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06/02/2024

La confusione antileninista del Ministro Sangiuliano

Circa due settimane or sono, il Corriere del Mezzogiorno pubblicava un articolo a firma del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il cui titolo così recitava: “Lenin e l’élite russa a Capri, laboratorio della rivoluzione”.

L’ineffabile Ministro dava fondo – nel pezzo spacciato per analisi storico-culturale, laddove trattasi di semplice e indigesta manifestazione di livore anticomunista – a tutta la paccottiglia pubblicistica, di matrice liberal-liberista e/o fascista che dir si voglia, sul rivoluzionario russo, capo dei bolscevichi e architetto indiscusso della Rivoluzione d’Ottobre, tracciandone un profilo in bilico tra la falsificazione del dato storiografico, l’insulto personale e il teatro storico dell’assurdo.

Di seguito pubblichiamo in esclusiva la risposta che il professor Guido Carpi, docente di letteratura russa all’Università di Napoli, ha deciso di affidare alle pagine di Contropiano, visto il panorama informativo sempre più asfittico e la tremebonda ritrosia di tante redazioni mainstream.

Carpi è autore di importanti saggi sulla storia e la letteratura russa, sul marxismo e sulla Rivoluzione d’Ottobre. Oltre che di ben tre volumi ponderosi su Lenin.

Buona lettura...

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La confusione antileninista del Ministro Sangiuliano

Guido Carpi

Il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano si confonde. Succede quando, nel trattare un argomento storicamente cruciale come la rivoluzione d’Ottobre e i suoi dintorni, ti affidi al canovaccio dei romanzi semipubblicistici e supercriminalistici di Aleksandr Solżenicyn e ci ricami sopra, in una sorta di vuoto pneumatico storiografico.

Maksim Gor’kij, residente a Capri, era lo scrittore più celebre dell’epoca, e godeva indubbiamente di buone disponibilità economiche, ma non era affatto “perfettamente integrato nelle abitudini aristocratiche” dell’èlite caprese: di origini umilissime, Gor’kij conduceva una vita piuttosto sobria e utilizzava buona parte dei propri introiti per finanziare i socialisti russi perseguitati in patria e per contribuire a cause umanitarie (ad esempio, il sostegno ai terremotati di Messina).

Attorno a lui non vi era alcuna “colonia russa caprese” stabile, né tantomeno una “élite rivoluzionaria aristocratica”: i rivoluzionari citati da Sangiuliano – tutti esuli braccati dai gendarmi zaristi – nel 1910 erano convenuti sull’isola per risolvere alcuni dissidi interni e per realizzare la “Scuola operaia di Capri”, che non doveva imporre “una sorta di egemonia” sugli operai, ma, al contrario, stimolarli a creare una propria autonoma cultura e visione del mondo.

Sempre al contrario di quanto rapporta Sangiuliano, Lenin era contrarissimo al progetto della Scuola: a suo parere, la priorità della classe operaia non era costruire un’utopistica “cultura proletaria”, ma acquisire quei rudimenti della cultura già esistente che permettesse loro di emanciparsi e al contempo di trasformare l’intera società.

Né Lenin ne i suoi avversari di partito costituivano alcuna “élite intellettuale di provenienza borghese se non addirittura aristocratica”: il nonno paterno di Lenin era un servo della gleba e quello materno era un medico ebreo. Figlio di un ispettore scolastico di provincia e fratello di un condannato a morte del regime zarista, Vladimir Ul’janov (Lenin) si era poi laureato in giurisprudenza, proprio come il ministro Sangiuliano, a cui nessuno si sognerebbe di ascrivere a demerito tale circostanza.

E ancora: i bolscevichi non avevano affatto auspicato “il bagno di sangue della Prima guerra mondiale”: quando Georgij Plechanov – il maestro politico di Lenin – fece professione di lealtà patriottarda, il capo bolscevico lo apostrofò come “porco!”

Sulle divagazioni psicopatologiche di Sangiuliano mi limito a notare che invece di scandagliare la mente criminale di Lenin chiamando in causa l’incolpevole Dostoevskij, sarebbe stato meglio ripassare Wikipedia sui fatti più basilari.

