Alexis Tsipras ha giurato ieri da primo ministro incaricato. Un'investitura da parte del presidente della Repubblica, l’ex partigiano socialista Karolos Papoulias, all’insegna della discontinuità: il quarantenne leader della sinistra vincitrice delle elezioni di domenica si è presentato senza cravatta, non ha giurato sulle Sacre Scritture come i suoi predecessori. Anzi, ha rifiutato la tradizionale benedizioni da parte del Papa ortodosso (in mattinata aveva avvisato l’Arcivescovo Ieronimos delle sue intenzioni), ed ha anche reso omaggio ai partigiani morti per difendere la Grecia dagli invasori nel corso della Seconda Guerra Mondiale deponendo dei fiori su una lapide nel quartiere ateniese di Kaisariani.
Come aveva promesso durante la campagna elettorale, la direzione di Syriza ha dato al paese un governo nel giro di poche ore. Troppo di fretta, pensano però molti militanti, elettori e anche dirigenti del partito, oltre che di altre piccole forze di sinistra esterne alla coalizione. Che fretta c’era – si chiedono – di andare subito ad un accordo con la destra nazionalista senza aver vagliato di nuovo la possibilità di una coalizione con i comunisti del KKE oppure con i liberali di To Potami? Queste due ultime formazioni, a quanto sembra, avevano detto di nuovo no agli inviti del partito vincitore ma obbligato a cercarsi un partner di governo a causa del non raggiungimento della maggioranza assoluta. Per motivi opposti, ovviamente. Per la formazione dell’ex conduttore tv, Theodorakis, Syriza è troppo radicale nella sua critica ai memorandum della Troika e nella sua richiesta di rinegoziazione del debito, mentre per i comunisti non è sufficientemente determinata nel perseguire il rifiuto di pagare il debito e timida in fatto di nazionalizzazioni e rottura con l’Ue e la Nato.
La scelta di Tsipras però non va proprio giù alla “Tendenza Comunista” di Syriza, ed anche quelli della “Corrente di sinistra” che rappresentano un terzo del partito non hanno accolto l’alleanza col “cavallo pazzo” Kammenos in maniera propriamente entusiastica. Ad ascoltare militanti e dirigenti critici, Tsipras avrebbe dovuto insistere ancora con i potenziali partner di sinistra, offrendo in cambio una contropartita più consistente.
Anche perché sembra che il leader della destra nazionalista per sé abbia chiesto il cruciale ministero della Difesa e per un altro esponente del suo partito quello per la Protezione del Cittadino, come i precedenti premier hanno eufemisticamente ribattezzato il dicastero degli Interni. E’ possibile che il primo governo di sinistra che Atene abbia mai avuto affidi le leve della sicurezza nelle mani di due esponenti di una destra che non sarà fascista ma che non è certo moderata? I dietrologi affermano che Tsipras potrebbe accontentare le richieste di Kammenos per tranquillizzare gli ambienti militari della Grecia, tra i quali la “paura dei rossi” è quanto mai forte e che potrebbero tramare eventuali atti di destabilizzazione se non adeguatamente coinvolti nella gestione del potere (dalle ultime notizie pare che Anel abbia ottenuto la prima carica ma non la seconda).
Un’obiezione comune ai critici di diversa tendenza è invece di natura pragmatica: difficilmente una coalizione tra Syriza e i Greci Indipendenti, si afferma, sarà durevole e stabile, ed anzi potrebbe provocare molte fibrillazioni fin dall’inizio. La formazione creata nel 2012 dall’esponente di seconda linea di Nuova Democrazia insieme ad alcuni parlamentari espulsi o usciti dal centrodestra in polemica con la subordinazione nei confronti dei diktat della Troika, è evidente, ha un’identità politica e un programma opposti a quelli della sinistra. Su molti temi le posizioni dei due partner di governo sono lontanissime e apparentemente inconciliabili: sull’immigrazione, ad esempio, il 49enne Kammenos pretende una stretta sulla concessione degli status di rifugiato politico; in tema di diritti civili i Greci Indipendenti fanno riferimento ad una cultura tradizionalista e bigotta, contraria alle unioni omosessuali e alla laicità dello stato; in tema di Difesa pretendono addirittura un aumento degli investimenti per le forze di sicurezza e del ruolo della Grecia nella Nato; per non parlare di economia, dove la visione liberista, seppure con un certo ruolo dello stato, cozza con la posizione di Syriza che parla addirittura di nazionalizzazioni degli ospedali privati per far fronte all’emergenza sanitaria (ma non di altri settori chiave dell’economia come chiede il KKE).
