di Sonia Grieco
L’aviazione egiziana sarebbe entrata di nuovo in azione in Libia. Lo riferisce il sito del quotidiano egiziano Youm7. Le
Forze speciali, coordinate con le forze di terra libiche del governo di
Tobruk, quello “legittimo” per l’Occidente, avrebbero colpito presunte
basi jihadiste a Derna la scorsa notte. Sono stati uccisi e arrestati
oltre cento presunti terroristi di diverse nazionalità, secondo Sky News.
E la giornata di ieri sarebbe stata segnata anche da un raid ordinato
dal governo di Tripoli su Zintan, secondo quanto riferito dalla Bbc, controllata dall’esecutivo rivale che associa l’alleanza islamista di Alba Libica che controlla la capitale ai jihadisti.
L’Egitto aveva avvertito che i raid non sarebbero finiti, dopo quelli
di lunedì su Derna (controllata da affiliati dell’Isis), Sirte e Ben
Jawad (dove si trovano le forze del governo di Tripoli), in rappresaglia
per la decapitazione di 21 cittadini egiziani di fede copta rapiti dai
miliziani tra dicembre e gennaio.
Mentre l’Occidente smorza i toni (inizialmente bellici) e parla di
“soluzione politica” alla crisi libica, l’Egitto e il governo di Tobruk
premono per una risposta muscolare. Tobruk ha chiesto al
Consiglio di sicurezza dell’Onu di togliere l’embargo sulle armi imposto
alla Libia dal 2011, per poter contrastare l’avanzata jihadista nel
Paese. Una richiesta sostenuta dal Cairo che ha anche proposto un blocco
navale per impedire ai carichi di armi di raggiungere località
del Paese sotto il controllo dei jihadisti o di altri gruppi, o
governi, che si oppongono all’esecutivo di Tobruk. Ma non sono poche le
resistenze alla fine dell’embargo, poiché c’è l’alto rischio che le armi
cadano comunque nelle mani dei miliziani jihadisti. Inoltre, il
governo di Tobruk potrebbe impiegarle contro quello di Tripoli, per
risolvere a suo favore la battaglia per la Libia.
Dall’intervento Nato del 2011, che ha messo fine al regime di
Gheddafi, la Libia è precipitata nel caos, è diventata il terreno di
scontro tra diverse fazioni armate e adesso ha due governi:
quello riconosciuto dalla cosiddetta comunità internazionale nella città
di Tobruk, guidato da Mohammed Abdullah al Thani, e uno a Tripoli, dove
governa l’alleanza islamista di Alba Libica, cui aderiscono formazioni
islamiste, che nega di avere contatti con i jihadisti. Nella capitale
sono state issate alcune bandiere jihadiste, ma non è caduta nelle loro
mani.
Al Thani aveva lanciato l’allarme nei giorni scorsi, parlando di
minaccia jihadista per l’Europa e per l’Italia, in particolare, e ieri
al Palazzo di Vetro il ministro libico degli Esteri, Mohammed
al-Dairi, ha avvertito che se non si arma la Libia, o meglio quella
parte di Paese controllata da Tobruk, si fa il gioco degli islamisti e
si rischia una saldatura tra i gruppi di stampo jihadista e l’Isis. Posizione condivisa dal Cairo.
Scenari cupi, alimentati dalle paure scatenate dalle minacce contro
l’Europa e l’Italia che girano nel Web. Ma un intervento internazionale
in Libia, sulla scorta di quello della coalizione anti-Isis in Iraq e
Siria, che peraltro non sta fermando l’autoproclamato Stato Islamico, al
momento non sembra in calendario. L’obiettivo dichiarato,
invece, è quello di un governo di unità nazionale per stabilizzare il
Paese e contrastare i jihadisti. Roma si è detta pronta ad assumere un
ruolo di primo piano in questo quadro, nel monitoraggio di un eventuale cessate il fuoco e nell’addestramento delle forze libiche.
Intanto, il lavoro sporco lo fa l’Egitto, ormai in campagna
elettorale per le parlamentari di marzo, che per la sua iniziativa
bellica in Libia è arrivato ai ferri corti con il Qatar. Doha ha
richiamato il suo ambasciatore al Cairo, dopo che il rappresentante
egiziano alla Lega araba, Tatiq Adel, ha accusato l’emirato di sostenere
il “terrorismo” in risposta alle critiche qatariote riguardo ai raid in
Libia. Il Consiglio di cooperazione del Golfo, sorta di Nato
della Penisola arabica dominato dai sauditi, si è schierato con Doha.
Tira di nuovo aria di crisi tra Egitto e Qatar, dopo l’apparente
riavvicinamento dello scorso dicembre, quando Doha ha riconosciuto il
presidente al Sisi, salito al potere cacciando con un golpe, nel 2013,
il presidente eletto Morsi, dei Fratelli Musulmani ora perseguitati in
Egitto e che, invece, il Qatar sosteneva.
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