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09/01/2014

La mano di al-Qaeda che afferra il Libano

Ci sarebbe lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (ISIL) dietro l'attentato di Dahiyeh dello scorso 2 gennaio. Il gruppo affiliato ad al-Qaeda, che in questi giorni è riuscito ad assumere il controllo delle aree di Falluja e Ramadi in Iraq e di ampie porzioni di territorio della Siria settentrionale, ha rivendicato l'attacco con un tweet sabato pomeriggio proprio subito prima di lanciare l'offensiva che lo vede ancora impegnato contro i ribelli del Consiglio Nazionale Siriano nell'area intorno ad Aleppo.

«L'ISIL» si legge «è riuscito a passare il confine e violare il sistema di sicurezza degli sciiti del Partito del Diavolo [ Hezbollah, ndr ], colpendolo nella sua roccaforte nel cuore del "quadrante di sicurezza" (.) la prima, piccola rata di un conto pesante che attende questi criminali senza vergogna». Un messaggio foriero di nuovi attacchi dunque, e allo stesso tempo ennesima conferma della presenza sempre più radicata di milizie quaediste e filo-qaediste in suolo libanese.

Il tweet dell'ISIL arriva infatti subito dopo che i risultati del test del DNA sui resti del corpo dell'esecutore materiale dell'attacco del 2 gennaio avevano confermato che si trattasse di Qoteiba Muhammad al-Satem, cittadino libanese di 19 anni proveniente dalla città settentrionale di Wadi Kaled, a pochi chilometri dal confine con la Siria. Un dato che lascia supporre che l'ISIL possa essere riuscito a formare una vera e propria cellula nel Paese dei Cedri.

Come Qoteiba al-Satem, cittadini libanesi erano anche i due esecutori materiali del duplice attacco suicida contro l'ambasciata iraniana dello scorso 19 novembre rivendicato dalle Brigate Abdullah Azzam che, al contrario dell'ISIL, sono radicate da anni nel territorio libanese. Secondo i servizi di sicurezza libanesi infatti, le Brigate sarebbero attive da tempo nel campo profughi palestinese di Ain el-Helweh, a sua volta conclamato feudo di svariati gruppi sunniti radicali, occupandosi del coordinamento dei miliziani e del rifornimento di armi.

In particolare, dall'inizio del 2012, le Brigate si sarebbero occupate, sotto la guida del saudita Majid al-Majid morto a Beirut lo scorso 4 gennaio dopo una lunga degenza in ospedale, di far convergere nel campo numerosi miliziani provenienti da altri paesi arabi, con l'obiettivo di rimpolpare le fila per la loro ultima crociata contro il Partito di Dio. A farne parte, vi sarebbero tra gli altri ex membri di punta di altre importanti formazioni qaediste da tempo radicate in Libano, quali Usbat al-Ansar e Fatah al-Islam.

L'impressione è dunque che le Brigate Abdullah Azzam stiano diventando il catalizzatore di tutte le esperienze qaediste stanziate in Libano, imponendo un cambio di strategia che punta ad attaccare Hezbollah non più in Siria servendosi del Libano come semplice base d'appoggio, ma nel Libano stesso e in maniera sempre più diretta.

La stessa strategia adottata anche dall'ISIL, che potrebbe lasciar intendere un coordinamento tra i due gruppi nell'ambito di una più ampia azione dell'organizzazione-madre volta a prendere il controllo di tutta l'area vicino orientale a scapito innanzitutto del "blocco sciita".

Al di là delle supposizioni, quel che è certo è che nella galassia islamista sunnita libanese qualcosa sta cambiando.

Venerdì, a Tripoli, un gruppetto di salafiti ha dato fuoco ad una libreria di proprietà di un prete ortodosso mandando in fumo un patrimonio librario di 80.000 volumi. All'origine del gesto la voce secondo cui tra essi vi sarebbero stati antichi manoscritti raffiguranti immagini blasfeme del Profeta Muhammad.

Si tratta del primo episodio di violenza dal carattere esclusivamente religioso ad aver colpito la comunità cristiana della città, fino ad ora lasciata fuori dai durissimi scontri che da due anni vedono fronteggiarsi il quartiere sunnita di Bab el-Tabbaneh, anti-Assad, e quello alawita di Jabal Mohsein, pro-Assad. Soprattutto è l'indice che tra i gruppi sunniti più radicali, una certa visione fondamentalista e oscurantista dell'Islam sta iniziando ad attecchire, andando a fare da corollario, come in Siria e in Iraq, a una battaglia locale e regionale al contrario tutta politica.

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