di Alberto Negri
Come se non bastassero l’indomabile instabilità libica (55 morti in scontri tra fazioni tripoline a cavallo di ferragosto) e la tragica questione dei migranti, il ministro degli esteri italiano Tajani ha favorito la scorsa settimana un incontro segreto a Roma tra il capo della diplomazia israeliana e la ministra libica Mangoush (data per «sospesa» e in «viaggio» verso la Turchia).
Gli israeliani sui media hanno fatto trapelare la notizia ed è scoppiato un putiferio in Libia: sono esplose le proteste popolari – anche manovrate ad arte – e soprattutto l’esecutivo di Daibaba, quello con cui tratta Roma, appare sempre più in difficoltà.
Insomma, l’Italia e il suo alleato libico sono caduti in una trappola assolutamente da evitare. Se gli Stati Uniti – che finalmente dopo oltre due anni di assenza hanno inviato un ambasciatore a Roma – intendono allargare il Patto di Abramo tra Israele e i Paesi arabi forse è il caso di lasciarlo fare a loro: a noi non ne viene in tasca nulla (anzi), se non una medaglietta per un governo che discetta di un fantomatico Piano Mattei per l’Africa senza neppure avere i soldi per varare una legge finanziaria decente.
Tajani deve essersi accorto di essere scivolato sulla classica buccia di banana visto che, intervistato in tv per delucidazioni sull’incontro, ha seccamente risposto: «Beh, questi sono rapporti tra due Paesi stranieri». Un po’ poco per essere il ministro degli esteri, parole così banali che rivelano tutto l’imbarazzo per la vicenda.
Al di là delle plausibili buone intenzioni di pacificazione tra stati e popoli e di voler giocare un ruolo nel Mediterraneo, l’Italia non può ignorare la questione palestinese per cui Israele vìola sistematicamente tutte le risoluzioni dell’Onu. Insomma ci siamo infilati in un ginepraio.
Ma in questo caso c’è dell’altro: la conduzione quasi dilettantesca di una manovra diplomatica che doveva restare segreta. Non si capisce come e perché il ministro si sia fidato così degli israeliani.
Altro che incontro “storico” come lo hanno descritto alcune testate italiane: questa vicenda si sta rivelando un imbroglio che intorbida ancora di più le acque insidiose della palude libica e in un certo senso avvantaggia la Cirenaica in mano al generale Khalifa Haftar.
In primo luogo ne fa le spese la ministra degli esteri, Najla el Mangoush, sospesa e forse in fuga. È noto che già non godeva di molte simpatie in una società dove la parità di diritti è assai poco praticata ed era poco gradita anche perché aveva vissuto all’estero e ricopriva un posto molto ambito.
Mangoush prima di diventare irrintracciabile aveva diffuso la sua versione dell’incontro definendolo «casuale» ma la stampa israeliana ha persino pubblicato l’agenda del colloquio.
Secondo alcune fonti avrebbe agito di sua iniziativa ma sembra più che altro una versione per mettere una toppa maldestra alla vicenda: secondo i media israeliani l’incontro era stato ampiamente programmato.
E qui veniamo alle conseguenze per lo stesso governo di Daibaba, la Libia e l’Italia. Sono circa due anni che l’Onu, gli Usa e gli europei tentano invano di fare andare i libici alle urne, riportare l’unità e stabilizzare il Paese ma la contrapposizione tra Tripolitania e Cirenaica finora ha reso impossibile questo traguardo.
Il primo ministro libico è apparso recentemente in grandi difficoltà per gli scontri tra le milizie salafite di Tripoli che teoricamente rispondono ai suoi ordini. In realtà sia l’Onu che soprattutto gli Stati Uniti lo potrebbero anche scaricare: la carta del negoziato con Israele, che si poteva giocare in vista di nuove elezioni, è stata bruciata e forse si terrà in sella perché ci sono ben poche alternative.
Una cosa è certa: la Tripolitania di Daibaba, alleata della Turchia, appare anche più fragile della Cirenaica di Haftar sostenuta da Egitto, Russia, Emirati e in buoni rapporti con la Francia.
Il giorno prima della morte di Prighozin era arrivato a Tobruk il viceministro della difesa russo Yunus-Bek Yevkurov, ex leader della repubblica di Inguscezia, a maggioranza musulmana, brevemente arrestato dai combattenti di Wagner nel quartier generale di Rostov durante la loro ribellione in giugno.
Così Haftar si è assicurato con il Cremlino la continuità della missione della Wagner in Libia 24 ore prima che il suo capo uscisse di scena per sempre. Una strana coincidenza.
Ormai nessuno può vendere come una coincidenza l’incontro di Roma tra la ministra libica e quello israeliano. Nelle intenzioni una brillante iniziativa diplomatica segreta che si è rivelata una trappola.
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