Hanno agitato il cartellino rosso in centinaia di migliaia, forse un
milione. Go out anziché Irhal per farlo capire Oltreoceano. In 22
milioni dicono d’aver firmato per le dimissioni di Mursi sebbene Hatem
Bagato, vicepresidente dell’Alta Corte Costituzionale, sostenga che il
presidente non può essere dismesso da simili iniziative.
Dalle rivolte di piazza sì, come accadde per Mubarak ed è
questa la partita che la composita opposizione cerca di giocare da mesi.
Non c’è ancora riuscita perché un’altra parte della nazione sta col
presidente democraticamente eletto ed è in questo logorante dialogo fra
sordi che l’Egitto si dibatte. E ora combatte. I pur violenti episodi
che portano morti, ieri altri quattro, e distruzioni, nuovamente il
quartier generale della Brotherhood a Moqqatttam, sono paradossalmente
poca cosa rispetto a una crisi tanto lunga dove le ragioni non stanno
tutte da una parte.
Il grigiore dei Fratelli, le divisioni dell’opposizione
I limiti della gestione Mursi-Qandil risiedono anche nell’approccio
burocratico con cui le due grigie figure di partito guidano la nazione.
Sono entrambi uomini d’apparato, privi di carisma contro cui a gennaio
s’era mosso il potente Al-Shater ma i vertici della Confraternita
l’hanno fermato. Eppure la coppia ha intrapreso il non facile compito
che ricopre dopo scadenze che l’opposizione tende a sminuire: i netti
successi elettorali alle politiche del 2011-2012 e alle presidenziali
d’un anno fa. Una leadership dunque legittimata dal voto. Certo il
Parlamento ad ampia maggioranza islamica ora è vuoto e va rieletto e
magari vedrebbe un assetto differente. Venne sciolto d’autorità dalla
Suprema Corte e l’atto originò un primo contrasto col Mursi appena
insediato come Capo di Stato. Delle elezioni che si dovevano tenere a
primavera 2013 non s’è più parlato, se la situazione non precipiterà si
dovrebbe votare in autunno. Ma la stessa opposizione che vuole liberarsi
di Mursi non fa nulla per richiederle perché è divisa e teme la
verifica dell’urna. La componente più organizzata - che ruota attorno al
Fronte di Salvezza Nazionale creato dal post nasseriano Sabbahi e dal
duo ElBadadei-Moussa (che i veri ribelli marcati “6 ottobre” considerano
rottami dell’era Mubarak) - secondo le proiezioni non raggiungerebbe il
20%. Più di loro hanno attrattiva i veri feloul,
che non a caso nella sfida per il potere dell’anno scorso s’erano
concentrati su un mubarakiano doc come Shafiq. Costoro rappresentano il
fulcro finanziario della contestazione di lungo corso al potere
islamico, grazie a imprenditori che pagano iniziative politiche e
affarucci loschi come prezzolare i teppisti, quei baltagheyah
di cui s’era parlato nei giorni di rivolta contro il raìs e in
occasione della strage allo stadio di Port Said. Secondo la Fratellanza
sono tornati in azione e rappresentano una delle facce violente del
vecchio Egitto. L’altra è quella ideologica gestita dai tycoon di taluni
media televisivi che speculano e diffondono falsità su temi religiosi o
questioni morali. Una era stata la notizia d’una ipotesi di legge
presentata da un deputato islamico sulla possibilità di “coito con la
consorte appena defunta” (sic).
Le carenze della Fratellanza
Il black out che la dirigenza del FJP ha creato verso la voglia di
cambiamento d’una buona fetta della nazione che oggi si ritrova in
piazza, un desiderio successivo non solo alla caduta di Mubarak ma ai
sedici duri mesi di passaggio delle consegne alla politica da parte
della Giunta militare Tantawi, riguarda le tante promesse non mantenute.
