Il generale Brice Oligui Nguema è stato designato all’unanimità «presidente del Comitato per la transizione e la restaurazione delle istituzioni (CRTI)».
Nguema, è un ufficiale di una famiglia di militari formatosi all’Accademia reale militare di Mecknés in Marocco, a “aiutante di campo” del vecchio presidente Omar Bongo.
È stato nominato nel 2020 a capo della guardia repubblicana, corpo d’élite che svolge – o meglio svolgeva – una funzione pretoriana e a cui è destinata una parte importante del budget della difesa.
Dalla creazione della Guardia repubblicana nel 1964 – in seguito al tentativo di un colpo di Stato ai danni di Léon Mba, primo presidente gabonese dal 1961 al 1967 – fino al 2019, alla sua testa vi era un membro della famiglia Bongo.
È interessante notare che grazie agli accordi di cooperazione tra il paese africano e la Francia, è Parigi (De Gualle e Foccart) che nel 1964 lo rimette manu militari al potere ai danni dell’opposizione democratica, guidata da Jean-Hilaire Aubame, passando di fatto sotto tutela diretta della Francia dopo esserne stati uno degli alleati più affidabili.
Una impronta che manterrà, di fatto, fino ad oggi.
L’annuncio della nomina di Nguema è stato dato da un portavoce dell’organismo che ha preso il potere alla catena televisiva Gabon 24.
Tra i militari figurano membri della guardia repubblicana (GR), dell’esercito e della polizia.
Nguema ha ordinato la riattivazione di internet e la riapertura delle emittenti radio-televisive internazionali, dopo il black out informativo imposto per 3 giorni, insieme al coprifuoco, nel lungo week end elettorale, dall’allora presidente in carica Ali Bongo.
Ali Bongo Ondimba ha governato il paese per 14 anni, ed è figlio del presidente precedente – Omar Bongo Ondimba – che aveva dominato la scena politica per 41 anni, dal 1967 fino all’anno della sua morte nel 2009.
Ali Bongo aveva annunciato la sua candidatura per il suo terzo mandato consecutivo, il 9 luglio scorso.
Anche questa volta – stando al contestato processo elettorale e ai risultati attribuiti ai brogli – sarebbe stato rieletto, dopo che anche le elezioni precedenti, nel 2009 e soprattutto nel 2016, avevano portato a moti popolari repressi nel sangue.
Bisogna inoltre ricordare un tentativo abortito di colpo di Stato, il 7 gennaio del 2019.
Nel 2016 aveva vinto di misura su Jean Ping, per appena 5.500 voti, in una elezione che lo sfidante aveva definito truccata, come poi hanno messo in luce l’analisi di vari esperti e la stessa Unione Europea, che non aveva potuto chiudere gli occhi sui brogli palesi.
A Libreville, la capitale, erano scoppiate violenze che avevano causato 5 morti, secondo il governo, ma almeno una trentina, secondo l’opposizione. Tutte uccise dalle pallottole della polizia.
Bongo, il 25 ottobre del 2018, aveva avuto un arresto cardiaco che ne ha minato le facoltà fisiche e mentali, ed aveva trascorso una lunga degenza in Marocco.
Ora sembra definitivamente uscito di scena. Nel 2009 era stato lo stesso presidente francese, Sarkozy, a sostenerlo nella sua ascesa al potere. Ed aveva sempre trovato nel Marocco – dai tempi di Mohamed VI – un alleato.
La tenuta delle elezioni non poteva certo dirsi cristallina.
In questa tornata elettorale “ad alta tensione” nessuno osservatore straniero è stato accreditato, ed alcun giornalista ha ottenuto i permessi per assistervi. I media FRANCE 24, RFI, TV5 Monde, molto seguiti nel Paese, avevano dovuto sospendere le trasmissioni.
Rispetto a quest’isolamento imposto, Parigi non aveva reagito in alcun modo. Così come l’ONU ed i partner principale del paese, sperando forse che il passaggio per il terzo mandato sarebbe stato indolore, o che eventuali proteste – come nel 2016 – sarebbero state ben presto dimenticate dall’opinione pubblica occidentale, solitamente poco informata su ciò che avviene nelle autocrazie africane fedeli all’Occidente.
Come ha dichiarato l’analista Mays Moussi, che all’inizio di quest’anno ha pubblicato un attento bilancio delle politiche economiche dell’ex-presidente, «Alcuni paesi hanno deciso di chiudere gli occhi di fronte a questo regime che non si mantiene se non con la forza, rende perenne una gestione patrimoniale dello Stato e favorisce l’arricchimento di un piccolo gruppo a detrimento dei più. La democrazia è divenuta accessoria».
Poco dopo l’annuncio dei contestati risultati elettorali i miliari, in un comunicato televisivo, avevano annunciato l’annullamento delle elezioni, la dissoluzione delle istituzioni e la fine del «regime». Un termine su cui è difficile dissentire.