La sigla “Nep”, ad esempio, non significa affatto “Nuova economia pianificata”, ma “Nuova politica economica”: un ritorno temporaneo all’economia di mercato, attuato da Lenin nel contesto della grave crisi del marzo 1921, e che della pianificazione imposta da Stalin un decennio dopo rappresenta... l’esatto contrario! Non male per uno che su Lenin si vanta di avere addirittura scritto un libro.

Che a una persona dalla formazione politica come quella del ministro Sangiuliano Lenin faccia orrore, è cosa ovvia e – dal mio punto di vista – del tutto rispettabile. Consiglierei però al collega (che è infatti anche docente del Master in Giornalismo e Comunicazione dell’Università telematica “Pegaso”) di sobbarcarsi almeno il minimo sindacale del lavoro di storico e di documentarsi meglio sull’oggetto delle proprie idiosincrasie: se ce l’ha con Lenin se la prenda con Lenin, non con una testa di turco confezionata ad hoc.

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“Lenin e l’élite russa a Capri, laboratorio della rivoluzione”

Gennaro Sangiuliano – il Corriere del Mezzogiorno

Tra il 1908 e il 1910 Vladimir Ilic Uljanov detto Lenin trascorse due periodi della sua vita a Capri, già a quel tempo riconosciuta come la «perla del Mediterraneo», un paradiso avulso dalle sofferenze del mondo, un luogo che dall’epoca dei grandi imperatori romani era diventato la meta di nobili e teste coronate in fuga dagli affanni del potere.

La Capri degli inizi del nuovo secolo è l’intreccio di ricche élite multinazionali, accomunate dall’agiatezza e dalla ricerca di suggestioni intellettuali. A Villa Discopoli soggiornava lo scrittore Rainer Maria Rilke, mentre la splendida Villa Lysis era la residenza del ricchissimo conte francese Jacques d’Adelsward Fersen, rampollo di un’altra dinastia industriale, allontanato dai salotti parigini per via della sua dichiarata omosessualità. Lo scrittore inglese, di origini polacche, Joseph Conrad vi aveva trascorso un periodo, come pure Norman Douglas e Oskar Kokoschka.

In questo contesto, perfettamente integrata nelle abitudini aristocratiche del luogo, si era sedimentata una colonia russa. Maksim Gorkij si era stabilito a Capri ai primi di novembre del 1906, pochi giorni prima, il 26 ottobre, era sbarcato a Napoli dal transatlantico «Princess Irene» proveniente da New York, assieme a Maria Fjodorovna Andreeva e a Nicolaj Burenin, un ricco borghese di San Pietroburgo convertito al marxismo.

Accanto allo scrittore gli elementi di spicco della colonia caprese erano Aleksandr Aleksandrovic Bogdanov, all’epoca il più temuto avversario interno di Lenin che per un certo tempo gli avrebbe conteso la leadership politica, quindi Anatolj Vasilevic Lunacarskij, futuro commissario dell’Istruzione (una sorta di ministro) dei primi governi sovietici, e Vladimir Bazarov Rudnev, economista teorico della Nep (Nuova economia pianificata).

Sarebbero stati invitati anche altri protagonisti della Rivoluzione come Aleksinskij, Rožkov, Skorcov-Stepanov, Desnickij e Pokrovskij.

I documenti inglesi, alcuni dei quali recano ancora il timbro «secret», raccontano alcuni spezzoni del Lenin caprese; gli agenti segreti britannici sono soprattutto interessati ai suoi rapporti con l’aristocrazia prussiana che frequenta l’isola.

Morto Alfred Krupp, la figlia Bertha (quella che darà il nome al famoso cannone della Grande guerra) comincia a frequentare Capri, naviga con lo splendido panfilo «Germania» davanti ai Faraglioni. Le crociere della famiglia Krupp nel Golfo di Napoli ospitano spesso il generale Paul von Hindenburg, futuro presidente del Reich, allora esponente di spicco dello Stato maggiore militare tedesco.

La vita caprese di Lenin è lo spaccato, evidente anche in una celebre foto, di una élite rivoluzionaria aristocratica non dissimile negli stili di vita, ma anche nella sostanza, dal potere che lavorava per abbattere. A Capri Vladimir Ilic Uljanov, leader della frazione bolscevica del Partito socialdemocratico, si muove come l’imperatore del prossimo impero comunista, lo zar rosso che in un decennio affermerà la dittatura del terrore.

