“Sarà una legge di bilancio complicata. Tutte le leggi di bilancio sono complicate, lo è stata anche quella dell’anno scorso. Siamo chiamati a decidere delle priorità. Non si potrà fare tutto”.
Intervendo al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ammesso che il percorso della prossima legge di bilancio richiederà delle scelte di ritorno all’austerity viste le limitate risorse a disposizione.
Ma a pesare come un macigno, non solo sulla legge di bilancio ma proprio sul futuro del paese, è l’ammissione che “Non c’è nessuna riforma previdenziale che tiene nel medio-lungo periodo con i numeri della natalità che abbiamo oggi in questo paese”.
Insomma siamo alla resa dei conti sulle scelte economiche adottate sistematicamente in questi ultimi trenta anni – dal Trattato di Maastricht a oggi – che hanno bastonato sui salari e il lavoro decente ai giovani e sui tagli ai servizi sociali.
In pratica per tre decenni hanno tenuto nella precarietà reddituale e lavorativa le nuove generazioni disincentivando, tra l’altro, la nascita dei bambini, ed oggi i risultati presentano il conto.
Senza salari (e quindi contributi) adeguati, senza stabilità economica e servizi sociali disponibili e accessibili, non c’è demografia che tenga e quindi neanche “riforme delle pensioni” realistiche. Il sistema si è inceppato da solo e ormai da tempo.
Le aspettative degli analisti sulla prossima Legge di bilancio sono per una manovra da 25-30 miliardi di euro, ma è ancora presto per le quantificazioni. La nota di aggiornamento al Def, attesa per fine settembre, fornirà indicazioni più precise e quantificazione delle risorse a disposizione.
Ma il Mef esclude il ricorso a nuovo deficit, dopo la crescita della spesa pubblica negli anni della pandemia di Covid, anche perché da Bruxelles incombe la riforma del Patto di Stabilità su cui Giorgetti ha auspicato a mezza bocca una sorta di rinvio: “Noi siamo responsabili sui conti ma la Ue non sia autolesionista”.
Ma di fronte alle possibili reazioni della eurocrazia di Bruxelles al passaggio di Giorgetti, fonti del Mef si sono affrettate a puntualizzare che: “Il ministro non chiede la proroga della sospensione della clausola del patto di stabilità in vigore fino al 31 dicembre 2023 ma ha espresso l’auspicio che entro la fine dell’anno sia approvata la riforma del patto di stabilità in modo da poter entrare in vigore al posto delle vecchie regole dal 1 gennaio ’24”.
Ma anche il nuovo Patto di Stabilità lascerà intatti gli astrusi parametri di quello precedente, per cui l’Italia dovrà scendere a un rapporto deficit/Pil del 3% ed ora è già fuori al 3,7. Per non farsi mancare niente, i governi italiani nel 2012 hanno introdotto la modifica in Costituzione dell’art.81 sull’obbligo del pareggio di bilancio e le attuali forze di governo votarono a favore.
Lo spostamento di enfasi sul debito pubblico nel nuovo Patto di Stabilità europeo, rischia dunque di produrre il risultato opposto a quello dichiarato, ossia rischia di ridurre il grado di decisionalità dei governi sulle politiche di bilancio dei paesi membri e di aumentare il grado di rigidità della procedura. Nei fatti per un paese ad alto debito come l’Italia sarà molto difficile scostarsi dalle indicazioni imposte dalla Commissione europea, e mettere in atto politiche di bilancio e riforme strutturali diverse da quelle implicite in tali indicazioni. In sintesi, il nuovo Patto aumenta la rigidità del sistema. L’opposto di quanto veniva dichiarato durante l’emergenza pandemica.
Non solo. Nelle settimane scorse più volte esponenti della Lega, ma anche delle altre forze di governo, avevano già lasciato trapelare critiche anche verso la Bce per la politica di rialzo dei tassi di interesse che stanno strozzando imprese e famiglie con i mutui. Ma, come si dice: “hai voluto l’Unione Europea bellezza? Eccotela”!!
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento