di Michele Giorgio – Il Manifesto
Mercoledì era così vicino il baratro di una nuova offensiva israeliana in Libano.
Invece il governo Netanyahu ha scelto, almeno per ora, di non lanciare
la sua rappresaglia all’attacco compiuto da Hezbollah lungo la frontiera
– due soldati israeliani uccisi e sette feriti – che a sua volta era
una risposta per il raid aereo israeliano che a metà gennaio avevo
ucciso nella Siria meridionale 12 persone, tra le quali alti ufficiali
del movimento sciita e un importante generale iraniano. Cosa
abbia indotto il premier israeliano a frenare dopo aver promesso una
punizione severa non solo a Hezbollah ma anche a Siria e Iran, è oggetto
di discussione.
In casa israeliana si tende a privilegiare la versione che
sia stato proprio il movimento sciita a gettare acqua sul fuoco facendo
sapere di non volere una escalation. Il ministro della difesa
Moshe Yaalon afferma di aver ricevuto un messaggio dai caschi blu
dell’Onu in Libano (Unifil) secondo i quali Hezbollah non sarebbe
interessato a ulteriori fiammate di guerra. Il premier Netanyahu intanto
ripete il suo mantra: «L’Iran è responsabile dell’attacco contro di
noi... sta cercando di raggiungere un accordo, tramite le grandi potenze
che lo lascerebbe in grado di sviluppare armi nucleari. Noi ci opponiamo
con forza a questo accordo». Parole simili a quelle che con ogni
probabilità ripeterà a marzo davanti al Congresso Usa, invitato dallo
Speaker John Boehner aggirando la Casa Bianca, sperando che
l’apparizione in terra americana lo aiuti a vincere le elezioni
israeliane del 17 marzo.
Secondo gli analisti vicini alla destra e al governo, l’agguato compiuto da Hezbollah due giorni fa sarebbe irrilevante.
Israele, spiegano, attaccando a metà gennaio in Siria e uccidendo sei
ufficiali di Hezbollah e il generale iraniano, avrebbe riaffermato il
suo potere di deterrenza. Tra questi c’è Eytan Gilboa, del
Centro studi strategici Besa di Tel Aviv. «Tehran nella Siria
meridionale vuole creare, assieme a Hezbollah, una infrastruttura
militare capace di tenere sotto pressione Israele. Abbiamo messo in
chiaro che non lo accetteremo», diceva ieri ripetendo la posizione
espressa da Netanyahu. Gilboa esclude che la mancata rappresaglia
israeliana contro il Libano sia frutto di un potere di deterrenza del
movimento sciita. «Hezbollah ha molti missili e razzi ma sa che non può
usarli perché andrebbe a scapito dell’intero Libano. Israele ha più
volte avvertito il governo di Beirut che in caso di attacchi dal
territorio libanese, il Libano sarà ridotto in macerie».
Una teoria che convince solo in parte perchè Hezbollah due
giorni fa ha attaccato dal Libano, sfidando la minaccia israeliana di
una ritorsione devastante. Nei quartieri meridionali di Beirut,
roccaforte del movimento sciita, continuano i festeggiamenti per
l’attacco compiuto sul confine e nei prossimi giorni il leader di
Hezbollah pronuncerà un discorso di vittoria. Il quotidiano libanese as
Safir ha scritto che telegrammi e messaggi di congratulazioni per
Hezbollah sono arrivati da tutto il mondo arabo ed islamico. Da Tehran
il viceministro degli esteri, Hossein Amir Abdollahian, ha parlato di
«legittimo diritto di autodifesa» dopo il raid israeliano del 18 gennaio
scorso.
A frenare Netanyahu è stato senza alcun dubbio anche l’arsenale
di Hezbollah, che include, ha detto più volte Nasrallah, missili capaci
di colpire ogni punto di Israele. Forse il leader sciita esagera le
capacità strategiche del suo movimento ma non tanto. Per
Netanyahu dare il via a una escalation militare significherebbe esporre
anche Israele e non solo per il Libano a conseguenze gravi. Sullo sfondo ci sono le elezioni.
Il leader della destra è indicato dai sondaggi come il primo ministro
preferito dagli israeliani ma il suo partito, il Likud, è al secondo
posto, costretto ad inseguire “Blocco Sionista”, la lista unita dei
laburisti di Isaac Herzog e dell’ex ministra centrista Tzipi Livni. Può
consolarsi con il crollo del suo rivale di estrema destra e ministro
degli esteri Lieberman, dato dai sondaggi al minimo storico, che rischia
di non superare la soglia di sbarramento.
Fonte
Ieri ho avuto modo di ascoltare "una persona informata sui fatti" secondo cui lo stato di perenne belligeranza esterna è costantemente ricercato da Israele, in quanto la mancanza di un nemico esterno farebbe in breve implodere una società priva di una base culturale capace di aggregarla davvero. Mi sa che ci ha preso alla grande.
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