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04/02/2015

Il Tribunale dell’Aia: “Croazia e Serbia non sono colpevoli di genocidio”

E’ stato emesso oggi un verdetto – vincolante e inappellabile – che giunge a 16 anni dall’apertura dell’inchiesta del Tribunale Internazionale, un’inchiesta falsata dall’aperto sostegno occidentale alla Croazia e poi da convenienze politiche ed economiche che hanno distorto responsabilità e ricostruzioni storiche. Ma comunque un verdetto apparentemente equidistante, anche in nome della necessità di Ue e Stati Uniti di normalizzare le relazioni politiche, economiche e diplomatiche con una Serbia che non si è ancora risollevata da anni di embargo e guerra.

Né la Serbia né la Croazia sono colpevoli di genocidio nei confronti di altre popolazioni dei Balcani nonostante i crimini di guerra commessi dal 1991-1995. A stabilirlo è stato il Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia con sede all'Aja.
I giudici hanno respinto in particolare le accuse avanzate da Zagabria contro la Serbia per i combattimenti e l’assedio di Vukovar e di altre città nella guerra del 1991 seguita alla dichiarazione unilaterale di indipendenza dalla Federazione Jugoslava da parte della Croazia, allora sostenuta da Germania e Vaticano. «La Croazia non è riuscita a provare le sue accuse secondo le quali è stato commesso un genocidio» ha affermato il presidente della Corte dell’Onu, lo slovacco Peter Tomka, al termine dell'udienza pubblica. Le prove fornite dal governo croato – ha aggiunto il giudice – non sono state sufficienti a dimostrare che le azioni commesse dalle forze armate serbe avessero «lo scopo specifico necessario perché si possa parlare di genocidio».
Secondo Tomka sono molti ed anche efferati i crimini commessi dalle forze militari e paramilitari di entrambi i Paesi, ma l’intenzione delle parti in conflitto non era quella di commettere genocidio, cioè di «distruggere una popolazione in tutto o in parte».

Secondo la Convenzione Onu si prefigura infatti un genocidio quando le azioni militari hanno l'obiettivo di distruggere in tutto o in parte un gruppo sulla base di ragioni etniche, razziali o religiose. La città croata di Vukovar venne parzialmente distrutta a causa dell'occupazione serba durata tre mesi nel 1991: decine di migliaia di croati vennero sfollati e circa 260 di loro vennero arrestati e uccisi.

Dal canto loro, le autorità di Belgrado denunciarono la Croazia per aver espulso circa 200mila serbi dal territorio croato e di averne uccisi a migliaia nel corso della cosiddetta Operazione Tempesta che di fatto “liberò” le regioni nordorientali della Croazia dalla presenza serba, in particolare la Krajina.
La sentenza di oggi rappresenta una batosta soprattutto per le rivendicazioni di Zagabria, che ha sempre teso a dare al conflitto balcanico una versione unilaterale, descrivendosi come paese aggredito e immune da responsabilità. Se la Croazia non ha potuto dimostrare i presunti propositi di genocidio della Serbia nel conflitto durato dal 1991 al 1995, la sentenza ha confermato che la Croazia ha compiuto crimini di massa contro i serbi. Non a caso il presidente serbo Tomislav Nikolic ha commentato che "Anche da parte delle più alte istituzioni giudiziarie dell'Onu è stato confermato che le forze croate commisero crimini di massa contro i serbi di Croazia".
Assai meno positivo invece il commento del premier croato Zoran Milanovic: "La Croazia non può essere soddisfatta del verdetto di oggi, del fatto che non è stato provato il genocidio ma d'altro canto i giudici hanno chiaramente stabilito che eccidi e distruzioni sono stati commessi, che c'è stata la pulizia etnica".

Finora l'unica condanna per genocidio – non contro la Serbia ma contro alcune milizie paramilitari di Belgrado – pronunciata per quanto riguarda le guerre dei Balcani resta quella sul “massacro di Srebrenica” del '95, in Bosnia. Fu emessa nel 2004, ma non dalla Corte di Giustizia delle Nazioni Unite, bensì da un Tribunale Penale Internazionale dell’Onu costituito ad hoc.
Quasi in contemporanea con la lettura della sentenza all'Aia, il governo croato ha deciso di garantire l'impunità ad un criminale di guerra.

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La Croazia libera il boia Glavaš

Drago Hedl*

La sen­tenza della Corte costi­tu­zio­nale croata ha per­messo a Bra­ni­mir Gla­vaš di uscire dal car­cere bosniaco dove scon­tava una pena per cri­mini di guerra. Mar­tedì scorso il Tri­bu­nale di Zaga­bria ha tolto il man­dato di cat­tura che gli impe­diva di fare ritorno in Croa­zia. E, alla fine, ieri è rien­trato ad Osi­jek, accolto da più di due­mila per­sone. Ecco que­sta sto­ria par­ti­co­lar­mente grave.

Bra­ni­mir Gla­vaš, ex gene­rale dell’esercito e un tempo uno dei più potenti poli­tici della Croa­zia, con­dan­nato nel 2008 a dieci anni di reclu­sione per gravi cri­mini di guerra com­messi a Osi­jek, è tor­nato in libertà a seguito di una deci­sione della Corte costi­tu­zio­nale croata.

Fino a tre giorni fa la sua libertà era limi­tata al solo ter­ri­to­rio della Bosnia Erze­go­vina, paese dove stava scon­tando la pena. Mar­tedì scorso, tut­ta­via, il Tri­bu­nale di Zaga­bria ha revo­cato il man­dato di cat­tura nei suoi con­fronti, dando seguito alla deci­sione della Corte Costi­tu­zio­nale, e Bra­ni­mir Gla­vaš potrà dun­que rien­trare in Croa­zia. E infatti ieri l’ex gene­rale, pun­tuale è arri­vato a Osi­jek rice­vuto da una folla di vete­rani. La Corte suprema della Croa­zia, obbli­gata ora dalla deci­sione della Corte costi­tu­zio­nale a ria­prire il caso, potrebbe con­fer­mare la pre­ce­dente con­danna, ma anche ridurla o aumen­tarla. Potrebbe inol­tre ordi­nare al Tri­bu­nale della con­tea di Zaga­bria di avviare un nuovo pro­cesso, oppure annul­lare la sua sen­tenza e in que­sto modo assol­vere Gla­vaš da tutte le accuse. La Corte costi­tu­zio­nale – dopo più di quat­tro anni tra­scorsi senza alcuna azione sul caso Gla­vaš – ha infatti ora sta­bi­lito che nel pro­ce­di­mento a suo carico ci sareb­bero stati difetti pro­ce­du­rali che avreb­bero vio­lato i diritti dell’imputato.

Eufo­ria, ven­detta e paura

Alcuni giu­ri­sti da noi con­tat­tati riten­gono che la Corte suprema pro­ba­bil­mente deci­derà di con­fer­mare la pena pre­ce­dente (che nel frat­tempo era stata ridotta a otto anni di reclu­sione) o, nello sce­na­rio migliore per Gla­vaš, ridurre ulte­rior­mente la pena al numero di anni già scon­tati in car­cere: cinque.

La libe­ra­zione di Gla­vaš, e la pos­si­bi­lità che in un nuovo pro­cesso possa essere assolto da ogni accusa, ha susci­tato rea­zioni oppo­ste in Croa­zia, e soprat­tutto a Osi­jek.
Tra i suoi soste­ni­tori (amici di guerra e mem­bri del suo par­tito) si è dif­fusa una vera e pro­pria eufo­ria, ma anche un desi­de­rio di ven­detta. Sulla sua pagina Face­book, Gla­vaš ha pub­bli­cato una foto­gra­fia di cin­que per­sone impic­cate, accom­pa­gnata dal testo dell’ottavo coman­da­mento – «Non pro­nun­ciare falsa testi­mo­nianza con­tro il tuo pros­simo» – aggiun­gendo che la puni­zione di Dio è arri­vata per coloro che hanno vio­lato i suoi coman­da­menti. In seguito si è scu­sato per tale com­por­ta­mento ma il mes­sag­gio – molto chiaro – è ormai stato mandato.

Le fami­glie delle vit­time sono invece rima­ste scon­volte dal fatto che Gla­vaš sia in libertà e che, in un nuovo pro­cesso, il sistema giu­di­zia­rio croato potrebbe assol­verlo da tutte le accuse. Riten­gono che la giu­sti­zia in quel caso non sarebbe sod­di­sfatta poi­ché, in caso di asso­lu­zione, nes­suno risul­terà col­pe­vole per i gravi cri­mini di guerra inne­ga­bil­mente commessi.

