Secondo il politologo Ivan Arkatov, le parole del presidente polacco Andrzej Duda a proposito del Donbass, non sono che un tentativo di mantenersi al livello della narrazione occidentale e si limitano a ripetere quanto detto dal capo dell’intelligence militare ucraina Kirill Budanov, e cioè che l’esercito ucraino si prepara a una nuova offensiva nel 2024 e che dunque è necessario aiutare l’Ucraina.
In realtà, afferma Arkatov, «l’opinione del popolo ucraino non ha alcuna importanza per il presidente polacco; importante per lui è l’opinione del proprio popolo e dei suoi alleati europei».
Cosa ha detto Duda, che ha sollevato l’ira di Kiev? A proposito della Crimea, Duda ha dichiarato a Kanal Zero che «se si analizza storicamente, negli ultimi secoli essa è rimasta per lo più in mano russa».
A questo proposito, il senatore russo della Crimea, Sergej Tsekov, ha dichiarato a Komsomol’skaja pravda che Duda non ha fatto altro che impartire una lezione di storia a chi l’avesse dimenticata: 68 anni fa Nikita Khrušcëv aveva passato la penisola all’Ucraina; 32 anni fa Boris El’tsin rifiutò di correggere l’errore. Ma, prima di ciò, per due secoli la Crimea aveva fatto parte dell’impero russo e poi dell’Unione Sovietica, nella compagine della RSFSR.
Ma una spiegazione dell’uscita di Duda potrebbe ricercarsi nel tentativo di giustificare, in questo modo, le pretese polacche su L’vov e su alcune regioni dell’Ucraina occidentale, rimaste a lungo polacche.
Allo stesso modo in cui in Ungheria si pensa a parte della Transcarpazia come territorio ungherese, o in Romania si guarda alla Bucovina. Chiaro che Duda non parla pubblicamente di questo: ne parlano però apertamente politici e media d’opposizione.
La domanda che Igor’ Jakunin rivolge a Tsekov è se sia pensabile che Varsavia, Budapest o Bucarest tentino di concretizzare le proprie pretese su quei territori alla caduta del regime di Vladimir Zelenskij o addirittura prima.
A parere di Tsekov, che un’effettiva “spartizione” dell’Ucraina avvenga presto o tardi, nulla toglie al fatto che, in ogni caso, il tema continuerà a lungo a venire alla ribalta. E questo perché l’attuale leadership golpista ucraina si preoccupa costantemente di riscrivere la storia.
Se si prendono gli ultimi massacri delle forze ucraine – i razzi che hanno assassinato 25 persone a Donetsk e 28 a Lisichansk – essi rappresentano nuove dimostrazioni di come sia a Kiev, che in Occidente, quello non venga considerato territorio russo; lo stesso per la Crimea. Hanno ancora remore a colpire il “canonico” territorio russo, comprendendo cosa potrebbe significare.
Ma, tornando allo specifico delle mire polacche, ungheresi e rumene su parti del territorio ucraino, l’osservatore Timofej Belov afferma che i paesi vicini cominciano a capire quanto l’Ucraina sia l’unico vero ostacolo sulla strada del ripristino delle relazioni con la Russia. E Varsavia è quella maggiormente motivata.
Per l’ennesima volta (dunque, non proprio casualmente) un canale tv locale ha mostrato una carta in cui appaiono “polacche” cinque regioni ucraine: Lutsko (Volynija), Rovno, L’vov, Ternopol’, Ivano-Frankovsk. Territori abitati da molti polacchi etnici, ma anche da fanatici banderisti (soprattutto nella Volynija, o la Galizia storica) che in tal modo si ritroverebbero automaticamente nella UE.
Prove di una sorta di connivenza tra eredi – di ex carnefici da una parte e di ex vittime dall’altra dei massacri banderisti nella Volynija – pare si siano registrate in qualche area della Polonia. Poco tempo fa e solo per alcuni giorni era apparsa sul segmento di e-commercio della catena polacca Empik la pubblicità di accessori domestici con l’immagine di Stepan Bandera.
Vero è che la réclame è stata presto ritirata, temendo le conseguenze dell’art. 256 CP sulla «pubblica propaganda di un ordinamento statale fascista o totalitario, ecc». Resta però il fatto che, a forza di flirtare con l’Ucraina banderista e coltivare l’odio per la Russia, una parte della società polacca si è spinta abbastanza lontano: decenni di “lotta europeista al totalitarismo” (s’intende: rigorosamente solo comunista) danno i frutti sperati.
E agli appetiti polacchi si affiancano le “nostalgie” ungheresi sulla regione di Užgorod (Transcarpazia) e rumene su quelle di Vinnitsa e Cernovtsi. Una volta venuti a capo della situazione ucraina e gli “alleati” europei abbiano riconosciuto legittime quelle pretese storiche, conclude Belov, sarebbe difficile (per quanto, si sa, nei rapporti con Mosca nulla è impossibile) non riconoscere come russe Crimea, LNR e DNR, o le regioni di Khersòn e Zaporož’e.
Tanto più che, si nota a Mosca, gli stessi sondaggi occidentali costatano un sensibile calo del sostegno all’Ucraina tra la popolazione.
Secondo “Eurobarometro” gli ultimi sondaggi tra la popolazione di paesi UE mostrerebbe una “tenuta” nel livello di appoggio a Kiev. Però, a maggio-giugno 2023, il 75% degli europei diceva di non essere contrario per principio all’assistenza finanziaria all’Ucraina, ma in ottobre era il 72%.
A inizio estate, il 64% non era contrario alla concessione all’Ucraina dello status di “membro candidato alla UE”, ma a ottobre era il 61% e il 60% (non più il 64%) era favorevole all’invio di armi a Kiev.
Naturalmente, nella UE ci sono tanti paesi; così, se in Polonia si raggiungono simili percentuali, ecco che, ad esempio, in Grecia si scende al 37%, in Slovacchia al 34%, in Bulgaria e a Cipro al 31%.
In Italia, secondo un sondaggio de LaPolis-Università di Urbino, riportato lo scorso 22 gennaio da Il Fatto, il sostegno sugli aiuti militari all’Ucraina ha fatto registrare la percentuale più bassa dall’inizio della guerra: appena il 42% degli intervistati ritiene giusto continuare a fornire armamenti a Kiev, mentre era il 47% a settembre 2023 (51% in aprile), secondo un sondaggio SWG riportato da La7.
Formulando in maniera un po’ diversa le domande rispetto a “Eurobarometro”, i sondaggi di “Eupinions” dicono che secondo il 59% degli europei (il 70% in Germania: qui influiscono non poco le posizioni, da sinistra, della nuova “Bündnis Sahra Wagenknecht” e, da destra, di “Alternative für Deutschland”), la ricostruzione del’Ucraina sarebbe un fardello per la UE.
Tendenza simile anche in USA: secondo “Gallup”, a fine autunno 2023 il 41% (il 29% a giugno) degli americani riteneva eccessivo l’aiuto fornito all’Ucraina; il 33% (43% a giugno) giudicava sufficiente il sostegno di Kiev.
Ovviamente, negli States il sostegno all’Ucraina poggia principalmente sui democratici: tra essi, solo il 14% ritiene eccessivo il sostegno a Kiev, contro il 44% (28% in estate) degli elettori indipendenti e il 62% (43% nell’estate 2023) dei repubblicani.
I signori di Bruxelles e di Washington raccolgono i frutti delle loro semine e a ragione si può dir loro «piangasi il danno a cui di ciò mal piglia» (Boccaccio, Teseide).
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