Ricerche e dati sulla diseguaglianza
inondano l'opinione pubblica, fino al rischio di renderla completamente
assuefatta all'esistente. Della diseguaglianza ha trattato recentemente
l'ormai celebre libro dell'economista francese Thomas Piketty (Il Capitale del XXI secolo),
diventato un fortunato caso editoriale, che si può trovare persino
negli autogrill autostradali. Ogni tanto, però, i dati colpiscono
ancora. Nei giorni che hanno preceduto il raduno di Davos, è uscita una
ricerca di Oxfam, un ente che raggruppa Ong impegnate sul fronte della
povertà, che fornisce dati strabilianti che consentono di trarre qualche
conclusione sui rapporti socio-economici esistenti a fronte della
crisi. Una bozza di bilancio di cosa fa la crisi nel mondo.
Intanto il rapporto ci dice che dal
2009 al 2014 l'1% più ricco del pianeta è passato dal possedere il 44
al 48% della ricchezza mondiale. Inoltre viene stimato che nel 2016
questo dato supererà il 50%, finendo per concedere all'1% oltre la metà
della ricchezza del pianeta. Sempre in quest'arco di tempo il
patrimonio finanziario degli 80 più ricchi è pressoché raddoppiato.
Insomma si potrebbe affermare che la crisi c'è, ma per alcuni non si
vede, o non si avverte. Ma tengo a sottolineare che c'è. Nel senso che
l'attuale produzione di ricchezza non avviene spontaneamente come in
passato, non avviene sull'onda di un'economia reale in poderosa
crescita, e che i bei ritmi di crescita che furono non si riescono più a
replicare.
Tale contraddizione non è di poco conto.
Da qui la finanziarizzazione per sopperire all'imballaggio
dell'economia reale, per far tornare a crescere la ricchezza dei più
ricchi e rendere più sopportabile l'impoverimento dei più poveri, almeno
nei paesi occidentali, ma oramai non solo. La finanziarizzazione è
anche lo strumento che si agita per uscire dall'attuale crisi, dunque,
facendo crescere la ricchezza finanziaria, ma riducendo quella prodotta
nell'economia reale, quella che si redistribuisce di più, poiché tanti
soggetti sociali concorrono a produrla. Un cambiamento che sempre più
favorisce grandi aziende e multinazionali, ma fa soccombere persino
tanta parte degli attori industriali del capitalismo novecentesco. Si
sono ribaltati i connotati della valorizzazione e accumulazione di
capitali nel capitalismo contemporaneo. É un bene per chi produce
profitti, soprattutto se finanziari, ma rischia di essere difficilmente
sostenibile. Da qui gli artifici dello stampar moneta, del dopping
monetario, del rilancio infinito di un'economia a debito. Certamente è
l'egemonia politica che consente la stabilità di un sistema così iniquo,
è il dominio materiale combinato con quello culturale che favorisce
l'aumento della diseguaglianza. Ad esso si aggiunga la forza militare e
delle frontiere. A tal proposito sempre la ricerca di Oxfam
parla di come sia distribuito il restante 52% di ricchezza mondiale.
Esso va per 46 punti al 20% più ricco sottostante al famigerato 1%,
mentre quel misero 5.5% di ricchezza che resta va al 79% della
popolazione mondiale. Una povertà straripante, che vive nelle
periferie occidentali, ma soprattutto in quelle del resto del mondo.
Difficile pensare che le fortezze occidentali possano resistere a lungo.
Non ci può essere Salvini che tenga se prosegue questo modello...
Qualcuno però vede il bicchiere mezzo
pieno e sostiene che è vero che le differenze aumentano, ma sono
relative, se invece si considera il quadro in termini assoluti la
povertà diminuisce, la globalizzazione porta benessere in tante parti
del mondo. Il tema è complesso, ma non può essere eluso, mi riprometto
di tornarci a breve. Intanto riflettiamo sui dati sulla diseguaglianza
che possono essere forieri di sole disgrazie, soprusi e ingiustizie. Per
definire il capitalismo ce ne è già abbastanza.
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