Ci sarebbe lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) dietro
l'attentato di Dahiyeh dello scorso 2 gennaio.
Il gruppo affiliato ad al-Qaeda, che in questi giorni è riuscito ad
assumere il controllo delle aree di Falluja e Ramadi in Iraq e di ampie
porzioni di territorio della Siria settentrionale, ha rivendicato
l'attacco con un tweet sabato pomeriggio proprio subito prima di
lanciare l'offensiva che lo vede ancora impegnato contro i ribelli del
Consiglio Nazionale Siriano nell'area intorno ad Aleppo.
«L'ISIL» si legge «è riuscito a passare il confine e violare il sistema
di sicurezza degli sciiti del Partito del Diavolo [ Hezbollah, ndr ],
colpendolo nella sua roccaforte nel cuore del "quadrante di sicurezza" (.)
la prima, piccola rata di un conto pesante che attende questi criminali
senza vergogna». Un messaggio foriero di nuovi attacchi dunque, e allo
stesso tempo ennesima conferma della presenza sempre più radicata di
milizie quaediste e filo-qaediste in suolo libanese.
Il tweet dell'ISIL arriva infatti subito dopo che i risultati del
test del DNA sui resti del corpo dell'esecutore materiale dell'attacco
del 2 gennaio avevano confermato che si trattasse di Qoteiba Muhammad
al-Satem, cittadino libanese di 19 anni proveniente dalla città
settentrionale di Wadi Kaled, a pochi chilometri dal confine con la
Siria. Un dato che lascia supporre che l'ISIL possa essere riuscito a
formare una vera e propria cellula nel Paese dei Cedri.
Come Qoteiba al-Satem, cittadini libanesi erano anche i due esecutori
materiali del duplice attacco suicida contro l'ambasciata iraniana
dello scorso 19 novembre rivendicato dalle Brigate Abdullah Azzam che,
al contrario dell'ISIL, sono radicate da anni nel territorio libanese.
Secondo i servizi di sicurezza libanesi infatti, le Brigate sarebbero
attive da tempo nel campo profughi palestinese di Ain el-Helweh, a sua
volta conclamato feudo di svariati gruppi sunniti radicali, occupandosi
del coordinamento dei miliziani e del rifornimento di armi.
In particolare, dall'inizio del 2012, le Brigate si sarebbero occupate,
sotto la guida del saudita Majid al-Majid morto a Beirut lo scorso 4
gennaio dopo una lunga degenza in ospedale, di far convergere nel campo
numerosi miliziani provenienti da altri paesi arabi, con l'obiettivo di
rimpolpare le fila per la loro ultima crociata contro il Partito di Dio.
A farne parte, vi sarebbero tra gli altri ex membri di punta di altre
importanti formazioni qaediste da tempo radicate in Libano, quali Usbat
al-Ansar e Fatah al-Islam.
L'impressione è dunque che le Brigate Abdullah Azzam stiano diventando
il catalizzatore di tutte le esperienze qaediste stanziate in Libano,
imponendo un cambio di strategia che punta ad attaccare Hezbollah non
più in Siria servendosi del Libano come semplice base d'appoggio, ma nel
Libano stesso e in maniera sempre più diretta.
La stessa strategia adottata anche dall'ISIL, che potrebbe lasciar
intendere un coordinamento tra i due gruppi nell'ambito di una più ampia
azione dell'organizzazione-madre volta a prendere il controllo di tutta
l'area vicino orientale a scapito innanzitutto del "blocco sciita".
Al di là delle supposizioni, quel che è certo è che nella galassia islamista sunnita libanese qualcosa sta cambiando.
Venerdì, a Tripoli, un gruppetto di salafiti ha dato fuoco ad una
libreria di proprietà di un prete ortodosso mandando in fumo un
patrimonio librario di 80.000 volumi. All'origine del gesto la voce
secondo cui tra essi vi sarebbero stati antichi manoscritti raffiguranti
immagini blasfeme del Profeta Muhammad.
Si tratta del primo episodio di violenza dal carattere esclusivamente
religioso ad aver colpito la comunità cristiana della città, fino ad ora
lasciata fuori dai durissimi scontri che da due anni vedono
fronteggiarsi il quartiere sunnita di Bab el-Tabbaneh, anti-Assad, e
quello alawita di Jabal Mohsein, pro-Assad.
Soprattutto è l'indice che tra i gruppi sunniti più radicali, una certa
visione fondamentalista e oscurantista dell'Islam sta iniziando ad
attecchire, andando a fare da corollario, come in Siria e in Iraq, a una
battaglia locale e regionale al contrario tutta politica.
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