Volano sedie, sputi e insulti dentro i palazzi della politica e ai piani alti delle istituzioni. La gravità di questa crisi non è tanto nel risultato finale – Berlusconi uscirà di scena e nessuno ne rimpiangerà le gesta, se non i venditori di sensazioni inutili – quanto nei danni che sta provocando all'establishment.
La telefonata mandata in onda da Formigli (in cui il Cav. cerca di spingere un suo parlamentare a “sondare” ambienti della Cassazione, per verificare se effettivamente Giorgio Napolitano avesse fatto riscrivere la sentenza – e l'entità dell'indennizzo a De Benedetti – sul “lodo Mondadori”), illustra un costume “impolitico” che sembrerebbe aver pochi eguali al mondo. Sia chiaro, non ci stupiamo affatto e pensiamo che comportamenti del genere siano massificati, a livello di classe dirigente. In un paese dalle regole labili e dalla corruzione facile, “oliare il meccanismo” con interventi non legali diventa la norma. Dall'iscrizione di un figlio all'asilo fino all'attribuzione delle poltrone ministeriali (micidiale, su questo punto, la puntata di Report curata dall'ottimo Bernardo Jovene).
E pensiamo che accada anche per molte sentenze. Ma qui casca l'asino Berlusconi. Mentre sta gestendo la sua uscita dal palazzo, con un partito spaccato e pronto ad esplodere, con le aziende sotto attacco da parte della speculazione di borsa; mentre mette in crisi il governo e la “credibilità internazionale del paese", facendo ballare i suoi deputati e ministri tra “dimissioni irrevocabili” e permanenza sulle poltrone; mentre, dunque, perde il conto dei possibili “traditori” o transfughi... prende il telefono e parla chiaro chiaro: sta cercando una “pezza d'appoggio”, anche aleatoria come un “si dice”, per sferrare un attacco senza precedenti contro la presunta “imparzialità” del custode della Costituzione. La cui risposta, stavolta, ha perso ogni sfumatura lessicale, al punto da lasciare senza lavoro i "quirinalisti" dei vari media; non c'era davvero nulla da "tradurre"...
Un ladro di polli se la sarebbe gestita con più accortezza, diciamolo subito. E la grossolanità della manovra berlusconiana, una volta messa in pubblico, dimostra che l'uomo non ci sta più tanto con la testa.
Ma proprio qui sta “l'anomalia” italiana. Che il processo di estromissione di costui sia tanto lungo e contorto è cosa da risultare incomprensibile, dentro un sistema di potere “normale”. È infatti fin troppo evidente che sta trascinando tutto il sistema politico – e quello economico-produttivo, via rialzo dello spread e dei tassi di interesse – in un gorgo senza fondo. Altrove sarebbe stato già fermato, magari dando ordine ai poliziotti della sua scorta di trasformarsi in agenti di custodia.
Evidente, secondo noi, l'importanza attribuita al suo “blocco sociale”. Che dovrà nel prossimo futuro essere utilizzato come pilastro di consenso alle politiche dettate dalla Troika, anche se queste ne eroderanno non marginalmente i redditi. Blocco che va quindi separato da Silvio, ma con cautela, per non provocare resistenze oltranziste che impedirebbero nuove saldature “centriste”.
Ma nel frattempo nessuna delle istituzioni ora al centro della battaglia ne può uscire "sana". Il Parlamento è ormai percepito come un “ente inutile” dalla maggioranza della popolazione; e in effetti questa congrega di “nominati” non ha altro lavoro da fare che approvare le “riforme” dettate dalla Troika, esattamente come nelle precedenti legislature approvavano leggi “ad personam”. La magistratura mantiene forse ancora un margine di “rispetto”, o piuttosto di timore reverenziale, ma ben pochi sono ancora convinti che i magistrati siano davvero imparziali (non tanto perché alcuni sarebbero “politicizzati”, quanto per la corruttibilità che proprio Berlusconi ha spesso utilizzato, come nel caso Mondadori). La presidenza della Repubblica, infine, è da anni un ruolo non più “di garanzia”, ma direttamente politico. Ed è stato proprio Giorgio Napolitano a rovesciarne come un guanto le caratteristiche costituzionali, trasformandolo in un “facitore di governi e maggioranze” invece che un sobrio “notaio”.
Ma anche le apparenze – in democrazia – sono importanti. Uno spettacolo così indecente e di bassa lega non può non avere effetti duraturi sulla “sensibilità” di tutta la popolazione. Se il potere non è capace di esser “terzo” o “arbitro” nemmeno nei propri contrasti interni, chi potrà mai più credere che le decisioni istituzionali vengano davvero prese “nell'interesse del paese”? Chi si sentirà più obbligato a rispettare le leggi se i primi a non rispettarne neanche formalmente una solo coloro che le fanno e poi impongono?
Si stanno scavando la fossa con le proprie mani. Ma attenzione: da queste situazioni cancrenose un potere può cercare di uscire in molti modi. O prolungando l'agonia o cercando il “taglio netto”. Con la democrazia stessa.
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