Nei giorni del 84° anniversario di quel “patto criminale”, sottoscritto il 23 agosto 1939 tra “due dittature” e che, con la “spartizione della Polonia”, “aprì la strada” al secondo conflitto mondiale, “scatenato da Mosca e Berlino” – non è forse questa la vulgata con cui, ormai da una ventina d’anni, a Bruxelles si intenderebbe mettere al bando, “per legge”, comunisti e ideologia comunista, in nome della “resilienza”? – la Polonia sanfedista va in cerca di nemici.
Tanto a est, quanto a ovest.
Per quanto ci riguarda, il Trattato di non aggressione tra URSS e Germania, tale era: un trattato di non aggressione, che concesse quasi due anni di respiro all’URSS prima dell’aggressione nazista.
E a proposito dell’inizio della guerra, ci atteniamo a quanto scritto una ventina di anni fa dallo storico Vladislav Grosul: «Il mio insegnante (ho terminato gli studi nel 1956), veterano della Grande Guerra Patriottica, considerava quale inizio della seconda guerra mondiale l’attacco italiano all’Etiopia (Abissinia) e sottolineava che a quel tempo la guerra era già in corso in tre continenti».
Ed egli stesso, Grosul, datava l’inizio della guerra all’attacco giapponese alla Cina del 1931, mentre la data del 1 settembre 1939, diceva, «ci è stata imposta per dimostrare che l’URSS è colpevole al pari della Germania fascista per lo scatenamento della Seconda guerra mondiale».
D’altronde, è proprio nello spirito delle “risoluzioni europeiste”, suggerite in larga parte proprio da Varsavia, che si appone il segno di eguaglianza tra comunismo e nazismo, tra Unione Sovietica e Germania hitleriana e, per una rivisitata “consecutio temporum”, tra Russia borghese da una parte, e Germania riunificata a suon di miliardi e di promesse NATO a Mosca, dall’altra.
Dunque, quando la campagna elettorale sulla Vistola – per le parlamentari del 15 ottobre – sta entrando sempre più nel vivo, ecco che i “nemici storici” di quella Polonia “vittima delle dittature” vengono nuovamente tirati in ballo, nello spirito da “fortezza assediata” che dovrebbe unificare la società polacca.
Del resto, stante la non proprio rosea situazione economica interna, cui contribuisce non poco l’ambizione di dotarsi del “più forte esercito europeo” (26 miliardi di dollari alla “difesa”, nel 2023) e prendere il posto della Germania quale avamposto yankee sul Vecchio continente, ecco che promettere al pubblico interno centinaia di miliardi di euro di “risarcimenti” da oriente e occidente (1,3 trilioni solo dalla Germania), diventa un argomento con cui accattivarsi le platee più nazionalistiche.
Se poi, oltre a Mosca e Berlino, si prova in qualche modo ad aggiungere anche Kiev, ecco che quegli stessi ambienti si arricchiscono della presenza di quanti – e non sono pochi – non hanno affatto dimenticato le stragi commesse nel 1943 in Volynia dagli antesignani degli odierni “lettori di Kant” e di quanti cominciano a non sopportare più la presenza delle centinaia di migliaia di profughi ucraini, per quanto ben accetti quale forza-lavoro semifeudale.
Ecco dunque che, accanto alla perenne questione dei risarcimenti di guerra, Berlino entra nel mirino polacco anche per una «serie di azioni intraprese contro gli interessi» di Varsavia.
È così che si bollano le parole del capogruppo PPE all’Europarlamento, Manfred Weber, a proposito del partito di governo “Diritto e Giustizia” (PiS), messo sullo stesso piano della tedesca “AfD” e del “Fronte nazionale” francese, nonché definito «avversario da combattere» (i media polacchi hanno però tradotto “nemico”), in quanto non «rispettoso della supremazia della legge».
Difficile credere che le parole di Weber avessero a oggetto la legge polacca che dà vita a una commissione d’inchiesta sulla “influenza russa” nella sicurezza polacca negli anni 2007-2022.
Come che sia, la risposta di Varsavia è stata che la “supremazia della legge” sta tutta nelle “riparazioni di guerra”, mentre invece Berlino intenderebbe «imporre la propria volontà» alla Polonia e che è inaudito che qualcuno «tenti apertamente di intromettersi nel processo elettorale polacco e nelle decisioni polacche».
E lo farebbe, quel qualcuno, con l’aiuto di “nemici interni”: primo fra tutti “Piattaforma civile” dell’ex premier polacco ed ex presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, accusato ora di essere “agente di Mosca”, ora di farsi “promotore degli interessi tedeschi”, potendo tra l’altro “vantare” un nonno ufficiale della Wehrmacht.
La polacca Strajk.eu ipotizza che, dietro i battibecchi “politici”, ci siano concreti contrasti economici, tra cui, ad esempio, quello per la navigazione commerciale sull’Oder, o quello sul porto tedesco-polacco di Swinoujscie, sul Baltico, il cui ampliamento – promosso da Varsavia – secondo Berlino minaccerebbe gli interessi tedeschi. I quali, a detta dei polacchi, non sarebbero altro che gli affari del porto di Amburgo.
Per altri versi, Varsavia accusa da mesi Berlino per la carenza di sostegno alla junta nazigolpista ucraina – quando in realtà la Germania è forse il maggior fornitore di aiuti a Kiev.
A metà agosto, comunque, le parole di Weber non sembravano aver scalfito la leadership di “PiS” che – secondo i sondaggi di Estymator – con la sua coalizione “Destre unite” manterrebbe il 34,3% delle preferenze, potendo ora sfruttare anche le nostalgie anti-tedesche, contro il 28,6% della liberale “Coalizione civile”.
Due raggruppamenti che ricordano le vecchie diatribe su filo-europei e filo-polacchi (ora: pro-USA) tra dinastie di Piasti e Jagelloni, concordi comunque nel disegno, dopo la fine della Repubblica Popolare, di dar vita a una barriera antirussa formata da Ucraina e Bielorussia.
Nei pronostici elettorali, seguono poi la nazionalista “Confederazione” col 14,9%, la liberaldemocratica “Terza via” col 10,8% e “Nuove sinistre” con il 9%.
E in ogni caso – Piasti e Jagelloni a parte – quali siano i piani polacchi nei confronti dell’Ucraina, lo si è visto più volte su questo giornale.
Di recente, tanto per essere più esplicito, il presidente polacco Andrzej Duda, ha dichiarato al Washington Post che, in sostanza, la morte di alcune migliaia di ucraini al fronte è solo un piccolo prezzo da pagare nella lotta contro la Russia e consente di preservare le vite dei soldati americani, che altrimenti dovrebbero combattere in prima persona.
«Oggi è possibile fermare l’imperialismo russo a basso costo, dato che non muoiono soldati americani», ha detto Duda al giornalista Mark Thiessen. Si deve fermare “l’imperialismo russo” ora, affinché non accada «come nella Prima e nella Seconda guerre mondiali, con i soldati americani costretti a versare il proprio sangue e perdere la vita in Europa, per ristabilire pace e libertà in tutto il mondo».
Meglio dunque che lo facciano i giovani coscritti ucraini, rastrellati per strada a suon di manganellate e spediti in trincea senza addestramento, falciati dagli ufficiali nazisti se tentano di arrendersi.
Meglio che muoiano i giovanissimi ucraini: parola del “più fedele amico” dell’Ucraina, novello esemplare maschile della Moira Atropo, intento oggi a recidere il filo della vita di quanti – anche negli ex Kresy Wschodnie – sono costretti loro malgrado a eseguire gli ordini yankee impartiti sul campo da Kiev.
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