di Sonia Grieco
Una capitale occupata, un
presidente dimissionario, un primo ministro rifugiatosi in un “luogo
sicuro”. Sono questi gli ingredienti dello stallo politico in cui si
trova lo Yemen. Ma non sono gli unici ingredienti di una crisi che
rischia di spingere il poverissimo Paese del Medio Oriente a spaccarsi
in due entità, com’era fino al 1990.
In Yemen c’è la potente Al Qaida nella Penisola arabica (Aqpa), l’affiliato più temibile - dicono gli analisti - della rete terroristica internazionale, che potrebbe
approfittare del vuoto politico causato dalle dimissioni praticamente
contemporanee del capo dello Stato, Rabbo Mansur Hadi, e del premier,
Khaled Bahah. Inoltre, sul terreno yemenita si gioca la partita
per la supremazia regionale tra l’Arabia Saudita e l’Iran, sostenitore
degli Houthi. È stata Riad a “risolvere” la primavera yemenita, che ha
messo fine al trentennale regime di Ali Abdullah Saleh, imponendo alla
piazza un patto di élite e la presidenza Hadi, vice di Saleh.
Ieri i combattenti Houthi, che dallo scorso settembre
occupano Sana’a, hanno usato la forza per disperdere i manifestanti
radunatisi nelle strade della capitale per chiedere il loro ritiro.
Dimostranti presi a manganellate, spari in aria, una decina di feriti e
giornalisti fermati. Le proteste aumentano, alzando la tensione, mentre
l’Onu preme per un negoziato che metta fine al caos e al momento è
nella fase delle consultazioni.
Hadi e Bahah hanno gettato la spugna dopo essere stati messi agli
arresti domiciliari dagli Houthi che dal Nord sono avanzati verso il Sud
roccaforte dei qaedisti, senza peraltro trovare troppa resistenza da
parte delle Forze armate. Ne è scaturito uno scontro tra il gruppo sciita guidato da Abdel-Malek al-Houthi e i miliziani dell’Aqpa. Questi ultimi
ieri sera hanno messo a segno un agguato nella cittadina meridionale di
Rada, uccidendo almeno sette combattenti sciiti che partecipavano a un
incontro con i leader tribali locali loro alleati. Attaccano anche le forze di sicurezza e la loro capacità operativa non sembra fiaccata dai droni statunitensi.
Nel caos emergono istanze separatiste mai sopite, settarismi e
rivalità tribali. Mentre Abdel-Malek al-Houthi auspicava un incontro,
già domani, per riprendere le fila del negoziato e invitava alla
cooperazione, i gruppi armati pro-governativi dei Comitati popolari del
Sud sono arrivati allo scontro con i combattenti Houthi nella città
meridionale di Aden, l’approdo di centinaia di migranti dal Corno d’Africa, altra regione calda del pianeta.
Inoltre, 57 deputati delle circoscrizioni del Sud hanno annunciato il
boicottaggio dei lavori parlamenti in protesta contro il “golpe” del
movimento sciita.
Un’iniziativa definita una “provocazione” dal leader
al-Houthi che di recente in un discorso trasmesso in tv ha detto che il
suo gruppo “vuole un pacifico trasferimento del potere” basato sulla
cooperazione tra le parti, sotto l’ombrello delle Nazioni Unite.
Ha aggiunto che le decisioni prese nel corso del dialogo nazionale
iniziato da Hadi nel 2013 e l’accordo (partecipazione degli Houthi al
potere e modifiche costituzionali) siglato con il presidente a settembre
- sotto la pressione dell’occupazione di Sana’a - devono essere la base
di un’intesa che metta fine alla crisi.
Alle consultazioni prende parte anche il Pentagono, preoccupato di capire con chi dovrà coordinarsi ora per proseguire la sua campagna militare contro Aqpa. Oggi funzionari Usa hanno incontrato i rappresentanti Houthi, ma il contrammiraglio John Kirby
ha precisato che Washington si sta consultando con tutte le parti in
causa e che con il gruppo sciita non si è parlato di accordi di
intelligence per contrastare la presenza di al Qaeda nel Paese. Il
nemico è comune, ma un forte sentimento anti-americano accomuna le
due forze più potenti del Paese: gli Houthi e al-Qaeda.
Senza una collaborazione di intelligence, però, i droni Usa
potrebbero diventare ancora più imprecisi di quanto già non siano e a
farne le spese sarà la popolazione civile. Martedì l’Organizzazione nazionale per le vittime dei droni (NODV) ha riferito della morte di un ragazzo di circa 12 anni nell’attacco di un drone. Saleh
Qayed Taeiman è morto con altre due persone. Suo padre e suo fratello
prima di lui erano stati uccisi da droni nel 2011 e un altro fratello
era rimasto ferito in uno di questi raid anti-al Qaeda che spesso
colpiscono le case di persone innocenti. Sono le vittime
collaterali di un campagna militare che non sembra scalfire il potente
gruppo qaedista e di solito finisco nel computo dei “terroristi”
eliminati. Lo scorso settembre, una settimana prima che gli Houthi
entrassero a Sana’a, Obama aveva parlato di “successo” in Yemen contro i
terroristi. Un’affermazione che alla luce di quanto sta accadendo suona come una beffa.
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