La strage parigina è stato uno
straordinario reagente che ha portato in chiaro quello che l’inchiostro
simpatico del taciuto (o del parzialmente detto) aveva scritto nel
subconscio di molti: l’immagine indistinta dell’“islamico”, che
appiattisce tutto nella paura, o, all’opposto, il senso di colpa verso
gli immigrati che spinge ugualmente ad un acritica incapacità di
distinguere.
Parlo, ovviamente, del “sentire”
mediano, non di chi fa aperta professione di fede in un senso o
nell’altro e, tantomeno, di quelli che vivono e lucrano sull’“industria
della paura come la Lega.
Solo una capra come Salvini può dire un’enormità del tipo “ci sono milioni di islamici pronti ad ucciderci sul pianerottolo di casa”!
E non si capisce come mai, nonostante ci siano tanti aspiranti
assassini, non ci siano caterve di morti, dato che nessuno passa
all’azione. Una simile sguaiataggine non merita d’essere commentata se
non per commiserare brevemente il suo infelice autore.
Ma, a parte il becero Salvini e la sua
amica Le Pen, che speculano su questi drammi umani, per raggranellare il
loro gruzzolo elettorale, il punto è che c’è una totale disinformazione
sul mondo islamico che, da una parte e dall’altra, si immagina come
qualcosa di perfettamente omogeneo; il che è quanto di più lontano
dalla realtà si possa immaginare. Magari torneremo sul punto per
accennare alle profondissime diversità, ai conflitti, alle dinamiche
opposte che attraversano il mondo islamico. Molti colgono una vena di
ostilità contro l’Occidente diffusa nel mondo islamico e temono che sia
realmente in atto una “invasione” dei nostri paesi da parte musulmana.
Va detto senza complessi di sorta, che
effettivamente fra gli islamici e noi, tanto qui in Europa, quando nei
paesi d’origine, c’è un innegabile attrito che, pur molto lontano da
propositi omicidi, fa velo alle relazioni fra noi e loro. Un certo
risentimento da parte islamica c’è ma, per la verità, non è certo
immotivato: lasciando da parte le lontane guerre di religione, culminate
nella cacciata dei Moriscos dalla Spagna e poi nelle battaglie di
Lepanto e di Vienna, noi un po’ di torti nei confronti dei mussulmani li
abbiamo accumulati: i regimi coloniali europei (francese nel Maghreb,
inglese in Egitto ed India, all’epoca inclusiva di Pakistan e
Bangladesh, olandese in Indonesia, Italiano in Libia) non si sono
distinti per umanità.
Poi il mandato esercitato nelle ex
province ottomane di inglesi e francesi non è stato neppure un modello
di equanimità. Algeria e Indonesia hanno pagato la loro lotta per
l’indipendenza con massacri, torture, deportazioni ed oppressioni varie.
E sin qui la storia recente.
Veniamo al presente: Israele (che loro
vedono come un pezzo di Europa che usurpa un loro territorio), da 70
anni calpesta i palestinesi che reagiscono in modo aggressivo e spesso
sbagliato, ma comprensibile, e l’Europa assiste inerte a tutto questo e
non esercita nessuna moral suasion per spingere alla pace. Dal 1991 ci
sono state tre guerre di aggressione occidentali all’Iraq ed
all’Afghanistan, poi c’è stato l’infausto intervento francese in Mali,
la terribile situazione somala che si trascina da 20 anni.
Insomma, non che questo giustifichi
neppure da lontano azioni come quella dell’11 settembre a New York o la
strage parigina, però si capisce il persistere di un’acredine di fondo,
che cresce ove si consideri la condizione degli immigrati. Diversi
commentatori (per tutti Feltri) hanno osservato che l’”integrazione con
gli islamici è fallita”. Ma perché, è stata mai tentata? In Francia i
maghrebini sono ammucchiati come bestie nelle case fatiscenti della
banlieu parigina, dove, qualche anno fa, l’incendio provocato da un
impianto elettrico assai malridotto, causò la morte di diverse persone
(tutti islamici). In Italia e Germania le cose stanno meglio, ma ci vuol
davvero poco. I lavoratori islamici sono fra i peggio pagati e più
sfruttati, ai loro figli sono riservate le scuole più scalcinate, non
c’è alcun riguardo per la loro cultura e nessun tentativo di aprire un
dialogo, come tutti gli immigrati, non hanno alcun diritto elettorale
(neppure per le amministrative) se non quando e se ottengono la
cittadinanza, per loro non c’è promozione sociale di sorta. In queste
condizioni, per quale miracolo dovrebbe esserci una integrazione e
dovrebbero trovarci simpatici?
Prima di pronunciare certi giudizi
sull’Islam, gli occidentali farebbero bene a farsi uno scrupoloso esame
di coscienza e prima di blaterare di guerra di religione o scontro di
civiltà, farebbero bene ad informarsi su cosa sia davvero il mondo
islamico.
Questo doveroso esame di coscienza,
però, non deve sfociare in un complesso di colpa inemendabile, che
inibisce ogni giudizio critico sulla situazione e sui nostri rapporti
con gli islamici. Ci sono i Giuliano Ferrara di destra, che immaginano
gli islamici come un’unica massa di tagliagole fra i quali sarebbe vano
fare qualsiasi distinzione e ci sono i Giuliano Ferrara di sinistra,
che, parimenti incapaci di discernimento, immaginano gli islamici come
un unico aggregato umano tutto positivo e verso nel quale sarebbe
colpevole tentare ogni distinzione.
Allora è bene chiarire che, se non c’è
ragione di non accogliere gli islamici nelle nostre comunità, però c’è
islamico ed islamico. I terroristi, spero che saremo tutti d’accordo,
sono nemici da combattere e non possiamo accettare commandos che
scorrazzano per le nostre città ammazzando gente, vi pare? Non tutti gli
islamici sono jihadisti, come dimostra la guerra civile in atto in gran
parte di quei paesi. E non tutti gli islamici, per fortuna, sono
fondamentalisti. E qui qualche distinzione ogni tanto tocca farla. C’è
chi si indigna di questo discorso trovando scandaloso che si voglia
distinguere fra islamici “buoni” e islamici “cattivi”. E’ proprio così:
vogliamo distinguere fra “buoni” e “cattivi” (per usare questo
linguaggio da asilo infantile). Prendiamo l’esempio dei tedeschi, in
passato c’erano quelli che erano nazisti e quelli che non lo erano:
possiamo distinguere? Gli americani: ci sono quelli del Ku Klux Klan e
quelli che non sono razzisti e così via. Perché non dovremmo usare lo
stesso metro per gli islamici? Per caso hanno uno statuto speciale, per
cui sono tutti “buoni” e tutti portatori degli stessi diritti?
E qui veniamo ad un punto molto
delicato: capire a quali condizioni ci possa essere accoglimento degli
immigrati di fede islamica. Va detto molto chiaramente che ci sono dei
paletti da fissare, per i quali noi non siamo disposti a rimettere in
discussione alcuni capisaldi:
a- la prevalenza della legge (e della legge scritta) su qualsiasi altra forma normativa, quindi niente kanoon;
b- l’uguaglianza dei cittadini davanti
alla legge che presuppone la stessa legge per tutti, per cui niente
corti islamiche o giurisdizioni speciali;
c- la laicità dello Stato, l’uguaglianza
di tutte le religioni e di tutte le convinzioni filosofiche, per cui
niente “statuto speciale” per l’Islam come per chiunque altro;
d- la parità dei sessi, per cui niente pratiche patriarcali e piena libertà delle donne islamiche al pari di chiunque altra;
e- piena libertà di pensiero e di espressione, per cui niente censura neppure a tutela di qualche religione;
Ovviamente non è affatto necessario che
l’islamico che voglia entrare nel nostro paese muti le sue convinzioni,
ma o si adatta a questa civiltà giuridica o è liberissimo di scegliere
un altro paese più “affine” in cui immigrare.
Lo so: è un discorso poco simpatico e
con una vena autoritaria, ma il diritto è per sua natura coattivo e non è
possibile convivenza senza norme giuridiche.
Peraltro è assolutamente falso pensare
che tutto l’Islam rigetti i punti appena indicati: ci sono scuole di
pensiero perfettamente compatibili con essi. Comunque, va detto che la
grande maggioranza degli islamici accetta tranquillamente quel quadro
normativo. Non lo accettano i fondamentalisti che sono una piccola
minoranza della cui compagnia possiamo volentieri fare a meno.
Allo stesso modo, è bene dire con la
massima chiarezza che, sino a quando l’immigrato non acquisisce la
cittadinanza, è un ospite nel paese che lo accoglie e, come tale, non
può pensare di avanzare pretese come quelle di modificare costumi,
abitudini, cultura locale. Ovviamente, cultura, costumi ed abitudini
cambiano nel tempo, ma per scelta del popolo interessato e non per
imposizione esterna. Per la stessa ragione non abbiamo mai creduto in
quella solenne bufala che è l’esportazione della democrazia nei paesi
non occidentali: ciascun popolo deve vedersela da solo sul proprio
territorio. L’immigrato deve essere accolto, deve esserci osmosi
culturale, è sacrosanto il rispetto delle sue convinzioni (nella misura
in cui siano compatibili con le leggi del paese ospitante), ma è
altrettanto giusto che egli rispetti le convinzioni e la cultura del luogo in cui arriva. Rispetto reciproco.
Il punto è che la maggioranza degli
islamici chiede di poter pregare in una moschea (e questo è un loro
diritto indiscutibile), ma non ha alcuna pretesa di impedire la
pubblicazione di vignette o libri che magari avverte come offensivi
della propria fede (anche se ne chiede il rispetto, come è giusto che
sia), non gli passa per la testa di chiedere la rimozione dei crocefissi
o dei presepi (cose che è giusto lasciare alla libera scelta del gruppo
di studenti di una classe o una scuola). Questo tipo di richieste, per
la verità un po’ insolenti, sono tipiche dei fondamentalisti e non vanno
mai accolte proprio per il motivo che vengono fatte da loro e con
questo spirito (così chiariamo che io sono laico ed ateo, pertanto
presepi e crocefissi mi lasciano del tutto indifferente, ma se mi trovo
di fronte a richieste del genere, di crocefissi e presepi ne voglio il
doppio).
Poi è necessaria un’opera di mediazione
culturale, che sinora non è stata fatta, in modo da risolvere antichi
livori e nuove incomprensioni e facilitare il dialogo fra le diverse
culture, insisto: nel rispetto reciproco.
Dunque, spirito fraterno di accoglienza e
nessuna discriminazione, ma anche chiarezza nella definizione delle
condizioni di convivenza che non possono essere lasciate allo stato
brado. I problemi si risolvono affrontandoli, non facendo finta che non
ci siano.
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