Non stupisce più che i media mainstream – tradotto: i principali quotidiani e tutte le televisioni di “prima fascia” – si limitino a fare propaganda e a nascondere le informazioni necessarie a comprendere, se non altro, almeno le tendenze principali del momento storico.
Però la prudenza, se non altro, dovrebbe consigliare loro di non esagerare, altrimenti quell’ignoranza così pervicacemente diffusa produrrà proprio i consensi negativi che l’establishment – tradotto: le società che controllano, fra l’altro, anche i media – fingono di temere per la “tenuta democratica delle istituzioni” (europee e/o italiane, a turno).
È evidente, a chi vuol vedere, che sulla gestione dell’immigrazione definita “irregolare” (nel migliore dei casi), ovvero “indesiderata”, i diversi paesi europei giocano ognun per sé. Ed è altrettanto evidente, se non si vuole essere trattati da scemi, che sui tavoli europei ogni “posta” o problema viene affrontato come parte di una partita complessa.
Tradotto: la gestione degli arrivi e la redistribuzione dei migranti arrivati in Italia, Grecia o Balcani non è separabile dai contrasti esistenti su altri problemi (Mes, patto di stabilità da cambiare, aiuti militari all’Ucraina, redistribuzione dei profughi di Kiev, unione bancaria sì o no o come, ecc.).
Come hanno spiegato – in inglese, per il capitale multinazionale euro-atlantico – Mario Draghi e la sua nuova “datrice di lavoro” von der Leyen, non si tratta di tornare alle vecchie regole distrutte da due anni di pandemia e quasi due di guerra, ma di elaborarne di nuove, più stringenti ancora, in direzione di una maggiore centralizzazione della governance continentale.
La ragione è semplice, anche se di estrema complessità pratica. Sono scomparsi molti dei pilastri che sorreggevano il vecchio edificio europeo.
La “sicurezza militare” affidata alla Nato (e alle scelte politiche Usa) non sarà più semi-gratuita; bisognerà perciò dirottare verso l’industria militare e gli eserciti (spesa altamente improduttiva) molte delle risorse fin qui impiegate altrimenti.
Si è spezzato – fisicamente, col sabotaggio dei gasdotti Nord Stream realizzato dagli Usa – il cordone ombelicale con la Russia, fornitrice di enormi quantità di gas a prezzi molto contenuti. Il fabbisogno energetico europeo sarà perciò più complicato, costoso, inquinante (ritorno al carbone e al nucleare), ingestibile a livello nazionale (anche a causa delle vecchie “regole europee”).
Si va chiudendo anche lo sbocco salvifico per la produzione industriale europea, ovvero il commercio con la Cina, preteso dagli Usa per cercare di frenare un competitor che appare inarrestabile. La disdetta del Memorandum sulla Via della Seta, comunicato di recente da Giorgia Meloni, è una delle conseguenze.
Tutti i problemi, o “le sfide”, che ci stanno davanti diventano tremendamente più complicati (transizione ecologica, riarmo, digitalizzazione, ecc.). Oltretutto il resto del Mondo – e in particolare l’Africa, ex “cortile di casa” degli imperialismi continentali – sta costruendo equilibri e istituzioni (anche finanziarie!) alternativi, con regole meno strangolatorie o addirittura vantaggiose rispetto ai contratti capestro offerti dai nord-occidentali.
Sarebbe dunque il caso, anche per chi pretende di mantenere la propria posizione di privilegio, di prendere le misure alla nuova situazione, ascoltare le voci e tenere nel dovuto conto gli interessi di quella parte del pianeta che “preme” alle frontiere dell’Europa.
E invece niente. Le Meloni e i Salvini sono perfettamente integrati nella cecità europea (capitalistica, certo...) di fronte alla nuova situazione. La von der Leyen che a Lampedusa sentenzia, come un vecchio feldmaresciallo e con invidiabile assenza di realismo, “decideremo noi chi entra in Europa“, mostra anche ai ciechi di che “cultura” è fatto “il giardino” del Vecchio Continente.