I fatti

Nel 2008, insieme ad altri cin­que mem­bri dell’Esercito croato, Gla­vaš è stato accu­sato di cri­mini com­messi nel 1991 con­tro civili, per la mag­gior parte appar­te­nenti alla mino­ranza serba. Durante il pro­cesso, due di que­sti cri­mini sono emersi per la loro par­ti­co­lare cru­deltà, i media li hanno defi­niti come il caso «Garage» e il caso «Nastro ade­sivo». Nel primo caso, i civili serbi veni­vano con­dotti nei garage situato a poca distanza dall’ufficio mili­tare di Gla­vaš e in seguito inter­ro­gati, tor­tu­rati, basto­nati, alcuni anche costretti a bere l’acido sol­fo­rico delle bat­te­rie delle auto. Il caso «Nastro ade­sivo» era invece rela­tivo all’assassinio di civili serbi, por­tati nella can­tina di una casa nel cen­tro di Osi­jek dove, dopo essere inter­ro­gati e fisi­ca­mente tor­tu­rati, veni­vano legati col nastro ade­sivo e in seguito por­tati sulle sponde della Drava per essere uccisi con un colpo alla nuca.

Il pro­cesso a Bra­ni­mir Gla­vaš, e l’inchiesta che l’ha pre­ce­duto, si è svolto tra molte dif­fi­coltà. Gla­vaš e i suoi soste­ni­tori, non­ché gli avvo­cati che l’hanno rap­pre­sen­tato in tri­bu­nale, soste­ne­vano che si trat­tava di un pro­cesso poli­tico mon­tato die­tro il quale stava l’allora pre­mier Ivo Sana­der e il ver­tice del suo Hdz. Fino al 2005, Gla­vaš è stato uno dei più potenti poli­tici in Croa­zia: gene­rale dell’Esercito (il grado gli è stato can­cel­lato dopo la con­danna per cri­mini di guerra), più volte eletto al par­la­mento e inol­tre pre­fetto di una cir­co­scri­zione. Tut­ta­via, la sua vera forza risie­deva nel fatto che era stato uno dei fon­da­tori dell’Hdz di Fra­njo Tud­j­man, il par­tito che vinse le prime ele­zioni plu­ri­par­ti­ti­che nel 1990. In più, Gla­vaš è riu­scito a costruire il mito di se stesso come coman­dante della difesa di Osi­jek al quale, più di tutti, si dovrebbe il fatto che la città non ha spe­ri­men­tato il destino di Vukovar.

Tut­ta­via nel 2005 Gla­vaš è entrato in con­flitto con Ivo Sana­der e, insieme ai suoi col­la­bo­ra­tori più vicini, è stato espulso dall’Hdz. Subito dopo ha fon­dato un pro­prio par­tito otte­nendo i voti suf­fi­cienti per entrare in par­la­mento. Non molto tempo dopo, è stata avviata l’inchiesta sui cri­mini di guerra com­messi a Osijek.

Nel mag­gio 2008, dopo essere stato con­dan­nato a 10 anni di car­cere, Gla­vaš era fug­gito in Bosnia Erze­go­vina dove viveva tran­quil­la­mente in una casa di fami­glia fino al 2010 quando, in base ad un accordo vigente tra Croa­zia e Bosnia, venne incar­ce­rato e ini­ziò a scon­tare la pena com­mi­nata nel car­cere di Zenica. A breve riu­scì poi ad essere tra­sfe­rito nel car­cere di Mostar, dove ottenne un trat­ta­mento meno duro e nel quale rimase fino al 20 gen­naio scorso, quando la Corte costi­tu­zio­nale croata gli ha di fatto resti­tuito la libertà.

Verso l’assoluzione totale?

Nel frat­tempo, la Corte suprema gli aveva ridotto la pena da dieci a otto anni. Men­tre si aspet­tava la deci­sione della Corte costi­tu­zio­nale, la Croa­zia è stata scossa dallo scan­dalo riguar­dante un pre­sunto ten­ta­tivo dei soste­ni­tori di Gla­vaš di cor­rom­pere alcuni giu­dici. Tre per­sone tra i suoi soste­ni­tori sono state con­dan­nate, ma l’indagine non ha mai rive­lato chi erano i giu­dici coinvolti.

La stessa Corte suprema adesso dovrebbe avviare la revi­sione del caso. Date tutte le peri­pe­zie legate all’inchiesta e al pro­cesso a Bra­ni­mir Gla­vaš, non­ché quanto acca­duto dopo la pro­nun­cia della sen­tenza di primo grado, tutte le opzioni restano aperte, inclusa la pos­si­bi­lità che Gla­vaš venga assolto da ogni accusa.

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