Il Presidente del Sud Africa Cyril Ramaphosa ha annunciato ieri alla conferenza stampa speciale del 15simo vertice dei BRICS che sei Stati – Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti – sono invitati a fare parte del gruppo a partire dal primo gennaio dell’anno prossimo. Da BRICS a BRICS Plus, quindi.
In un solo passo, i Paesi che fanno parte dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) passano da 5 a 11. Si tratta del secondo “allargamento” dopo quello al Sud Africa nel 2011 che ha ospitato i tre giorni di lavoro (22-24 agosto) di questo vertice a cui hanno partecipato una cinquantina di paesi.
Erano una quarantina i paesi che si erano detti interessati ad ingrossarne le fila, di cui 23 avevano fatto richiesta formale.
Tale accordo smentisce i rumors di una spaccatura dei BRICS tra coloro che sarebbero stati favorevoli e ostili ad un allargamento.
“L’espansione del gruppo” scrive Sumayya Ismal in un articolo apparso sul portale d’informazione di Al Jazeera “è una parte del suo piano per costruire la propria affermazione e ridisegnare la governance globale in un mondo “multipolare” che metta le voci del Sud Globale al centro dell’agenda mondiale”.
Come ha scritto nel suo editoriale il sito d’informazione cinese Global Times rispetto ai nuovi aderenti, ribadendone il peso nelle regioni in cui sono collocati: “Con la loro partecipazione, la rappresentatività e l’influenza del meccanismo di cooperazione dei BRICS verrà ulteriormente incrementato, facendone una delle più ampie organizzazioni rappresentative dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo a partecipare nella governance globale”.
Pechino può vantare il notevole successo diplomatico di avere avviato il processo di “normalizzazione” delle relazioni tra Iran ed Arabia Saudita, una conditio sine qua non politica per questo allargamento.
Era difficilmente pensabile fino a poco tempo che Teheran e Riyadh potessero condividere un qualsiasi tipo di cooperazione. Sorprendente se si pensa che l’Arabia Saudita era uno dei perni della politica estera statunitense dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
L’elezione di Lula a presidente del Brasile – oltre ad aver dato una “spinta” soggettiva a tale percorso, che è uno dei perni della sua politica estera – ha probabilmente permesso di spianare la strada all’Argentina.
È chiaro che l’esito delle elezioni presidenziali di ottobre in Argentina, sarà determinante per capire se ci sarà continuità o meno da parte di Buenos Aires nell’investire su quest’ambito.
L’attuale presidente argentino Alberto Férnandez – secondo quanto riporta il network latino-americano Telesur – ha dichiarato: «essere parte dei BRICS ci rafforza e non esclude altre istanze di integrazione» aggiungendo «vogliamo essere parte dei BRICS perché il difficile contesto globale conferisce al blocco una rilevanza particolare e lo rende un referente geopolitico e finanziario importante, sebbene non l’unico, in questo mondo in sviluppo».
E proprio questo giovedì, il presidente boliviano Luis Arce – presente al vertice in Sud Africa – ha ufficializzato la candidatura del proprio paese – affermando la comunanza di vedute e il reciproco vantaggio tra La Paz ed i Brics.
Per il presidente boliviano i problemi del Sud Globale «non li risolverà il Nord egemonico, un Nord abituato a secoli di dominazione dei nostri Stati nazionali, lo sfruttamento delle nostre risorse naturali e lo sfruttamento dei nostri cittadini».
Abiy Ahmed, Primo Ministro Etiope, ha dichiarato che per il proprio paese è un «grande momento».
Un momento per certi versi imprevedibile, se pensiamo a quella che poteva essere la piega che ad un certo punto sembrava potessero prendere gli sviluppi della guerra contro i “ribelli” tigrini e l’aspro scontro con l’Egitto – che sembra avere trovato un canale di risoluzione – rispetto allo sfruttamento delle acque del Nilo in seguito alla costruzione della gigantesca diga GERD.
Per certi versi sorprendente se si pensa in precedenza alla “scommessa politica” che l’Occidente aveva fatto sul leader etiope, a cui era stato conferito il Premio Nobel per la Pace per la risoluzione del conflitto tra Etiopia ed Eritrea ma poi caduto in disgrazia nelle cancellerie occidentali.
Insomma, l’allargamento dei BRICS è la rappresentazione plastica di un mondo che sta cambiando ed in cui la sponda euro-atlantica non sembra godere di particolare appeal tra i “paesi emergenti”, ormai ben poco inclini a sopportare l’egemonia del dollaro e l’impalcatura finanziario-commerciale imperniata sulla valuta statunitense.
Ha ragione il leader sud-africano quando afferma che i BRICS «con questo vertice, iniziano un nuovo cammino».
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