Come fa notare Guido Salerno Aletta su Milano Finanza, a proposito del Memorandum sottoscritto con la Tunisia, “Nel Memorandum non c’è un solo progetto di iniziativa tunisina: c’è sempre la solita Europa che detta legge a tutto e a tutti“. Peggio ancora: c’è la sordità totale rispetto a quello che vanno gridando governi certamente altrettanto ignobili, moralmente, di quelli europei, ma altrettanto certamente portatori di interessi che andrebbero capiti e soppesati. Se non altro per non venire poi travolti senza neanche vederli arrivare...
Il governo tunisino, per esempio, aveva detto molto chiaramente che “non avrebbe accettato gli aiuti per 900 milioni di euro che sono stati promessi dall’Unione Europea come incentivo per accettare il prestito che il Fmi dovrebbe erogare per salvare il suo Paese dall’imminente bancarotta, in quanto viene condizionato all’adozione di riforme profondamente impopolari: di questo Fmi, soggiunse, i Paesi del Sud non sanno che farsene”.
A sentire i media mainstream, invece, che ripetono a pappagallo le cazzate sparate da ministri senza vergogna (la “competenza” non c’era mai stata...), la ragione della massa di arrivi delle ultime settimane starebbe solo nella “pretesa” tunisina di ricevere almeno la prima tranche degli aiuti promessi.
Insomma: se sai benissimo che quel governo “non aveva accettato la proposta della Commissione europea di trasformare la Tunisia, come si è fatto con la Turchia per chiudere la rotta balcanica, in un insediamento per i migranti provenienti dalle aree a meridione del Sahel, delegandole pure il compito di accertare il diritto all’asilo dei richiedenti e di consentire la partenza verso l’Europa solo a coloro che ne hanno i requisiti, rinviando gli altri ai Paesi di origine“, come puoi pensare di elaborare un “piano” per “fermare le partenze” che prevede di affidare a Tunisi il ruolo che rifiuta?
Che fai? Mandi Impregilo a fabbricare campi di concentramento a Cartagine senza il consenso del governo? Oppure mandi le navi militari europee nei porti nordafricani? E come pensi che verranno accolti i marinai a bordo, col sorriso sulle labbra?
Solo dei mentecatti possono immaginare di poter affrontare e risolvere problemi “epocali” con ricette e slogan da osteria. Ma, sia in Europa che negli States, questo tipo di “personale politico” è stato selezionato nell’era del neoliberismo come “il più adatto” a realizzare i desiderata della imprese.
Ora i nodi arrivano al pettine. E non sarà piacevole...
Buona lettura.
Però la prudenza, se non altro, dovrebbe consigliare loro di non esagerare, altrimenti quell’ignoranza così pervicacemente diffusa produrrà proprio i consensi negativi che l’establishment – tradotto: le società che controllano, fra l’altro, anche i media – fingono di temere per la “tenuta democratica delle istituzioni” (europee e/o italiane, a turno).
È evidente, a chi vuol vedere, che sulla gestione dell’immigrazione definita “irregolare” (nel migliore dei casi), ovvero “indesiderata”, i diversi paesi europei giocano ognun per sé. Ed è altrettanto evidente, se non si vuole essere trattati da scemi, che sui tavoli europei ogni “posta” o problema viene affrontato come parte di una partita complessa.
Tradotto: la gestione degli arrivi e la redistribuzione dei migranti arrivati in Italia, Grecia o Balcani non è separabile dai contrasti esistenti su altri problemi (Mes, patto di stabilità da cambiare, aiuti militari all’Ucraina, redistribuzione dei profughi di Kiev, unione bancaria sì o no o come, ecc.).
Come hanno spiegato – in inglese, per il capitale multinazionale euro-atlantico – Mario Draghi e la sua nuova “datrice di lavoro” von der Leyen, non si tratta di tornare alle vecchie regole distrutte da due anni di pandemia e quasi due di guerra, ma di elaborarne di nuove, più stringenti ancora, in direzione di una maggiore centralizzazione della governance continentale.
