Italo Di Sabato, responsabile nazionale dell'Osservatorio sulla repressione.
La madre di Stefano Cucchi nella trasmissione di Iacona Presa Diretta ha dichiarato “che era giusto che il figlio pagasse, ma non con la vita. Che in Italia la pena di morte non esiste e non la possono fare loro”. Anche il marito ha dichiarato che Stefano sarebbe dovuto entrare in comunità. Una tua riflessione.
Comprendo i genitori di Stefano che ammettendo le “colpe” di Stefano dicono anche una amara verità: l’inutilità del carcere per chi fa uso di sostanze. Ma purtroppo le carceri italiane, vere discariche sociali, sono piene di tossicodipendenti. Inoltre Stefano cosi come gli altri casi raccontati da “Presa Diretta” erano ragazzi che avevano forse commesso uno sbaglio. Questo non giustifica la fine che hanno fatto né la fatica assurda, disumana, affrontata da famiglie e amici per ottenere la verità. L'opinione pubblica è rimasta spesso indifferente. Non possiamo ridurre il problema, come ha fatto il vice capo della polizia Marangoni nell’intervista rilasciata a Iacona, alla retorica minimizzante delle 'poche mele marce'. In primo luogo, inizia a nascere il sospetto che non siano poi così poche; in secondo luogo, viene da chiedersi in quale cultura, in quale speranza di impunità, in quale clima politico queste mele marciscano. Sappiamo che la degenerazione democratica di un paese non è una cosa astratta. Impossibile pensare che le contraddizioni e le tensioni di un paese in crisi non si riflettano nelle sue forze dell'ordine, che della convivenza civile in quel paese dovrebbero essere garanzia. La società dei diritti è uno schermo eretto a proteggerci. A volte sembra esserci in questo paese un rinnovato desiderio di violenza. C'è chi aspetta di vedere all'opera la mano meno democratica della polizia. C'è chi giustifica le mele marce e contribuisce così al diffondersi della malattia.
L'altro ieri sono stati riportati all’opinione pubblica diversi casi, Aldrovandi, Cucchi, Uva… è mancato Carlo Giuliani. Un’omissione volontaria?
Troppe volte in questi anni ho sentito dire “Si è vero è morto un ragazzo… però Carlo Giuliani se l’è cercata… aveva un estintore in mano…” Personalmente credo invece che l’omicidio di Carlo Giuliani, cosi come la violenta repressione subita nelle strade di Genova, le torture e le sevizie alla Diaz e Bolzaneto abbiamo un filo conduttore con i “morti di Stato” riportati da Presa Diretta. Genova da vicenda-simbolo delle violenze delle forze di polizia (nonché dell’impunità e della scarsa capacità degli apparati dello Stato nell’indagare su se stessi) è diventata una gigantesca rimozione. E così si perde un nesso causale fondamentale: gli abusi di oggi sono figli di un’involuzione delle forze dell’ordine, a sua volta figlia di un percorso culturale che ha sancito il declassamento dei diritti nelle priorità dei cittadini e della politica. Una rimozione senza che ci sia mai stata una presa di distanza o un’autocritica da parte dei vertici, della polizia o delle Istituzioni in generale, verso le violenze commesse. Sarebbe opportuno che la politica e i media nazionali dimostrassero oggi a distanza di quasi 13 anni almeno la sensibilità dimostrata da Presa Diretta verso i casi Cucchi, Uva, Aldrovandi ecc.. : oltre a costituire un parziale e tardivo risarcimento per i fatti genovesi, sarebbe la migliore dimostrazione di una sincera volontà a far sì che queste vicende non si ripetano.