Nell’agosto del 1909 prende il via la cosiddetta «Scuola di Capri», sintesi della vera sigla: Scuola della tecnica rivoluzionaria per la preparazione scientifica dei propagandisti del socialismo russo. Lenin e Gorkij, al di là della retorica rivoluzionaria e degli appelli alle masse, sapevano bene che la rivoluzione sarebbe stata fatta da un’élite intellettuale di provenienza borghese se non addirittura aristocratica.

Come gli illuministi avevano imposto una sorta di egemonia attraverso l’Enciclopedia francese, che aveva ispirato le idee della Rivoluzione giacobina, allo stesso modo i capresi puntavano a guadagnare, attraverso una «Enciclopedia dei lavoratori», quel consenso che avrebbe preparato la Rivoluzione proletaria.

Gli storici sono concordi nel ritenere che per molto tempo il partito bolscevico non superò i ventiquattromila iscritti, davvero pochi rispetto alle dimensioni demografiche dell’immensa Russia. Quella minoranza, però, così elitaria quanto determinata, avrebbe vinto.

Vladimir Ilic Uljanov fu un uomo dotato di grandi capacità intellettuali e di tenacia, una persona fuori dal comune, dotato di un carattere forte e complesso. Come dirigente politico riuscì a fondare e guidare alla vittoria la fazione bolscevica del comunismo russo, trasformandola con spietata efficacia in quella élite di professionisti della politica che progettò e attuò la Rivoluzione d’Ottobre.

Le azioni di Lenin misero in moto una catena di eventi che influirono in maniera decisiva sugli esiti del marxismo e la storia mondiale. I bolscevichi, dopo aver auspicato il bagno di sangue della Prima guerra mondiale, in cui videro il detonatore della rivoluzione, conclusero una pace separata con gli imperi centrali e vinsero la guerra civile. Nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria finale di questa minoranza.

Dalla Rivoluzione russa nacque l’Urss, il primo stato comunista al mondo, basato sul terrore interno e un ferreo dogmatismo ideologico. Come in una religione, l’Unione Sovietica fu eletta quale modello dell’altro «Paradiso» a cui tutti i comunisti del mondo cominciarono a ispirarsi.

Vladimir Ilic Uljanov, detto Lenin, dunque, sul palcoscenico della storia risulta essere come il creatore di quel sistema politico ideologico che il presidente degli Stati Uniti, Ronald Reagan, bollò decenni dopo come «L’impero del male».

La sua tragicità richiama «l’egoismo, l’amoralismo e l’ateismo» di alcuni personaggi di Dostoevskij. Ogni uomo, insegna il grande scrittore russo, ha la percezione di ciò che è «bene» e ciò che è «male», il leninismo sovverte questa sicumera morale e divide le azioni degli uomini in «rivoluzionarie» e non, per cui all’interno delle prime tutto è concesso, anche le cose più bieche.

Nella dialettica di Dostoevskij anche il delitto esprime, in maniera deformata, l’energia dello spirito. Lenin traspone questi stimoli sul piano della storia, perché la rivoluzione può sovvertire ogni precetto morale e trasformare in bene l’assassinio di massa.

Aleksandr Solženicyn e Dimitrij Volkogonov ritengono che vada posto al di fuori della tradizione russa e ricollegato più immediatamente all’eredità del giacobinismo francese. Richard Pipes descrive Lenin come un semplice psicopatico privo di scrupoli. Bertrand Russel che lo incontrò annota: «Quando conobbi Lenin, non mi fece l’impressione del grande uomo che mi aspettavo. Le mie più vivide impressioni furono di bigotteria e crudeltà mongolica».

Su Lenin a Capri ho scritto un saggio sulla base di numerosi documenti storici. Ricordo la recensione che mi dedicò Raffaele La Capria sul Corriere della Sera, sabato 20 luglio 2013. Per me fu motivo di grande soddisfazione leggere testualmente «l’ho letto tutto d’un fiato, con curiosità senza mai annoiarmi perché è un libro pieno di notizie e di informazioni frutto di una paziente e appassionata ricerca intorno a cose che si sapevano o io credevo di sapere».

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