La ragione è semplice, anche se di estrema complessità pratica. Sono scomparsi molti dei pilastri che sorreggevano il vecchio edificio europeo.
La “sicurezza militare” affidata alla Nato (e alle scelte politiche Usa) non sarà più semi-gratuita; bisognerà perciò dirottare verso l’industria militare e gli eserciti (spesa altamente improduttiva) molte delle risorse fin qui impiegate altrimenti.
Si è spezzato – fisicamente, col sabotaggio dei gasdotti Nord Stream realizzato dagli Usa – il cordone ombelicale con la Russia, fornitrice di enormi quantità di gas a prezzi molto contenuti. Il fabbisogno energetico europeo sarà perciò più complicato, costoso, inquinante (ritorno al carbone e al nucleare), ingestibile a livello nazionale (anche a causa delle vecchie “regole europee”).
Si va chiudendo anche lo sbocco salvifico per la produzione industriale europea, ovvero il commercio con la Cina, preteso dagli Usa per cercare di frenare un competitor che appare inarrestabile. La disdetta del Memorandum sulla Via della Seta, comunicato di recente da Giorgia Meloni, è una delle conseguenze.
Tutti i problemi, o “le sfide”, che ci stanno davanti diventano tremendamente più complicati (transizione ecologica, riarmo, digitalizzazione, ecc.). Oltretutto il resto del Mondo – e in particolare l’Africa, ex “cortile di casa” degli imperialismi continentali – sta costruendo equilibri e istituzioni (anche finanziarie!) alternativi, con regole meno strangolatorie o addirittura vantaggiose rispetto ai contratti capestro offerti dai nord-occidentali.
Sarebbe dunque il caso, anche per chi pretende di mantenere la propria posizione di privilegio, di prendere le misure alla nuova situazione, ascoltare le voci e tenere nel dovuto conto gli interessi di quella parte del pianeta che “preme” alle frontiere dell’Europa.
E invece niente. Le Meloni e i Salvini sono perfettamente integrati nella cecità europea (capitalistica, certo...) di fronte alla nuova situazione. La von der Leyen che a Lampedusa sentenzia, come un vecchio feldmaresciallo e con invidiabile assenza di realismo, “decideremo noi chi entra in Europa“, mostra anche ai ciechi di che “cultura” è fatto “il giardino” del Vecchio Continente.
Come fa notare Guido Salerno Aletta su Milano Finanza, a proposito del Memorandum sottoscritto con la Tunisia, “Nel Memorandum non c’è un solo progetto di iniziativa tunisina: c’è sempre la solita Europa che detta legge a tutto e a tutti“. Peggio ancora: c’è la sordità totale rispetto a quello che vanno gridando governi certamente altrettanto ignobili, moralmente, di quelli europei, ma altrettanto certamente portatori di interessi che andrebbero capiti e soppesati. Se non altro per non venire poi travolti senza neanche vederli arrivare...
Il governo tunisino, per esempio, aveva detto molto chiaramente che “non avrebbe accettato gli aiuti per 900 milioni di euro che sono stati promessi dall’Unione Europea come incentivo per accettare il prestito che il Fmi dovrebbe erogare per salvare il suo Paese dall’imminente bancarotta, in quanto viene condizionato all’adozione di riforme profondamente impopolari: di questo Fmi, soggiunse, i Paesi del Sud non sanno che farsene”.
A sentire i media mainstream, invece, che ripetono a pappagallo le cazzate sparate da ministri senza vergogna (la “competenza” non c’era mai stata...), la ragione della massa di arrivi delle ultime settimane starebbe solo nella “pretesa” tunisina di ricevere almeno la prima tranche degli aiuti promessi.
