffa scrivendo: “Ma quanto tempo dovremo perdere ancora dietro il libro di un generale, gonfio dei più beceri argomenti, mille volte già sentiti, su sessualità, immigrazione e diritti civili?”

Peccato che questa insofferenza per le “farneticazioni personali” del generale Vannacci (Guido Crosetto dixit…) certifichi soltanto l’imbarazzo crescente di un certo milieu liberal-democratico per i “compari di strada” che partecipano da protagonisti al clima e alla cultura di guerra sull’onda del conflitto in Ucraina.

Ricordiamo gli spassosi (e ridicoli) reportage sul battaglione Azov, dichiaratamente nazista e ammiratore dell’ss ucraino Stepan Bandera, sverniciati come “lettori di Kant” nel fango delle trincee o nei sotterranei dell’Azovstal.

A dispetto di chi si ostina a non voler vedere “l’elefante nella stanza” il problema – gigantesco – è la pretesa dei fascisti nudi e crudi di essere legittimati a manifestarsi come tali in ogni ambito e qualsiasi sia il ruolo ricoperto. Cosa che ovviamente fa a cazzotti con la pretesa di star difendendo “i valori della democrazia”.

L’elefante è talmente ingombrante da provocare piccoli smottamenti persino dentro il governo Meloni, notoriamente guidato da nostalgici del Ventennio che però – istituzionalmente e per il quieto vivere internazionale – devono comportarsi come se (facendo finta, insomma, almeno nelle dichiarazioni pubbliche ufficiali) fossero dei “normali conservatori”.

Vanno in questa direzione le interviste poi rilasciate dal ministro delle Difesa Crosetto, attaccato da destra per aver sconfessato pubblicamente il generale dei parà: “Non ho parlato e non mi sono mosso da esponente politico, ma, trattandosi di una cosa che toccava il mio ministero, da uomo delle istituzioni”.

Traduzione: “personalmente posso anche condividere quel che Vannacci scrive, ma se parlo da ministro non posso dirlo”.

L’equilibrio, come si suol dire, su un terreno così scivoloso è sempre molto precario...

E infatti i fascisti-fascisti si son fatti subito avanti.

Quelli di Forza Nuova proponendogli una candidatura (rifiutata per evidente pochezza del proponente). Gianni Alemanno inserendolo di diritto nel suo pantheon per la costruzione di una nuova formazione politica (“la destra riparta da Vannacci”, si potrebbe dire, sulla falsariga dei mille “campioni” immaginati per far risorgere “la sinistra”).

Matteo Salvini, telefonandogli di persona, per trovare qualche voto in più – l’anno prossimo – necessario a riequilibrare il suo confronto con la Meloni.

Giovanni Donzelli, coordinatore di Fratelli d’Italia, quindi momentaneamente “capo del manipolo” che occupa i banchi di Montecitorio, probabilmente perché proprio non capisce la complessità del ruolo che la sua “capa” sta giocando sul piano nazionale e internazionale.

Si potrebbe continuare, ma non è necessario.

Il cuore del problema è infatti semplice: per dei “conservatori” si può pensare e fare quasi qualsiasi cosa, anche immonda, ma senza mettere in discussione formalmente la cornice costituzionale data (poi la si può scassare intenzionalmente, certo, con “riforme” ad hoc, ma sempre facendo finta di rispettarla sul piano delle procedure)

Per i fascisti semplici, invece, si tratta proprio di forzare quella che avvertono da sempre come una “gabbia”. Tanto più insopportabile ora, quando sono loro a “comandare”.

Non c’è insomma, nei fascisti nature, alcun senso istituzionale da rispettare, neanche più nelle dichiarazioni pubbliche.

Non si tratta però di una questione puramente ideologica. Governare un paese di questa rilevanza economica e strategica, per quanto in declino rovinoso, in un periodo di convergenza di molte crisi contemporaneamente (economica, climatica, militare), mette in sollecitazione continua le “forme” della democrazia liberale.

La “concentrazione del potere” nel governo è fenomeno ormai comune a tutti i paesi dell’area euro-atlantica, da Washington a Parigi, a Roma.

Continuare a parlare di “valori democratici” è per molti versi indispensabile (è uno degli argomenti forti della retorica guerrafondaia contro qualsiasi altro nemico, qualsiasi sia il suo regime politico ed elettorale). Ma per molti altri versi è anche contraddittorio, fino all’insostenibilità (per esempio le riforma francese delle pensioni, imposta senza il voto del Parlamento, o lo scioglimento dell’organizzazione ecologista Soulevament de la Terre, sempre a Parigi).

In questa contraddizione che si fa sempre più forte e lacerante, cosa c’è di più “semplice” che cancellare tout-court qualsiasi alchimia “democratica” e riaffermare brutalmente il grumo di militarismo, razzismo, omofobia, violenza patriarcale sintetizzato dal fascismo?

Tanto per la parvenza democratica delle decisioni basta dire, come fa anche il generale, “gli italiani la pensano come me”. Basta non chiederglielo, come per il salario minimo...

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