Le attuali autorità del Niger – il Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) formatosi dopo il colpo di Stato del 26 luglio – venerdì 25 agosto hanno chiesto la partenza entro 48 ore dell’attuale ambasciatore francese a Niamey, Sylvain Itté, comunicando che gli verranno tolte le credenziali diplomatiche.
Nella lettera al Quai d’Orsay inviata dall’attuale ministro degli esteri nigerino le autorità legittimano tale scelta a causa del «rifiuto dell’ambasciatore di rispondere all’invito del ministro» e per «altre iniziative del governo francese, contrarie agli interessi del Niger».
Il Ministero degli Esteri francese ha rigettato la richiesta affermando che «gli autori del putsch non hanno l’autorità per fare questa richiesta, e l’agrément dell’ambasciatore deriva dalle sole autorità nigerine legittimamente elette».
Una dichiarazione che non può che gettare ulteriore benzina sul fuoco in un contesto già esplosivo.
Mercoledì, lo stesso Emmanuel Macron era intervenuto, facendo appello per un «ripristino dell’ordinamento costituzionale», e la liberazione dell’ormai ex presidente Bazoum.
Ha rincarato la dose affermando che «questo colpo di Stato è un colpo contro la democrazia in Niger, contro il popolo nigerino e contro la lotta al terrorismo».
Una linea che con ogni probabilità ribadirà anche lunedì 28 agosto alla conferenza annuale degli ambasciatori francesi a Parigi.
Si apre quindi, un ennesimo capitolo nello scontro tra Parigi e Niamey, che aveva già chiesto la partenza, entro un mese, dei 1500 militari francesi presenti in Niger dal 2013, dopo la messa in discussione degli accordi di cooperazione militare intercorsi dal 1977 a oggi.
Il Paese, è bene ricordalo, è stato al centro della strategia di ridispiegamento delle truppe francesi dopo la fine dell’operazione «Barkhane» in Mali, e poco dopo il ritiro delle forze speciali stazionate in Burkina Faso (la task force «Sabre»), entrambi paesi teatro di colpi di stato che hanno portato al potere giunte di militari “patriottici”.
I quali, negli ultimi giorni, hanno ribadito la propria volontà di dare man forte a Niamey in caso di un intervento armato delle truppe della Comunità degli Stati dell’Africa dell’Ovest (CEDEAO).
Le organizzazioni che da tempo si battono contro la presenza di truppe militari straniere in Niger – cui il presidente deposto aveva di fatto annullato l’agibilità politica – hanno annunciato che intendono manifestare, a partire dal 3 settembre, di fronte alla base militare francese di Niamey per esigere la partenza dei soldati dell’Esagono.
Intanto, sabato 26 agosto, circa 20 mila persone – secondo quanto riporta Le Monde – si sono ritrovate allo stadio Seyni Kountché, il più grande del paese, in sostegno del CNSP.
Si tratta della seconda mobilitazione del genere ad un mese dal golpe.
Un membro del CNSP, il colonnello Ibro Amadou, ha arringato le folle dichiarando: «la battaglia non si fermerà fino a quando non ci sarà più alcun militare francese in Niger». Ha aggiunto «siete voi che li caccerete».
Mentre i rapporti con Parigi sembrano essere al punto zero, vanno avanti i tentativi diplomatici, mentre incombe l’ipotesi dell’opzione bellica della CEDEAO, per cui un contingente multinazionale sarebbe pronto ed “in attesa”, e sarebbe già stata decisa l’“ora X” per l’intervento.
In una intervista concessa alla BBC Abdulsalami Abubakar, l‘ex-presidente della Nigeria nonché alla testa della delegazione della mediazione diplomatica della CEDEAO con le attuali autorità nigerine, ha detto che i militari restano fermi rispetto alla decisione di non ripristinare nel suo incarico il presidente deposto.
La delegazione della CEDEAO era giunta a Niamey il 19 agosto, alla fine della scorsa settimana, e secondo quando riporta Abubakar, «Hanno sottolineato che hanno già destituito il presidente Bazoum e che la questione del suo ritorno al potere non sarà possibile».
Si tratta di una conferma di quello che era emerso nel discorso televisivo che il capo della CSNP, Tiani, aveva pronunciato il 19 sera, in cui ha parlato di una transizione di 3 anni e della istituzione di un “dialogo nazionale” per delinearne i tratti.
Come riporta Mali Actu: «i militari hanno indicato che erano disposti a discutere della durata della transizione», ma non del ritorno allo status quo ante.
LA CEDEAO aveva già espresso la contrarietà a tale proposta con parole piuttosto dure.
Ed è chiaro che nulla sembra far intravedere un superamento dell’attuale stallo tra Niger (insieme a Mali e Burkina Faso) e la CEDEAO, se non l’opzione militare al prezzo quindi di una sorta di guerra civile nel Sahel, che diventerebbe così la seconda “guerra mondiale dell’Africa” dopo quella in Congo.
La posizione di Capo Verde dentro la CEDEAO, disposta ad accettare il nuovo status quo a Niamey e a trattare rispetto alla transizione, sembra essere piuttosto isolata.
I dirigenti di Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio e Ghana, tra gli altri, sembrano essere i più propensi ad imbarcarsi in una avventura militare dagli esiti molto incerti.
L’Unione Africana, in un difficile esercizio di equilibrismo diplomatico ha preso atto delle decisioni della CEDEAO ed ha sospeso il Niger, ma ha indicato la via preferenziale della soluzione diplomatica e auspicato che le dure sanzioni approvate celermente nei confronti di Niamey non colpiscano la popolazione.