Il leader della piattaforma elettorale dell’opposizione Alternace 2023, Albert Ondo Ossa, non ha preso ufficialmente posizione, dopo aver comunque contestato la modalità di svolgimento delle elezioni già da sabato mattina. Ma il direttore della sua campagna elettorale, Mike Joctane, ha spiegato in mattinata – senza condannare o approvare l’entrata in scena dei militari – che «una parte dell’esercito ha preso le sue responsabilità», lasciando di fatto intravedere il suo parere.
Le stime di voto, da un conteggio parallelo su un migliaio di sedi, davano Ossa al 68% dei suffragi, a differenza dei risultati “ufficiali” trasmessi alle 4 di notte, molto in sordina.
Ossa, 69enne ed ex ministro dell’educazione, con una importante carriera accademica alle spalle, era stato scelto consensualmente venerdì 18 agosto come candidato della piattaforma politico-elettorale Alternance 2023, nata a gennaio e raggruppante 6 candidati dell’opposizione, contro il potente Partito Democratico Gabonese (PDG) del presidente in carica.
Un compromesso importante da parte dell’opposizione, che aveva invertito il processo di “balcanizzazione” al suo interno.
L’ex-presidente è stato posto in «residenza sorvegliata», mentre uno dei suoi figli sarebbe stato arrestato per «alto tradimento», così come la stretta cerchia del suo entourage.
Vi è stata una «ferma condanna» del colpo di Stato da parte della Francia, così come dell’Unione Africana, generando inquietudine nella cosiddetta “comunità internazionale”, le cui cancellerie seguono con forte preoccupazione l’evolversi degli eventi, almeno stando alle prime reazioni ufficiali.
Il Gabon infatti è un paese importante nella regione, tra i più ricchi per PIL pro capite.
È un paese strategico per l’estrazione mineraria. Ha un quarto delle riserve stimate di manganese (componente fondamentale per le batterie elettriche, per esempio) di cui è il 4° produttore al mondo ed in cui opera la società mineraria francese Eramet.
È un membro dell’OPEC, da cui si estraggono 200 mila barili al giorno di petrolio, settore in cui operano la francese TotalEnergies e l’anglo-francese Perenco – con il 40% circa della produzione – oltre ad essere un importante esportatore di legno, la cui produzione è raddoppiata negli ultimi 10 anni.
Nel 2018 è stato al centro di uno dei più grossi scandali del settore, per l’esportazione illegale di un legno pregiatissimo (il kevazingo), tagliato illegalmente.
Eramet ha raggiunto dei record di produzione sul continente grazie all’estrazione di manganese, nickel e sabbie mineralizzate, il cui giro d’affari è aumentato del 37% l’ultimo anno.
Più di un terzo del PIL del Gabon è dovuto all’oro nero, che costituisce il 70% del valore delle sue esportazioni ed è foriero di veri e propri disastri naturali, “coperti” però con operazioni di greenwashing franco-gabonesi. Come peraltro dettaglia un’inchiesta di Investigate Europe del giugno di quest’anno sul gigante energetico anglo-francese Perenco, che aveva forti entrature con l’élite politica al potere.
Nonostante questo, l’accaparramento delle ricchezze naturali da parte di multinazionali straniere connesse con le élite politiche locali – che non si sono mai realmente impegnate in una politica di sviluppo – fa sì che 1/3 della popolazione viva sotto la soglia di povertà, e la disoccupazione tocchi circa il 40% dei giovani.
La stessa Banca Mondiale scriveva nell’aprile del 2003 che «malgrado il suo potenziale economico, il paese stenta a tradurre la ricchezza delle sue risorse in una crescita durevole ed inclusiva».
In una intervista ad Al Jazeera Moussi ha affermato che Ali Bongo «ha mantenuto solo il 12% delle sue promesse (…) La qualità della vita è deteriorata (…) Povertà e disoccupazione sono cresciute di 3-4 punti percentuali tra le precedenti elezioni e queste».
La maggioranza degli abitanti – il 70% – vive in una decina di città dove non sono stati sviluppati servizi sufficienti a creare una fascia di popolazione in un relativo benessere.
Sostiene infatti Moussi, in una intervista a La Tribune Afrique di alcuni mesi fa, che «l’accesso ai servizi di base come l’acqua e l’elettricità si è degradato, compreso nella capitale, dove bisogna a volte attendere più di un anno per avere un semplice contatore elettrico».
Dal punto di vista militare la Francia ha una base militare con 400 soldati con funzioni di addestramento. A differenza, per esempio, di alcuni paesi limitrofi, non vi è alcuna insorgenza jihadista.
In conclusione.
Sebbene non si possa prefigurare quello che sarà lo scenario dopo questo colpo di Stato, appare per ora chiaro un certo appoggio da parte della popolazione. Del resto, i militari hanno destituito l’espressione di un sistema di sfruttamento neocoloniale delle risorse, dal pesante impatto ambientale e senza reali cadute occupazionali, che aveva garantito finora una rendita politica semi-dinastica alla famiglia Bongo ed al suo entourage con una repressione politica feroce, su cui l’Occidente ha sempre chiuso entrambi gli occhi.
Ci sia permessa una battuta.
Quando il presidente Macron ha dichiarato in buona sostanza che i tempi dell’“Africa francese” erano finiti, probabilmente non pensava che le popolazioni africane lo prendessero così in parola.
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