Secondo la direzione della “Sinistra Radicale” la scelta di allearsi con Anel risponde soprattutto alla necessità di dare al paese un governo nel più breve tempo possibile e che riesca in pochi mesi a varare una serie di misure di emergenza che mettano mano alla devastante situazione economico sociale creata da cinque anni di dittatura di Bce, Fmi e Ue. Su queste misure urgenti, assicura Tsipras, Kammenos e i suoi saranno degli alleati fedeli e rispettosi, in nome della loro opposizione all’austerità. Una fedeltà alla quale però non credono i critici dell’accordo, secondo i quali i promotori della scissione di destra di Nea Dimokratia non solo non sono affidabili e ci metterebbero un attimo a tornare all’ovile, ma utilizzano la critica verbosamente radicale nei confronti della troika e dell’austerità, oltretutto declinata in chiave prettamente nazionalista, solo per attirare consensi e ritagliarsi un ruolo che altrimenti non avrebbero. Una posizione strumentale insomma, che alla prova dei fatti verrebbe prontamente smascherata.
Se i sospetti malevoli degli esponenti della sinistra di Syriza – e di alcuni analisti indipendenti – verranno confermati o meno ce lo dirà solo il tempo. D’altronde il governo, che potrebbe essere all’opera già dai prossimi giorni dopo il passaggio parlamentare, dovrà seguire una tabella di marcia fittissima e dei tempi di intervento strettissimi per implementare un piano da 11 miliardi che prevede stanziamenti per la sanità, la casa, il lavoro. Anche perché a fine febbraio scade teoricamente una tranche di aiuti preziosi che i creditori internazionali concederanno, ha ribadito in queste ore la Troika, solo se Atene accetterà di varare 19 cosiddette riforme che Antonis Samaras, da politico navigato quale è, si è rifiutato a dicembre di approvare per evitare di presentarsi per l’ennesima volta come carnefice davanti ai suoi elettori. Il termine riforme, naturalmente, è usato impropriamente, visto che gli Stati creditori e l’Ue pretendono, tra le altre cose, che Atene continui con i licenziamenti nel settore pubblico, un ulteriore tagli ai salari e alle pensioni, una nuova ondata di privatizzazioni, l’aumento dell’età pensionabile in certi settori e una ristrutturazione della magistratura. Esattamente il contrario di quanto il nuovo governo si propone di fare. Vedremo quindi presto se i vincitori delle elezioni di domenica vorranno e sapranno invertire la tendenza dei governi precedenti e rispettare le promesse fatte al proprio elettorato, anche a costo di scontrarsi con Berlino e Francoforte.
Se dal punto di vista identitario e politico la scelta di Tsipras fa legittimamente discutere perché annacqua la natura di classe delle politiche del suo esecutivo, occorre valutare l’alleanza con Anel anche dal punto di vista della “ragion di stato” e “nazionale”.
Aprendo ad un partito inequivocabilmente di destra, Tsipras si presenta infatti davanti alla società ellenica, ma soprattutto ai “creditori” e all’Unione Europea, non come il leader di un governo di “estrema sinistra”, ma come il primo ministro di un esecutivo “di tutti i greci” (o almeno di quelli contrari all'austerity) ed in quanto tale maggiormente legittimato a trattare anche in maniera brusca con le controparti e a puntare i piedi. D’altronde, se Kammenos rispetterà i patti, la presenza della destra nazionalista nell’esecutivo rafforza una verve anti austerità che un’alleanza ad esempio con il Pasok o con To Potami avrebbe invece annacquato, per la gioia di Merkel e soci. Il profilo di “unità nazionale” e non di “estrema sinistra” del nuovo esecutivo ellenico (anche se Syriza non è un partito di estrema sinistra) lascia inoltre aperta la possibilità a Tsipras di infilarsi all’interno dello scontro tutto interno all’establishment continentale che vede da una parte Italia, Francia e Spagna e dall’altra Germania, Olanda, Danimarca, Austria e Finlandia. Le dichiarazioni oltremodo entusiastiche da parte dei socialisti francesi e dei renziani italiani dopo l'affermazione di Tsipras non vanno infatti lette solo come il tentativo maldestro e vergognoso di appropriarsi di una vittoria altrui, ma anche – o soprattutto – come il lancio di un amo politico ad Atene affinché rinunci ai toni più duri e converga invece su una battaglia per orientare l’economia europea verso la tanto auspicata crescita in opposizione al partito “rigorista” capeggiato da Berlino.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento