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20/01/2014

Il Pd e il declino postindustriale della provincia di Livorno

All'interno del Pd c'è chi parla di attrarre i capitali, chi parla di opportunità e chi perfeziona i rimedi. Esiste una realtà però con cui dobbiamo fare i conti, ed è quella fatta di operazioni finanziarie che si muovono in ambiti non burocratizzati e defiscalizzati come appunto i mercati finanziari internazionali. La cosa è chiara da anni, già dal tempo in cui Marcucci, Frontera e Lamberti insieme discutevano in maniera convinta della possibilità come forza politica di disporre dell’Art.1 della Costituzione Italiana che come tutti sanno parla del principio lavorista, davanti ad una platea già anziana e forse rassegnata. Una serata piovosa di circa diciotto anni fa presso la Circoscrizione IV di Via Menasci. Discutevano di come il loro partito in prospettiva avrebbe disposto direttamente delle sorti del lavoro facendo riferimento alla città e alla provincia intera. Non tenevano conto però di quei fattori che erano già abbondantemente emersi quali la concorrenzialità per settori a livello internazionale e la possibilità di sviluppare all’interno di una azienda con dimensioni medio grandi una specializzazione del lavoro nel settore finanziario di gestione della liquidità. Quindi era già concreta la possibilità per quei capitali che loro, intesi ancora come Marcucci-Lamberti-Frontera, erano sicuri di attrarre di fuggire verso i mercati internazionali della finanza lasciando i settori dell’economia reale.

Era allo stesso modo evidente che la possibilità delle aziende medio grandi di concentrarsi e delocalizzare le proprie sedi produttive e legali avrebbe gettato allo sbaraglio tutti quei lavoratori con un basso livello di specializzazione. Quei lavoratori che noi avevamo in gran numero sarebbero entrati di lì a poco in un sistema di concorrenza internazionale senza rendersene conto, dove progressivamente non ci sarebbe stata più la forza contrattuale per tenere in piedi tutta l’impalcatura di diritti e di tenuta del valore reale del salario che fino a quel momento era stata bene o male rimessa al lavoratore e che indirettamente garantiva un buon livello della domanda interna redistribuendo ricchezza anche nei settori del lavoro autonomo.

Nel resto del tempo, che da quell’incontro arriva ai giorni nostri, il Pd ha continuato a parlare di capacità di attrarre i capitali e di elementi di modernità a cui dovevamo in modo riformista collegarci pena l’esclusione. Di fatto aprendo a riforme del lavoro destrutturanti. Purtroppo i capitali non esistono così come li avrebbero voluti e la nostra provincia assieme alla nostra città legate da uno stesso destino post industriale si trovano oggi con enormi problemi di prospettiva economica ed ambientale. Le task force regionali di Simoncini per assegnare ammortizzatori sociali se mischiate con le “illusioni” di Cosimi (De Tommaso e Festival del Cinema), all’eccesso di offerta energetica del rigassificatore, a De Filicaia che avrebbe scambiato la maxi provincia con la realizzazione del maxi inceneritore d'ambito, alla voglia di fuggire di Piombino da Livorno per farsi annettere a Grosseto, a Rosignano che attende un piano industriale che non arriverà mai, ecco tutto questo non porterà di certo a qualcosa di razionale ma al contrario aprirà la via ad un futuro puramente casuale a cui solo i singoli faranno fronte. Come è possibile rinnovare un destino post industriale? A questa domanda non dobbiamo rispondere con semplicità e senso ormai scontato indicando gli altri settori classici come il turismo, ma solo cambiare piano o angolo visuale.

Qual è il miglior modo per neutralizzare quei capitali che fino ad oggi il Pd ci ha fatto sognare? Rimane anche la reale situazione della nostra provincia che da decenni rientra tra quelle economicamente depresse (si ricordi il famoso “obiettivo 2”) per la quale non è mai stata trovata una soluzione migliorativa. Per questo dare colpa alla crisi è solo una falsa giustificazione.

Per Senza Soste, Jack RR

19 gennaio 2014


Fonte

Come già accaduto in passato pubblico un articolo tarato sulla realtà livornese in quanto valido specchio di tante altre specificità italiane tutte accomunate da una fattore la deindustrializzazione che chiama direttamente in causa quella classe dirigente (politica e sindacale) che ha sposato senza se e senza ma la cultura liberista senza nemmeno riflette sulle implicazioni che avrebbe prodotto nel giro di un paio di decenni.

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