A differenza di ogni altra materia scientifica, l’oggetto della materia storica – la ricerca e l’interpretazione del nostro passato – non è il prodotto di un lavoro scientifico e per addetti ai lavori, ma il risultato dei rapporti di forza politici presenti in un determinato tempo e in un determinato spazio. Ciò che eravamo nel passato, le singole vicende e la comprensione più generale in cui inserirle, è sempre il frutto del presente. La riscrittura del nostro passato serve agli scopi politici di chi nel presente determina il pensiero generale. Quali aspetti storici indagare e come farlo; che domande porre ai documenti e alle fonti; che interpretazione dare agli eventi: tutte questioni che riguardano l’equilibrio attuale delle forze culturali in campo. Nel corso del Novecento l’irrompere delle masse sulla scena politica, l’affermarsi delle organizzazioni politiche che rappresentavano gli interessi delle classi subalterne, la forza reale del movimento operaio, impose alla ricerca storica di leggere il passato attraverso il protagonismo delle popolazioni. Venne meno la storiografia delle battaglie e degli eserciti, della diplomazia e degli accordi, a favore di interpretazioni volte a rintracciare le ragioni economiche dello sviluppo storico; lo scadenzismo periodizzante lasciò il campo a una visione più accurata del lungo periodo, del cambiamento continuo senza “rotture” travolgenti (e inesistenti); alle vite dei re e dei papi si preferì indagare le vite dei contadini e degli operai; alle ricerche generali e omologanti concentrate sui vertici politici, la riduzione di prospettiva che indagasse la realtà quotidiana dei protagonisti. In breve, alla storia delle classi dominanti si sostituì la storia delle classi subalterne. Si scoprì l’antropologia e la storia economica, la demografia e la statistica, e si indagò il modo di creare sinergie tra le varie discipline che potessero dare sostanza ad una interpretazione più adeguata del nostro passato.
Questa introduzione serve a comprendere il cambio di passo che da qualche decennio invece vive la ricerca storica mainstream. Il rinnovato vigore liberista non ha portato con sé unicamente un modello produttivo pre-moderno, ma ha avuto (ovvie) ricadute anche sotto il profilo culturale. Prima articolazione della cultura adeguatasi alla scomparsa delle organizzazioni politiche di classe è stata proprio la ricerca storica, tornata a ricalcare quella ottocentesca dei re e delle battaglie. La storia dei trattati e della diplomazia, le biografie dei potenti, la geopolitica, sono esempi di storie preminenti nei dipartimenti universitari italiani ed europei. Ovviamente non tutta la ricerca è omologata, ma il filone centrale e che ha più accesso a fondi e riconoscimenti, nonché quello con maggiore visibilità, è frutto della restaurazione culturale avvenuta dagli anni Ottanta in poi.
Questo libro, un romanzo, produce più storia di pile di tomi inservibili prodotti mensilmente dai suddetti dipartimenti odierni. La vicenda è quella di un giovane storico che, vent’anni dopo la morte di Cesare, si accinge a scriverne la biografia. Nel farlo, si reca presso un banchiere in possesso di alcuni determinanti diari del segretario economico di Cesare, Raro. Il giovane storico, alla ricerca del condottiero Cesare, del dittatore, del Pontefice Massimo, del grande uomo politico che conquistò mezza Europa e impose la pace a Roma, scopre attraverso la lettura dei diari la realtà della vita quotidiana di Cesare, e di conseguenza della Roma alla fine della Repubblica. Una vicenda umana che, lungi dall’essere quella tramandata dal ricordo pacificante, è composta da debiti, truffe, corruzioni, continue fughe dai creditori, alla costante ricerca dell’inganno politico e dell’accordo tra le famiglie potenti del Foro e del Senato. Una Roma di morti di fame, di morti per guerre, di schiavismo e di disoccupazione, tenuta in scacco da un ceto politico-militare pervaso dalla corruzione. Una Roma più intellegibile di quella appresa dai libri di scuola, una città in cui il dramma dello schiavismo produce povertà e guerre per la ricchezza delle poche famiglie possidenti presenti in Senato. Un Cesare inseguito dai creditori a seguito degli enormi debiti contratti per comprare il voto per il proprio club democratico contro Cicerone e Catilina, e che per fare fronte a tali debiti è costretto a impelagarsi nella campagna militare di Spagna.
La capitale del mondo è costituita da alcuni edifici governativi in mezzo a sobborghi. Qualche sala riunione, alcuni templi e qualche banca, circondati da un mare di case d’affitto decrepite, piene di miserabili. La guerra è stata un delitto. I vinti sono ventidue re asiatici e il popolo romano. La capitale del mondo ospita oltre a voi, signori miei, soltanto disoccupati. L’occupazione cui si dedicheranno un bel giorno, vi meraviglierà tutti. I capi della democrazia presto non saranno più in grado di far capire la ragione alle masse. In queste condizioni serrate pure col pugno i vostri sacchi di soldi! Domani ve li porteranno via, con tutto il pugnoQuesto faceva dire Brecht a Cesare, in un discorso al Senato volto ad accaparrarsi il consenso della popolazione votante. Un discorso più che mai attuale, come vediamo ancora oggi. Per questo, allora, è necessario tornare oggi a leggere libri di questo tipo che, seppur narrando vicende di fantasie, colgono l’aspetto centrale di quegli avvenimenti, e ne colgono la giusta chiave interpretativa. Una lezione rivoluzionaria, in tutti i sensi.
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