Sul lavoro che in un anno non ha visto investimenti e segna
un’angosciosa disoccupazione, sul miglioramento della vita nelle
campagne dove l’approvvigionamento dell’acqua è problematico (e
diventerà peggiore con la guerra del Nilo apertasi con la mega diga
etiopica), sulle condizioni delle città afflitte da inquinamento e
servizi necessari di profondi restyling come la sanità, i trasporti, la
nettezza urbana al Cairo. Il giro torna sui finanziamenti, 5 miliardi di
dollari promessi da Fmi, Ue e solo parzialmente arrivati, più concreto
il Qatar che una parte dei suoi 10 li ha versati seppure in cambio
d’ingerenze che non piacciono ai laici. Comunque diversi dei dodici
punti con cui il Partito della Libertà e Giustizia aveva stravinto le
elezioni non sono stati neppure sfiorati e questo la gente lo vede e lo
critica. Tantoché nella famiglia dell’Islam politico, che nel 2012 era
2/3 del Paese, i salafiti hanno guadagnato sui fratelli chiacchieroni
ampliando le simpatìe sia con la sigla di Al-Nour, seppure abbia perso
figure prestigiose come Abdel Ghafour
fondatore d’un nuovo soggetto politico, sia con Al-Gamaa Al-Islamiya.
Passi che dovrebbero preoccupare gli oppositori-detrattori della
Fratellanza Musulmana molto di più visto che i gruppi fondamentalisti
sono i sostenitori d’una vera applicazione della Sh’aria nei costumi
interni.
La nuova Costituzione Il nodo, diventato
scorsoio, nella vita politica egiziana riguarda appunto la Carta
Costituzionale votata e attuata con un’accelerazione contestatissima
dall’opposizione. Questa però ha per mesi boicottato l’Assemblea
Costituente, ottenendo lo scioglimento d’una prima assise che aveva
iniziato a lavorare nella primavera 2012 e fuoriuscendo a quella
successiva. La seconda Assemblea era composta in parte da politici per
il resto da costituzionalisti, giuristi, studiosi e intellettuali che
hanno sottoscritto norme non dissimili da quanto prevedeva la precedente
Costituzione del 1971. La finalità d’una Carta che sancisse garanzie
per l’intera società egiziana ha trovato contestazioni, da alcuni
considerate capziose, da altri vitali per un pluralismo che di fatto
stenta a essere accettato dai due fronti. Che appunto pochi giorni dopo
il decreto presidenziale che varava la Costituzione hanno iniziato a
marciare l’uno contro l’altro e non hanno mai smesso, intervallando i
cortei non più di soli slogan ma di bastoni, molotov e fucili.
Situazione che si trascina dal 7 dicembre scorso quando la residenza
presidenziale di Heliopolis è stata assaltata e per le vie del quartiere
è apparsa la guerriglia notturna. Fenomeno ripetuto periodicamente con
gli assalti mirati alle sedi del partito di governo. E un allarme
sicurezza che pone le Forze Armate come controllori e possibili
risolutori d’un conflitto senza uscita. Finora loro, i familiari e la
catena imprese alimentar-commerciali che gestiscono non gli ha fatto
mancare il cibo in queste giornate d’allarme rosso.
Fonte
Le ultime settimane, a livello internazionale sono state un rimpallo senza precedenti di manifestazioni di dissenso destabilizzante per il globo.
Si era partiti con la Turchia immediatamente seguita da un Brasile che avevamo dimenticato dopo i clamori mediatici del caso Battisti e mi ritrovo ora a sfogliare numerosi articoli circa la recrudescenza degli scontri in un Egitto in subbuglio da mesi ma di cui si leggeva poco e nulla.
Come nel caso dello scandalo a stelle e strisce sulle intercettazioni, anche qui ho cercato di proporre l'analisi della situazione che mi è parsa più puntuale e costruttiva per i non addetti ai lavori come il sottoscritto.
La cronaca più o meno precisa degli eventi non ha bisogno d'essere indicata visto che in queste ore si trova un po' dovunque.
Vale comunque la pena sottolineare anche qui che le giornate d'intensissime manifestazioni di piazza nella terra dei faraoni, hanno condotto l'esercito a inviare a Mursi un ultimatum di 48 ore entro le quali i Fratelli Musulmani sono chiamati a mettere una pezza alle richieste del popolo pena, probabilmente, l'intervento diretto delle forze armate egiziane nella gestione della crisi politica.
Nessun commento:
Posta un commento