di Sonia Grieco
Dalla mezzanotte di ieri è
entrato in vigore il cessate-il-fuoco proclamato dalle Forze armate
libiche, in accordo con la coalizione Lybia Dawn (Fajr Libya)
che comanda a Tripoli. Una sospensione delle ostilità che si spera
spiani la strada a un’intesa per mettere fine a mesi di combattimenti,
con il loro carico di morti e distruzione, che hanno fatto precipitare
la Libia nel caos.
Un passo “significativo” per l’Onu che la scorsa settimana ha
aperto un tavolo negoziale a Ginevra, basato su un accordo tra le
fazioni libiche rivali per la formazione di un governo di unità nazionale che superi la divisione del Paese.
Ed è proprio in sostegno dei colloqui di Ginevra che le Forze armate
libiche hanno deciso il cessate-il-fuoco, ha spiegato il colonnello
Ahmed Mesmari, specificando che i militari si terranno a distanza dalla
politica.
Le coalizioni di milizie rivali hanno spaccato in due il Paese.
C’è un governo nella capitale Tripoli, dominato da Lybia Dawn che
include moderati e fazioni islamiste più estremiste, insieme con milizie
tribali e locali. L’altro esecutivo si trova invece a Tobruk, dove si è
rifugiato quando Lybia Dawn ha occupato la capitale, lo scorso agosto,
ed è sostenuto da parte dei parlamentari eletti l’anno scorso. A
dare man forte a questo governo ci sono anche le milizie che puntano
all’indipendenza regionale, alcune formazioni una volta legate al
colonnello Muammar Gheddafi e altri gruppi islamisti.
Venerdì corso la coalizione Lybia Dawn aveva aperto a
un-cessate-il-fuoco “su tutti i fronti”, se i rivali lo avessero
rispettato. A quel punto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha fatto
pressione, dichiarando che avrebbe potuto “sanzionare chi minaccia la
pace della Libia, la sua stabilità o sicurezza, o ostacola il
completamento della transizione politica”. Un monito a tutte le parti
coinvolte nel conflitto che ha sortito l’effetto di arrivare alla
sospensione dei combattimenti. Almeno sulla carta, perché sul
terreno la situazione è di gran lunga più complessa, aggravata
dall’aumentata frequenza degli attentati terroristici di stampo
jihadista da parte di gruppi che operano sotto l’ombrello del cosiddetto
califfato di al-Baghdadi.
Il generale Khalifa Hifter, l’artefice di un
tentativo di golpe contro l’ex governo e ora vicino all’esecutivo di
Tobruk, ha assicurato che continuerà a combattere i “terroristi”, che
nel gergo dei suoi combattenti sarebbero tutti i suoi oppositori, e che
vigilerà affinché non avvengano trasporti di armi e munizioni da parte
dei rivali. Ha inoltre precisato che ogni violazione decreterà
la fine del cessate-il-fuoco e che i suoi uomini hanno “il diritto di
difendersi, se finiscono sotto il fuoco nemico”. Parole che per
alcuni analisti gettano un’ombra sulla tenuta della tregua. D’altronde
ci sono diverse fazioni armate in lotta in Libia, che controllano
diverse porzioni di territorio.
A Misurata il cessate-il-fuoco dovrebbe essere rispettato. Lo
ha garantito sabato Ahmed Hadiya, il comandate della milizia presente
nella terza città libica, alleato di Lybia Dawn. Ma non è detto che
accada lo stesso a Bengazi, teatro degli scontri più aspri degli ultimi
mesi. Qui ci sono centinaia di combattenti legati al gruppo
islamista Ansar al-Shariah, che fa parte di Lybia Dawn, ma è anche nelle
liste delle organizzazioni terroristiche stilate da Stati Uniti e Onu,
che combattono contro i gruppi fedeli al generale Hifter. Entrambe le
parti potrebbero non sentirsi vincolate dal cessate-il-fuoco.
L’Onu ha esortato le parti a coordinarsi con la propria
missione nel Paese, UNSMIL, e ha parlato di un “segnale incoraggiante”
verso la pace.
Intanto, riferisce l’agenzia Reuters, l’Unione
europea sta valutando la possibilità di imporre un embargo alle
esportazioni petrolifere del Paese, la principale fonte di sostentamento
della Libia e delle fazioni armate, che lottano per il controllo della
produzione del greggio, crollata in maniera drastica negli ultimi tre
anni: da 600mila del 2011 ai 300mila odierni. L’embargo servirebbe a
fare pressione sulle parti belligeranti affinché si accordino per
mettere fine alla crisi. Una misura più drastica, che l’UE
prenderebbe in considerazione in caso di deterioramento della
situazione, sarebbe il congelamento degli asset della Banca centrale
libica all’estero.
Sul fronte umanitario la situazione resta drammatica. Il
cessate-il-fuoco potrebbe dare l’occasione per l’apertura di un
corridoio umanitario. La popolazione è stata duramente colpita dai
combattimenti, ma anche dalla caduta delle esportazioni petrolifere. Secondo una fonte medica citata dal quotidiano libanese Al Akhbar,
sarebbero circa seicento i morti negli scontri degli ultimi tre mesi a
Bengazi. Gli sfollati sono decine di migliaia dalla scorsa estate e le
strutture sanitarie sono al collasso. Elettricità, carburante e acqua
potabile scarseggiano, mentre i prezzi dei beni alimentari sono
aumentati.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento