Khaled El Qaisi, lo studente italo-palestinese arrestato al confine israeliano mentre rientrava in Italia, è ancora detenuto in Israele senza che gli siano state formalizzate accuse specifiche. La terza udienza è stata rinviata al prossimo 21 settembre, mentre le autorità israeliane continuano a mantenere il silenzio, nonostante la crescente mobilitazione internazionale – soprattutto in Italia – per chiedere il rilascio del ricercatore.
Venerdi scorso all’università La Sapienza (dove Khaled lavora) si è tenuta una affollatissima assemblea di solidarietà.
L’unica certezza è che Khaled El Qaisi è stato arrestato e privato della libertà per il solo fatto di essere palestinese. Una palese violazione dei diritti umani che, nonostante gli anatemi lanciati dal direttore de La Repubblica Molinari contro tale ipotesi, rischia di trasformarsi in un “nuovo caso Zaki”. Ma questa volta occorre fare i conti con la “democratica” Israele e non il “dispotico” Egitto
La detenzione di Khaled El Qaisi è stata prolungata nonostante la totale mancanza di accuse formali e trasparenza del caso. Questa procedura da parte delle autorità militari e giudiziarie israeliane è resa possibile dal ricorso alla detenzione amministrativa.
Una vera e propria “eredità” che l’occupazione coloniale israeliana ha mutuato da quella britannica. Non a caso la Gran Bretagna ha continuato ad utilizzare ampiamente la detenzione amministrativa contro gli irlandesi nelle sei contee dell’Irlanda del Nord.
Secondo il diritto internazionale la detenzione amministrativa è illegale. Ma a dicembre 2019 erano 458 i palestinesi in questa situazione, su un totale di 5.000 palestinesi arrestati nei Territori Occupati. Nel 2022 erano saliti a 850. Nel 2023 il loro numero è salito a 967 ma secondo altre fonti ha superato i 1.000 casi.
La detenzione amministrativa viene utilizzata dallo stato israeliano per ottenere informazioni dai carcerati, ma è ritenuta illegale secondo il diritto internazionale sui diritti umani. Questa pratica è giustificata da Israele con il codice militare 1651, che autorizza l’esercito a detenere fino a 6 mesi una persona nel caso i militari o le autorità israeliane ritengano che possa mettere a rischio la sicurezza dello stato.
Questo codice prima della seconda intifada era stato utilizzato contro 72 palestinesi. Dopo il settembre 2000 ha portato in media 450 palestinesi detenuti al mese attraverso la detenzione amministrativa.
Khaled El Qaisi adesso è nella morsa di questa procedura illegale, ma mentre il ministro degli Esteri Tajani balbetta e i direttori di giornale sionisti esorcizzano un nuovo caso Zaki, sia nel paese che nei parlamenti nazionale ed europeo fioccano le interrogazioni parlamentari e le richieste di un intervento “più deciso” del governo italiano verso l’alleata Israele.
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