Un fatto eclatante, che non va giù all’opinione pubblica e non possiamo trascurare: i vertici della polizia, nella persona di Alessandro Marangoni, vice capo vicario della Polizia di Stato, hanno negato il numero identificativo per i caschi e le divise dei poliziotti. Hanno parlato invece dell’utilizzo di uno spray urticante al peperoncino che verrà provato a Milano…
Per fronteggiare la crisi economica e sociale verranno ulteriormente inasprite le norme legislative e la gestione dell’ordine pubblico ispirandosi a quel laboratorio della repressione sociale che nell’ultimo decennio hanno rappresentato le curve degli stadi. Il governo teme il conflitto sociale e soprattutto la possibilità di una saldatura stabile tra le varie componenti della protesta: i metalmeccanici, i precari, gli studenti,chi vive la crisi abitativa, i migranti. Per questa ragione stanno per essere varati una serie di dispositivi di natura legislativa e tecnica in grado di consentire un ulteriore giro di vite repressivo nei confronti del diritto di manifestare e di esercitare l’attività politica con incisività e visibilità. Purtroppo penso che nei prossimi mesi avremo a che fare con forze dell’ordine dotate di tuta robocop, casco e maschera antigas, manganello agganciato dietro la schiena, decine di granate “incapacitanti”, cioè accecanti e assordanti, spray urticanti compreso i “capsulum”, potenti lancia-polvere di peperoncino che bruciano i polmoni. E’ in atto un processo di militarizzazione delle polizie che sono addestrate a muoversi e combattere negli “ambienti urbani” ove occorre isolare quartieri, edifici, abitazioni. Non a caso sono stati aboliti di fatto i concorsi per il reclutamento nelle polizie, riservandoli ai soli militari che hanno fatto la ferma volontaria e quindi esperienze nelle guerre in Iraq, Balcani, Bosnia, Afghanistan. Da quando l’Italia si è impegnata a fornire personale nelle guerre umanitarie, aree militari sono state attrezzate per ricostruire ambienti urbani e rurali dove si addestrano carabinieri, parà, assaltatori e bersaglieri che vanno ad operare all’estero, mentre gli stessi reparti di polizia militare sono addestrati realmente, nell’ambiente metropolitano, con l’impiego di ordine pubblico quotidiano sul territorio nazionale e sono gli stessi che operano a guardia di siti di rilevanza nazionale: cantiere No Tav in val Susa, discariche, termovalorizzatori ecc. Di fronte a questo scenario non si può restare in silenzio. Bisogna dare battaglia contro questa nuova ondata emergenzialista e repressiva
Insomma, da una parte la polizia parla di voler continuare il dialogo con i cittadini per un dovere di giustizia, dall’altra esprime la negazione di misure quali i codici identificativi che sarebbero una strada trasparente da percorrere…
Oggi anziché avere delle polizie che garantiscano il diritto a manifestare abbiamo delle polizie che ogni qualvolta si profili una protesta un po' massiccia, anche se lungi dal rappresentare una effettiva minaccia al potere, sceglie di passare a modalità militaresche. Nessuno sembra accorgersi che ben poco fanno le nostre polizie per contrastare il lavoro nero, le neo-schiavitù, l'insicurezza sul lavoro, i gravissimi attentati alla salute pubblica derivanti dall'inquinamento provocato dalle attività sommerse o semi-legali, le stesse ecomafie e le tanto citate evasione fiscale e corruzione. Un universo di reati - cioè di insicurezze - che restano ignorati perché, dalle polizie locali a quelle nazionali, la priorità assoluta è attribuita alla repressione. Cosa verrebbe fuori se si facesse un bilancio effettivamente indipendente e trasparente dei costi e benefici del governo delle insicurezze e della sicurezza in Italia? Ci saranno un giorno dei parlamentari ed eletti negli enti locali che vorranno cimentarsi con onestà e rigore su questo terreno? Per ora l'ignoranza in questo campo appare spaventosa. Tanti sbraitano davanti ai periodici abusi, violenze e atti razzisti, ma poi tutto passa non solo a causa della memoria corta che produce il bombardamento mediatico, ma perché non si guardano gli intrecci delle conseguenze di più di venti anni di liberismo al potere. Se c'è da fare controinformazione utile, occorre denunciare gli episodi di violenze poliziesche - militaresche come continuum di quella governance liberista che allo stesso tempo ignora le vittime delle diffuse e tragiche insicurezze e violenze, ossia quella buona parte della popolazione che tende a diventare maggioranza e che alcuni chiamano il 99 per cento.
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