Arresti domiciliari, obbligo di reperibilità e firma, ritiro del passaporto. Sono questi i provvedimenti presi il 15 agosto dal giudice Sergienko del Tribunale del Distretto di Solomyanskyi di Kyiv, nei confronti di Yurii Sheliazhenko.
Il pacifista ucraino sta subendo una dura repressione per la sua esposizione mediatica che mostra al mondo l’esistenza di un vasto movimento per la pace in dissenso con la politica del governo Zelensky.
Yurii dovrà rimanere al suo domicilio dalle ore 22 fino alle 6 del giorno successivo (esclusa, bontà loro, la necessità di lasciare l’abitazione in caso di bombardamenti aerei per ricevere assistenza medica d’emergenza), tutti i giorni fino all’11 ottobre prossimo.
Il ritiro del passaporto è un provvedimento beffardo: a tutti i maschi ucraini dai 18 ai 60 anni è già impedito di lasciare il paese.
Le motivazioni della decisione saranno rese note domani, 18 agosto, ma sono la conseguenza delle indagini condotte per più di un anno, con pedinamenti e perquisizioni, dal Servizio di Sicurezza ucraino Sbu, che lo ha accusato di «giustificare la guerra di aggressione russa», reato che comporterebbe una pena di almeno cinque anni di carcere.
La persecuzione del pacifista Sheliazhenko avviene nei giorni in cui il presidente Zelensky ha ordinato il licenziamento di tutti i funzionari regionali incaricati del reclutamento militare «per sradicare un sistema di corruzione che dietro consegna di mazzette consente ai coscritti di sfuggire all’esercito e attraversare illegalmente la frontiera».
Il provvedimento anti-corruzione, dilagante nell’esercito ucraino, vuole nascondere un fatto sostanziale: il diffuso sentimento contrario al reclutamento obbligatorio che riguarda centinaia di migliaia di giovani ucraini.
Yurii non è un caso isolato, ma dà voce a un fenomeno di massa: la renitenza alla leva, la diserzione, l’obiezione di coscienza, il rifiuto dell’arruolamento per essere mandati in guerra, sono al centro dell’azione del Movimento Pacifista ucraino che ha sempre sostenuto queste posizioni antimilitariste e nonviolente, come scritto chiaramente nel documento «Agenda di pace per l’Ucraina e il mondo» che gli è costato l’incriminazione.
«Ho già presentato un ricorso costituzionale contro il falso rapporto della polizia, che mi accusa di cospirazione», ha fatto sapere Yurii Sheliazhenko, che in un video messaggio diffuso su Facebook dice: «Dobbiamo agire contro la vergognosa guerra aggressiva e i crimini dell’esercito russo, ma anche contro la politica militarista del regime Zelensky, responsabile di violazioni dei diritti umani.
La guerra è colpa dell’imperialismo di Putin, ma da parte ucraina c’è puramente una reazione di forza, mancanza di diplomazia e resistenza nonviolenta: vendetta e odio buttano benzina sul fuoco e ci portano all’autodistruzione».
Solidarietà e sostegno a Yurii arrivano da tutto il mondo. L’International Peace Bureau (Ipb) ha annunciato l’intenzione di candidare al Premio Nobel per la Pace 2024 tre organizzazioni: il Movimento russo degli obiettori di coscienza, l’organizzazione bielorussa «Our House» e il Movimento Pacifista ucraino, di cui Yurii è segretario esecutivo, per la costante dedizione nel sostenere il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare e nel promuovere i diritti umani e la pace nei rispettivi Paesi.
Grazie alle tre organizzazioni migliaia di giovani bielorussi sono sfuggiti all’esercito di Lukashenko, oltre 700mila ragazzi russi hanno lasciato la Russia di Putin per non essere carne da macello e ora anche in Ucraina chi non vuole essere arruolato da Zelensky trova una dimensione politica senza dover subire l’etichetta di «antipatriota».
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