L’Algeria – che è un ‘pezzo da novanta’ dell’UA – ha più volte ribadito la sua contrarietà all’intervento armato in Niger da parte della CEDEAO, e prosegue i suoi sforzi diplomatici con propri emissari ora in Sahel.
Ed anche il Ciad, che non fa parte della CEDEAO, è dello stesso avviso.
Il Ministro degli Esteri algerino, Ahmed Attaf, aveva annunciato la scorsa settimana che si sarebbe recato in tre paesi della CEDEAO per fare visita ai propri omologhi ed iniziare dei negoziati con il fine di dare una soluzione politica alla crisi in atto, che «eviterà a questo paese e a tutta la regione le conseguenze di una eventuale escalation militare», afferma il comunicato ufficiale.
La delegazione diplomatica algerina si recherà in Nigeria, Benin e Ghana.
Il presidente algerino Abdelmadjdid Tebboune, ha incaricato il Segretario generale del ministero degli esteri, Lounes Magramane, di una missione in Niger, iniziata con il suo viaggio in aereo a Niamey lo scorso giovedì.
Secondo quanto scrive il sito d’informazione Tsa Algerie, riportando i contenuti di una trasmissione di Radio Algérienne di lunedì scorso, Algeri avrebbe rifiutato la richiesta formulata dalla Francia di sorvolo dei propri cieli da parte di aerei militari francesi, aggiungendo che avrebbe poi sollecitato – ed ottenuto – una risposta positiva anche dal Marocco.
La Francia ha smentito la richiesta il giorno successivo con un comunicato attraverso l’agenzia stampa Reuters.
Ma è chiaro che tra Algeri e Parigi da tempo non scorre buon sangue, e che la dirigenza algerina mal tollera questa ennesima “chiamata alle armi” da parte della leadership francese.
Sabato scorso il Segretario di Stato aggiunto statunitense, incaricato degli affari africani – Molly Phee – ha incontrato nuovamente i responsabili della CEDEAO a Abuja, la capitale della Nigeria, che ne assicura attualmente la presidenza.
Secondo quanto riferisce il Dipartimento di Stato USA la Phee tra il 25 ed il 29 agosto si recherà in Nigeria, Ciad e Ghana e si consulterà anche con i senior officials in Benin, Costa d’Avorio, Senegal e Togo.
Gli USA hanno due basi militari in territorio nigerino – tra cui la propria seconda base più importante nel continente – ed un contingente di 1.100 soldati. Sembrano più inclini alla soluzione diplomatica, e per il ritorno dello status quo ante, ma contemporaneamente stanno studiando anche lo scenario di un disimpegno dal Niger.
Come abbiamo più volte fatto notare, non sappiamo quale saranno gli eventuali sviluppi della crisi in Sahel, ma appare chiaro che nella regione un ciclo politico – durato circa una decina d’anni – è decisamente finito.
La destabilizzazione della Jamahiriya in Libia nel 2011 e l’assassinio di Muammar Gheddafi sembravano avere “spianato la strada” alla riconquista neo-coloniale del Sahel da parte dell’Occidente senza incontrare sostanziali ostacoli, oltre ad avere contribuito alla diffusione “a macchia d’olio” dell’insorgenza jihadista.
I risultati dell’intervento della NATO nel marzo del 2011, ora, sono sotto gli occhi di tutti coloro che vogliono vedere; ed i sogni occidentale di “nuova spartizione” di una parte del continente africano sono sfumati, anche per opera di potenti competitor (Russia, Cina e Turchia).
È chiaro che una convergenza di interessi portò allora a “sbarazzarsi” del leader che maggiormente auspicava l’unità africana e che aveva usato la carica di presidente dell’UA per far compiere un passo in avanti alla sua agenda politica, insieme ad una serie di altre scelte in chiave pan-africanista.
Da tre anni a questa parte la situazione è però mutata.
In un contesto in cui la democrazia è solo una formula superficiale e le elezioni sono spesso una partita truccata; dove i movimenti per un cambiamento di orientamento sono stati duramente repressi nel sangue; ed in cui l’”aiuto occidentale” contro le bande dell’estremismo islamico non ha sortito nessun effetto, si è concretamente prodotta una rottura degli assetti politici attraverso golpe militari che hanno trovato un notevole sostegno popolare.
Eventi che hanno segnato l’inizio di processi di transizione in cui la presenza militare dell’ex colonizzatore – la Francia, ma non solo – è apparsa subito come una delle contraddizioni principali ed una mutilazione della propria sovranità.
In questo contesto gli assetti politici internazionali stanno mutando in maniera abbastanza repentina, con rapporti di forza sempre meno favorevoli all’Occidente, ed in Sahel un gruppo di tre Stati si stanno coordinando (quattro, se aggiungiamo la Guinea) per dare filo da torcere ai novelli harkis pronti a fare la guerra al proprio popolo per conto degli imperialisti.
Il tutto mentre le opinioni pubbliche dei paesi più inclini all’intervento militare si esprimono contro di esso.
Le difficoltà di Francia – della intera UE – e Stati Uniti nel gestire questa crisi sono lo specchio del piano inclinato che ha imboccato l’Occidente in Africa.
La partita che si sta giocando in Niger, quindi, va oltre la sua proiezione regionale ed oltre il solito equilibrio tra grandi potenze.
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