Insomma: se sai benissimo che quel governo “non aveva accettato la proposta della Commissione europea di trasformare la Tunisia, come si è fatto con la Turchia per chiudere la rotta balcanica, in un insediamento per i migranti provenienti dalle aree a meridione del Sahel, delegandole pure il compito di accertare il diritto all’asilo dei richiedenti e di consentire la partenza verso l’Europa solo a coloro che ne hanno i requisiti, rinviando gli altri ai Paesi di origine“, come puoi pensare di elaborare un “piano” per “fermare le partenze” che prevede di affidare a Tunisi il ruolo che rifiuta?
Che fai? Mandi Impregilo a fabbricare campi di concentramento a Cartagine senza il consenso del governo? Oppure mandi le navi militari europee nei porti nordafricani? E come pensi che verranno accolti i marinai a bordo, col sorriso sulle labbra?
Solo dei mentecatti possono immaginare di poter affrontare e risolvere problemi “epocali” con ricette e slogan da osteria. Ma, sia in Europa che negli States, questo tipo di “personale politico” è stato selezionato nell’era del neoliberismo come “il più adatto” a realizzare i desiderata della imprese.
Ora i nodi arrivano al pettine. E non sarà piacevole...
Buona lettura.
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Quando i leader del Sud del mondo parlano, quelli del Nord fanno finta di ascoltare: vanno avanti imperterriti con la loro narrazione, si incantano con le loro stesse parole, rimanendo attoniti quando la realtà si manifesta inevitabilmente, in tutta la sua crudezza.
Come in questi giorni, quando l’isola di Lampedusa che è stata invasa come mai prima dagli arrivi di clandestini, ha costretto la Protezione Civile a dichiarare lo stato di emergenza.
Basta ritornare indietro, alla cronaca di questa estate: tra giugno e luglio era già chiaro tutto. Si sono rivelate senza fondamento le speranze che pure in molti avevano tratto dalla Conferenza sulle migrazioni tenutasi a Roma.
Le conclusioni erano una nuvola di appuntamenti, di scadenze, di richiami alle transizioni energetiche ed ambientali, alle sfide demografiche ed epocali di ogni genere, mentre intorno al tavolo i convenuti si aspettano solo soldi, e pure tanti. Ma era arrivata solo la promessa degli Emirati Arabi Uniti, di un contributo di 100 milioni di euro a un futuribile Fondo per lo Sviluppo.
Saïed: «non vogliamo aiuto dal Fmi»
Il presidente tunisino Kaïs Saïed lo aveva già detto, che non avrebbe accettato gli aiuti per 900 milioni di euro che sono stati promessi dall’Unione Europea come incentivo per accettare il prestito che il Fmi dovrebbe erogare per salvare il suo Paese dall’imminente bancarotta, in quanto viene condizionato all’adozione di riforme profondamente impopolari: di questo Fmi, soggiunse, i Paesi del Sud non sanno che farsene.
E aveva ricordato di non aver accettato la proposta della Commissione europea di trasformare la Tunisia, come si è fatto con la Turchia per chiudere la rotta balcanica, in un insediamento per i migranti provenienti dalle aree a meridione del Sahel, delegandole pure il compito di accertare il diritto all’asilo dei richiedenti e di consentire la partenza verso l’Europa solo a coloro che ne hanno i requisiti, rinviando gli altri ai Paesi di origine.
Non solo; Saïed aveva fatto inserire questo esplicito diniego nel Memorandum di intesa firmato il 16 luglio con la Ue, in cui i 105 milioni di euro previsti come aiuti erano stati ripartiti tra una miriade voci: noi guardiamo solo a quelle che ci interessano davvero, alla gestione delle migrazioni, che riguardano il contrasto alle «partenze irregolari», il ritorno ai Paesi di provenienza degli stranieri presenti in Tunisia e il rientro dei tunisini senza permesso di soggiorno nell’Ue, il supporto alla Guardia Costiera tunisina in termini di nuovo equipaggiamento per le attività di ricerca e salvataggio.
