Certe notizie è sempre meglio inquadrarle bene. Kobane è stata liberata, si legge su vari quotidiani italiani in queste ore. La Stalingrado del Medio Oriente ha vinto sull’Isis. Cerchiamo di fare chiarezza, mettendo a frutto la nostra esperienza diretta sul campo, conclusasi giusto giusto ieri.
È vero: il YPG e il GPJ – le milizie popolari del Rojava, rispettivamente maschile e femminile, collegati al PYD e al PKK – stanno tra mille difficoltà riprendendo il controllo della città e stanno avanzando decisi nelle periferie e lungo il confine turco. La gigantesca bandiera del Kurdistan siriano che sventola dall’altura che domina Kobane, notizia tra l’altro della settimana scorsa (ma i media italiani ci arrivano sempre dopo...), sta a dimostrare il risultato positivo dell’offensiva. Alcuni attivisti della campagna “Noi Restiamo” e di Radio Machete sono stati in questi giorni nel piccolo villaggio di Musanter, l’ultimo prima di Kobane, proprio nella fascia di confine controllata dal PKK, stretto tra l’Isis e l’esercito turco. Abbiamo parlato con gli attivisti e con i combattenti, abbiamo cercato di capire la loro condizione e le loro necessità – tutte politiche, altro che gli articoli di Repubblica e Corriere in merito –, e abbiamo avuto modo di inquadrare la vera organizzazione del popolo kurdo e del BDP (il partito politico dei curdi di Turchia).
Abbiamo posto le nostre domande e sempre ci è stato risposto in modo franco e sincero. Kobane è stata quasi liberata del tutto, ma dalle risposte dei curdi trasuda un’altra verità. Sul sito dell’agenzia Firat News si può leggere che all’Isis rimangono solo quattro strade della città, che la vittoria curda a Kobane è vicina e quasi reale. Ma si legge anche anche che la situazione nel suo complesso non è così rosea come ce la vogliono far vedere – e non è necessario essere politici di lunga data per accorgersene, basta leggere più di un articolo.
Quanta fatica, quanti nemici ha il movimento di liberazione curdo in quest’impresa. Gli è ferocemente nemico l’Isis, che è l’avversario di prima linea. Gli è nemica la Turchia, che con ogni mezzo cerca di reprimere la resistenza curda mentre cura e accogli i miliziani feriti dello Stato islamico nei propri ospedali; gli è nemico l’esercito turco, che procede senza sosta allo sgombero delle aree controllate dal PKK e intrattiene relazioni fraterne con l’Isis. Gli sono nemici gli stati dell’Occidente, che hanno tollerato e agevolato l’Isis e costretto i guerriglieri curdi, armati solo di semplici kalashnikov, a combattere contro ben più temibili mitragliatrici e mortai. Gli è nemica la NATO, che fa buon viso a cattivo gioco, sganciando di tanto in tanto qualche bomba – che sicuramente aiuta – contro i jihadisti a condizione che il PKK non si azzardi a candidarsi come protagonista del conflitto. Gli sono nemici i media turchi, che da sempre tacciono sulla repressione sistematica dei curdi, sui villaggi bruciati, sui troppi morti non degni di essere notati. Gli sono nemici i media occidentali, che trasformano la lotta di un popolo in una bella storia da raccontare di tanto in tanto, ma che a un certo punto deve finire e ritornare nell’oblio. Per ultimo, gli saranno nemici i popoli dell’Unione Europea e degli Stati Uniti se crederanno al fatto che, una volta vinto l’Isis a Kobane, la storia sarà finita qui, e che una volta terminato il loro “servizio” per l’Occidente è bene che i curdi se ne tornino al loro posto, con una pacca sulle spalle dell’imperialismo occidentale e possibilmente in silenzio. Ma il popolo curdo, ce l’hanno promesso i tanti interlocutori incontrati nei giorni scorsi, non andrà in letargo. Se Kobane sta vincendo è un grande risultato, ma vanno ricalibrati i toni. L’Occidente ringrazia il popolo curdo, ma nessuno si è ancora mai sognato di togliere il PKK dalla lista delle organizzazioni terroristiche di Usa e Ue. La lotta dei 45.000 curdi organizzati dal PKK (e di tutte le altre formazioni politiche e militari, come YPG, GPJ, KCK...) non è solamente contro l’Isis, ma anche contro le altre forme di imperialismo. La differenza è notevole, e questo gli apprendisti stregoni dell’imperialismo lo sanno bene. Per questo è importante capire che se a Kobane si sta per chiudere una piccola partita, se ne aprono necessariamente altre più grandi.
Non è finita qui.
BIJI ROJAVA BIJI KURDISTAN
Lorenzo Trapani (Noi Restiamo)
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