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20/01/2015

Libia - Stop ai combattimenti per trattare la pace

di Sonia Grieco

Dalla mezzanotte di ieri è entrato in vigore il cessate-il-fuoco proclamato dalle Forze armate libiche, in accordo con la coalizione Lybia Dawn (Fajr Libya) che comanda a Tripoli. Una sospensione delle ostilità che si spera spiani la strada a un’intesa per mettere fine a mesi di combattimenti, con il loro carico di morti e distruzione, che hanno fatto precipitare la Libia nel caos.

Un passo “significativo” per l’Onu che la scorsa settimana ha aperto un tavolo negoziale a Ginevra, basato su un accordo tra le fazioni libiche rivali per la formazione di un governo di unità nazionale che superi la divisione del Paese. Ed è proprio in sostegno dei colloqui di Ginevra che le Forze armate libiche hanno deciso il cessate-il-fuoco, ha spiegato il colonnello Ahmed Mesmari, specificando che i militari si terranno a distanza dalla politica.

Le coalizioni di milizie rivali hanno spaccato in due il Paese. C’è un governo nella capitale Tripoli, dominato da Lybia Dawn che include moderati e fazioni islamiste più estremiste, insieme con milizie tribali e locali. L’altro esecutivo si trova invece a Tobruk, dove si è rifugiato quando Lybia Dawn ha occupato la capitale, lo scorso agosto, ed è sostenuto da parte dei parlamentari eletti l’anno scorso. A dare man forte a questo governo ci sono anche le milizie che puntano all’indipendenza regionale, alcune formazioni una volta legate al colonnello Muammar Gheddafi e altri gruppi islamisti.

Venerdì corso la coalizione Lybia Dawn aveva aperto a un-cessate-il-fuoco “su tutti i fronti”, se i rivali lo avessero rispettato. A quel punto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha fatto pressione, dichiarando che avrebbe potuto “sanzionare chi minaccia la pace della Libia, la sua stabilità o sicurezza, o ostacola il completamento della transizione politica”. Un monito a tutte le parti coinvolte nel conflitto che ha sortito l’effetto di arrivare alla sospensione dei combattimenti. Almeno sulla carta, perché sul terreno la situazione è di gran lunga più complessa, aggravata dall’aumentata frequenza degli attentati terroristici di stampo jihadista da parte di gruppi che operano sotto l’ombrello del cosiddetto califfato di al-Baghdadi.

Il generale Khalifa Hifter, l’artefice di un tentativo di golpe contro l’ex governo e ora vicino all’esecutivo di Tobruk, ha assicurato che continuerà a combattere i “terroristi”, che nel gergo dei suoi combattenti sarebbero tutti i suoi oppositori, e che vigilerà affinché non avvengano trasporti di armi e munizioni da parte dei rivali. Ha inoltre precisato che ogni violazione decreterà la fine del cessate-il-fuoco e che i suoi uomini hanno “il diritto di difendersi, se finiscono sotto il fuoco nemico”. Parole che per alcuni analisti gettano un’ombra sulla tenuta della tregua. D’altronde ci sono diverse fazioni armate in lotta in Libia, che controllano diverse porzioni di territorio.

A Misurata il cessate-il-fuoco dovrebbe essere rispettato. Lo ha garantito sabato Ahmed Hadiya, il comandate della milizia presente nella terza città libica, alleato di Lybia Dawn. Ma non è detto che accada lo stesso a Bengazi, teatro degli scontri più aspri degli ultimi mesi. Qui ci sono centinaia di combattenti legati al gruppo islamista Ansar al-Shariah, che fa parte di Lybia Dawn, ma è anche nelle liste delle organizzazioni terroristiche stilate da Stati Uniti e Onu, che combattono contro i gruppi fedeli al generale Hifter. Entrambe le parti potrebbero non sentirsi vincolate dal cessate-il-fuoco.

L’Onu ha esortato le parti a coordinarsi con la propria missione nel Paese, UNSMIL, e ha parlato di un “segnale incoraggiante” verso la pace.

Intanto, riferisce l’agenzia Reuters, l’Unione europea sta valutando la possibilità di imporre un embargo alle esportazioni petrolifere del Paese, la principale fonte di sostentamento della Libia e delle fazioni armate, che lottano per il controllo della produzione del greggio, crollata in maniera drastica negli ultimi tre anni: da 600mila del 2011 ai 300mila odierni. L’embargo servirebbe a fare pressione sulle parti belligeranti affinché si accordino per mettere fine alla crisi. Una misura più drastica, che l’UE prenderebbe in considerazione in caso di deterioramento della situazione, sarebbe il congelamento degli asset della Banca centrale libica all’estero.

Sul fronte umanitario la situazione resta drammatica. Il cessate-il-fuoco potrebbe dare l’occasione per l’apertura di un corridoio umanitario. La popolazione è stata duramente colpita dai combattimenti, ma anche dalla caduta delle esportazioni petrolifere. Secondo una fonte medica citata dal quotidiano libanese Al Akhbar, sarebbero circa seicento i morti negli scontri degli ultimi tre mesi a Bengazi. Gli sfollati sono decine di migliaia dalla scorsa estate e le strutture sanitarie sono al collasso. Elettricità, carburante e acqua potabile scarseggiano, mentre i prezzi dei beni alimentari sono aumentati.

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