In realtà a Bruxelles ci si era vantati del Memorandum definendolo un esempio di accordo multidimensionale, che abbraccia un po’ tutto lo scibile: dall’acqua potabile all’agricoltura sostenibile, dalla resilienza dei sistemi alimentari alla sicurezza del cibo, dalla transizione a una economia a basse emissioni di carbonio alla gestione sostenibile dei rifiuti attraverso partnership pubblico-privato, dalla cooperazione nel settore digitale con la realizzazione del cavo in fibra ottica Medusa alla partecipazione della Tunisia al Programma Digital Europe, dall’incremento della competitività del suo sistema di trasporto aereo alla incentivazione degli investimenti, dalla transizione verso le fonti di energia rinnovabile alla produzione di idrogeno e di ammoniaca, dalla riforme del sistema regolatorio che deve essere trasparente, stabile e predittibile al fine di rendere attraenti gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili e di abilitare la Tunisia a esportare queste energia ed altri prodotti tenendo conto della introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam).
Italia: tra incudine e martello
Mentre questo disegno futuribile incanta, l’Italia è stata messa alle strette: la pressione migratoria viene usata ancora una volta come leva negoziale.
Francia e Germania si sono intanto tolte entrambe un sassolino dalla scarpa, forse per non essere state invitate alla Conferenza sullo Sviluppo e la Migrazione: Parigi ha annunciato il raddoppio degli effettivi di polizia alla frontiera di Mentone per contrastare l’infiltrazione dei clandestini che provengono da Ventimiglia; Berlino ha sospeso le procedure di solidarietà su base volontaria in base a cui si procede alla ricollocazione dei migranti entrati illegalmente e che non hanno diritto all’asilo.
Il fatto è che in Europa ci sono in ballo il Mes, che non abbiamo ancora ratificato, e il nuovo Patto di Stabilità su cui non solo ci siamo messi di traverso rispetto a proposte che ci penalizzano, ma abbiamo anche tirato in ballo il commissario europeo Paolo Gentiloni stigmatizzandone una sorta di scarsa attenzione verso il nostro Paese.
Le voci che girano su un suo ritorno alla carriera politica in Italia rendono sempre più nervoso un clima già teso.
Oltre alla revisione del sistema di salvataggio degli Stati e delle banche in difficoltà e delle regole che disciplinano i bilanci pubblici da cui dipenderà il nostro futuro per gli anni a venire, c’è una ragione di fondo: il fare arcigno del direttorio franco-tedesco rispecchia la volontà di mantenere ferma una diarchia europea che ha fatto eccezioni solo quando alla Presidenza del Consiglio c’era Mario Draghi: una cortesia ad personam.
Ma a Giorgia Meloni non si fanno sconti, anzi. Ancor meno gradito è stato l’attivismo in politica estera di cui si è resa protagonista, accreditandosi a Washington, entrando in sintonia con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e soprattutto tentando di avere un ruolo da protagonista nella definizione dei futuri accordi dopo l’elezione del nuovo Parlamento Europeo.
Italia e Tunisia: il nodo sull’immigrazione
In fondo la Tunisia sta facendo nei confronti dell’Italia esattamente ciò di cui noi stessi veniamo sempre accusati dai partner degli Accordi di Dublino: cerchiamo entrambi di liberarci quanto prima possibile dell’immigrazione che arriva indesiderata, per via dei costi che comporta e dei problemi derivanti dalla convivenza forzata.
Ma è l’atteggiamento saccente e inquisitorio che non paga, con il diniego del visto di ingresso in Tunisia agli europarlamentari che avrebbero voluto incontrare sindacalisti, esponenti della società civile e oppositori del governo: mentre le chiediamo collaborazione, fino a immaginare di esternalizzare le procedure di validazione ai fini della concessione dell’asilo, ci riteniamo gli unici garanti dei diritti e i soli depositari della giustizia.
Nel Memorandum non c’è un solo progetto di iniziativa tunisina: c’è sempre la solita Europa che detta legge a tutto e a tutti. Solidarietà strumentale con la Tunisia e pressioni politiche sull’Italia: noi che siamo Sud dovremmo sapere bene che l’ipocrisia è la legge del più forte.
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