di Michele Paris
L’anno 2013 si è
chiuso negli Stati Uniti con un atto di estrema crudeltà nei confronti
della sezione più debole della popolazione da parte di una classe
politica che nei mesi precedenti era stata protagonista di iniziative
senza precedenti per ridimensionare drasticamente i livelli di spesa
pubblica. Per questa ragione, la mancata proroga dei sussidi
straordinari di disoccupazione sembra essere soltanto un’anticipazione
dei nuovi assalti alle condizioni di vita delle classi più povere che si
annunciano in un nuovo anno nel quale, come in quello appena terminato,
a brindare alla “ripresa” economica negli USA come altrove sarà
soltanto una ristrettissima élite economica e finanziaria.
Tre
giorni dopo il Natale, dunque, 1,3 milioni di americani senza lavoro da
mesi hanno visto interrompersi l’unica modesta fonte di reddito a loro
disposizione dopo che qualche settimana prima democratici e repubblicani
al Congresso avevano deciso di lasciare fuori dall’accordo sul nuovo
bilancio l’estensione dei benefit addizionali di disoccupazione che il
governo federale aveva sempre prolungato a partire dall’esplosione della
crisi finanziaria del 2008.
La spesa totale per il prolungamento
di questi sussidi, che hanno finora sopperito a quelli di minore durata
offerti dai singoli stati, sarebbe stata di appena 25 miliardi di
dollari, vale a dire meno dell’1 per cento dell’intero bilancio federale
ed una cifra irrisoria di fronte ai 633 miliardi stanziati per il
Pentagono dal Congresso per l’anno 2014.
Nel corso dei prossimi
mesi, inoltre, senza un intervento legislativo, i benefit federali per i
disoccupati a lungo termine cesseranno per altri 3,6 milioni di
americani, traducendosi, se si considerano i loro familiari,
nell’eliminazione di qualsiasi entrata per circa 15 milioni di persone.
Come
hanno messo in luce svariati studi, una simile decisione da parte del
Congresso non è mai stata presa nel dopoguerra in presenza di livelli di
disoccupazione come quelli odierni. Al di là del tasso ufficiale -
attualmente al 7 per cento - ci sono altri dati che dipingono una realtà
ancora peggiore per i lavoratori d’oltreoceano. Innanzitutto, la
percentuale di disoccupati è scesa costantemente nei mesi scorsi grazie
soprattutto all’uscita dal mercato del lavoro di oltre 5 milioni di
persone che hanno smesso di cercare un impiego.
Inoltre, la quota
di popolazione che ha oggi un lavoro - 58,6 per cento - è praticamente
invariata da quattro anni, nonché la più bassa dal 1983 e al di sotto di
oltre 4 punti percentuali rispetto al periodo immediatamente precedente
il crollo finanziario del 2008. Per quanti hanno trovato un posto di
lavoro dopo averlo perso, poi, la nuova realtà ha significato molto
spesso precarietà e stipendi da fame.
Alcuni
parlamentari democratici, con il sostegno della Casa Bianca, stanno
preparando in questi giorni un provvedimento di legge per reintrodurre i
sussidi straordinari. Tuttavia, se anche dovesse essere approvata, la
nuova versione garantirebbe un reddito ai disoccupati appena per tre
mesi e, con ogni probabilità, si accompagnerebbe a tagli in altri ambiti
per compensare l’aumento della spesa pubblica.
Come già
ricordato, la fine dei sussidi di disoccupazione è solo l’ultima di una
serie di misure anti-sociali negli Stati Uniti che hanno segnato tutto
il 2013. Già a marzo, il mancato accordo sul debito pubblico tra
democratici e repubblicani al Congresso aveva fatto scattare una serie
di tagli automatici alla spesa (“sequester”) pari a 85 miliardi di
dollari solo per l’anno in corso ed altrettanti per un altro decennio.
Con questo meccanismo sono stati ridotti gli stanziamenti, tra l’altro,
per i buoni alimentari destinati ai più poveri, per i sussidi agli
affitti e allo studio, mentre decine di migliaia di dipendenti pubblici
sono stati costretti a periodi di congedo forzato senza retribuzione.
Misure
come quest’ultima si sono poi ripetute durante le prime due settimane
di ottobre, quando un altro scontro al Congresso ha impedito
l’approvazione del bilancio per il nuovo anno fiscale, provocando la
chiusura di molti uffici federali (“shutdown”). A livello statale,
inoltre, svariate assemblee sia a maggioranza democratica che
repubblicana hanno provveduto a “ristrutturare” i fondi pensione dei
dipendenti pubblici, ad aumentare i contributi di questi ultimi ai loro
piani sanitari e a tagliare i servizi offerti alla popolazione.
La
situazione spesso precaria delle finanze statali e municipali,
provocata sia dalla deindustrializzazione e il conseguente crollo delle
entrate fiscali che dal ricorso a pericolosi strumenti finanziari
promossi dalle grandi banche, viene così puntualmente utilizzata per
liquidare benefit conquistati in decenni di lotte dai lavoratori, come
sta accadendo con il più grande procedimento di bancarotta di una città
americana, attualmente in corso a Detroit con la completa approvazione
dell’amministrazione Obama.
Di nuovo a livello federale, infine,
il mese di novembre si era aperto con un’altra iniziativa senza
precedenti negli USA, cioè la riduzione dei fondi federali destinati ai
buoni alimentari che ha privato di almeno due pasti al mese circa 46
milioni di americani in difficoltà economiche.
Queste e molte
altre misure simili si inseriscono in una tendenza globale volta a
stravolgere i rapporti di classe consolidati e negli Stati Uniti si è
concretizzata in un’annata fatta di enormi soddisfazioni solo per coloro
che hanno beneficiato del colossale e deliberato trasferimento di
ricchezza verso il vertice della piramide sociale.
Gli
indici di borsa, negli USA come in Europa e in Giappone, hanno sfondato
qualsiasi record nel corso del 2013 nonostante una crescita anemica
dell’economia reale. Ad alimentare la speculazione di Wall Street è
stato in primo luogo il proseguimento del programma di “quantitative
easing” della Federal Reserve, con il quale, a fronte di una presunta
mancanza di denaro per finanziare i programmi pubblici, sono stati
regolarmente immessi nel sistema finanziario più di 80 miliardi di
dollari ogni singolo mese.
Proprio in concomitanza con la mancata
proroga dei sussidi di disoccupazione, la stessa Fed del governatore
uscente Bernanke aveva annunciato qualche settimana fa la prosecuzione
delle politiche a favore delle grandi banche con una lieve riduzione nei
prossimi mesi della quantità di denaro stampato per l’acquisto di
titoli legati ai mutui e bond del Tesoro e, soprattutto, con il
mantenimento dei tassi di interesse attorno allo zero fino almeno al
2015.
Questa fortuna, oltre a gettare le basi per una nuova crisi
rovinosa, si è tradotta negli ultimi giorni dell’anno nel consueto
banchetto di bonus milionari a Wall Street, dove sono in pochi a doversi
preoccupare della stagnazione o della netta riduzione degli stipendi
della gran parte dei lavoratori. Secondo un recente articolo del Wall
Street Journal, ad esempio, gli unici ad avere avuto un anno
relativamente “duro” sarebbero i trader di bond, mentre quelli che
operano in azioni e i banchieri di investimento otterranno un aumento
medio dei loro compensi rispettivamente del 12 e del 6 per cento
rispetto al 2012.
Complessivamente, secondo alcune stime, la
quota di ricchezza inviolabile messa da parte dai giganti di Wall Street
nel 2013 soltanto per i bonus di fine anno ammonterebbe a più di 90
miliardi di dollari. Una cifra, questa, cinque volte superiore al debito
totale della città di Detroit in bancarotta o, ad esempio, due volte e
mezzo la somma necessaria a garantire la prosecuzione per il 2014 dei
sussidi di disoccupazione e dei buoni alimentari appena tagliati dalla
politica di Washington.
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