Esiste un filone giornalistico ben
consolidato, quasi un genere letterario, che denuncia la pretestuosità
delle lamentele dei giovani sul lavoro che non c’è. Secondo questi
articoli, il lavoro c’è, ma nessuno lo vuole perché i disoccupati,
soprattutto i giovani, sono un po’ choosy e non si adattano a
svolgere lavori manuali di cui esisterebbe una domanda insoddisfatta.
Malauguratamente, i giovani si accaniscono a inseguire titoli di studio
che sono l’anticamera della disoccupazione. La morale è semplice: meglio
ridurre la popolazione degli studenti universitari e reindirizzarli
dove non solo c’è lavoro, ma anche migliori prospettive economiche.
Questo genere letterario, di solito,
punta sulla narrazione di casi esemplari, mentre si tiene a debita
distanza dalle statistiche nazionali e internazionali. Istat, OCSE e Consorzio Alma Laurea
mostrano che i laureati hanno minori probabilità di rimanere disoccupati e
migliori aspettative di reddito rispetto ai diplomati. Come certificato
da Eurostat, l’Italia è ultima paese nell’UE per percentuale di laureati
nella fascia 30-34 anni, sul punto di essere sorpassata dalla Turchia.
La carenza di domanda di professioni altamente qualificate, specchio di
un sistema produttivo arretrato, spiega le difficoltà che i laureati,
pur così pochi, incontrano nella ricerca di lavoro e di retribuzioni
adeguate alla loro formazione. Ma le difficoltà dei non laureati sono
persino peggiori come puntualmente documentato da Almalaurea.
Un genere letterario a cui non si sottrae nemmeno Flavio Briatore
che, invitato a parlare agli studenti della Bocconi, consiglia loro di
aprire una pizzeria, «così se fallisce almeno vi mangiate una pizza».
Quella della pizza deve essere un’emergenza nazionale, se un po’ più di
un anno fa il Corriere Economia segnalava la mancanza di seimila pizzaioli. «Giovani, pensateci» era stata la raccomandazione paterna.
Lo scorso agosto, i pizzaioli fanno capolino anche su Repubblica.it, in un articolo intitolato: “Infermiere e pizzaiolo: il lavoro c’è, nessuno lo vuole…”.
Secondo l’articolo, ci sono almeno 35mila posti in offerta che i
giovani non vogliono accettare. Nel primo trimestre del 2014, si
sarebbero contati ben 10.000 posti vacanti da infermieri, seguiti da
pizzaioli (6.000), commessi (5.000), camerieri (2.400) e così via. Se
poi consideriamo i lavori più specializzati, la domanda insoddisfatta va
verso il mezzo milione a cui bisogna aggiungere la carenza strutturale
di infermieri: entro il 2020 ne occorreranno ben 250mila!
La fonte è uno studio dell’Ordine dei consulenti del lavoro, che ai primi di agosto era stato rilanciato dall’ANSA, ottenendo vastissima risonanza sui maggiori quotidiani nazionali, ma anche su radio e televisioni, Radio Vaticana inclusa.
Sembrava un copione ultracollaudato: i
giovani bamboccioni e choosy che si lamentano del lavoro che manca
invece di rimboccarsi le maniche. Ma ecco che su Repubblica.it succede
qualcosa di inaspettato. I lettori, per lo più infermieri, cominciano a
postare una raffica di commenti inferociti che contestano, dati alla
mano, il contenuto dell’articolo.
L’autore accusa il colpo al punto di
cambiare il titolo, mettendo “informatici” al posto di “infermieri” e
aggiungendo una premessa in cui sembra voler prendere le distanze dalle
cifre dell’Ordine dei consulenti del lavoro. Non che il nuovo titolo sia
molto più felice. Infatti, Almalaurea
aveva già escluso un eccesso di domanda di laureati in ingegneria
informatica sulla base di una constatazione elementare: se veramente
mancano così tanti informatici, come è possibile che tra il 2008 ed il
2013 le retribuzioni ad un anno dalla laurea siano calate del 7%?
Comunque sia, i lettori non si placano e insistono a sollevare dubbi
sull’attendibilità dei dati.
In effetti, per farsi venire qualche dubbio sarebbe bastato scaricare lo studio dal sito dall’Ordine dei consulenti del lavoro. L’indagine,
se così la si può definire, consta di sole tre pagine, senza una data e
senza un autore. Le stime dei posti vacanti nel primo trimestre del
2014 sommano a 33.770, ma vengono arrotondati a 35.000 posti “che
nessuno cerca e che nessuno vuole” ed è questo il numero rimbalzato su
tutti i media.
Ma da dove vengono questi numeri? Nelle
ultime tre righe è spiegato che sono gli esiti di un sondaggio svolto
presso gli iscritti all’Ordine dei Consulenti del Lavoro, nel primo
trimestre del 2014. Non viene data alcuna informazione sul numero di
questionari inviati, sul loro contenuto, sulla percentuale di risposte,
sulla loro distribuzione geografica. Un altro elemento anomalo è che i
numeri sono tutti cifre tonde, invariabilmente multiple di 10 e, nella
maggior parte dei casi, multiple di 100. Del tutto improbabile che un
sondaggio fornisca risultati di questo tipo. Nella migliore delle
ipotesi, saremmo di fronte ad un sondaggio “fatto in casa”, privo dei
requisiti richiesti ad un sondaggio professionale. Non sono offerte di
lavoro con il nome e l’indirizzo dell’azienda che possano essere
verificate una ad una, ma stime di consulenti e, per di più, sottoposte
ad arrotondamenti spregiudicati.
Prima che lo facesse il blog Roars,
nessuno aveva notato questi dettagli, tutt’altro che insignificanti.
Anzi, più di un organo di informazione, a partire dalla stessa ANSA, non
aveva nemmeno specificato che i dati erano frutto di un sondaggio,
professionale o meno che fosse.
Qualche anno fa un analogo infortunio
era occorso anche a Massimo Gramellini, che nel 2011 scriveva di 300
posti da panettiere a 2.000 Euro al mese che nessuno voleva. Come
raccontato da Valigia Blu, un precario aveva preso alla lettera
l’articolo di Gramellini ed era andato a cercare questi posti. Non li
aveva trovati e lo aveva anche scritto a Gramellini, che gli aveva
gentilmente replicato, ma senza saper indicare dove stessero questi
benedetti posti a duemila euro al mese.
Ma non è finita. Negli stessi mesi, il Corriere.it aveva lanciato un altro disperato allarme:
in Abruzzo, cercavano quattromila aspiranti fornai, con la prospettiva
di guadagnare “anche tremila euro al mese”. L’articolo era illustrato
dalla foto di un sorridente e canuto fornaio, che avrebbe potuto
degnamente illustrare uno di quei sussidiari di una volta che
decantavano gioie e virtù del lavoro manuale.
Virtù o non virtù, lo stesso precario di
prima aveva mandato il Curriculum alla Confesercenti Abruzzo, la quale
aveva risposto spiegando che più di una caterva di posti da panettieri a
duemila Euro al mese, erano disponibili una caterva di corsi per pizzaioli/pasticceri/barman. A pagamento, però. Per fortuna, a dimostrazione della bontà della Confesercenti Abruzzo, il pagamento era rateizzabile.
Quale potrebbe essere la morale della
favola? Non è un modo di dire, perché – come il lettore avrà ormai
capito – di vere e proprie favole si tratta. La morale è che quando
leggete di decine di migliaia di posti di lavoro ben retribuiti che
nessuno vuole, fareste bene a ricordare che gran parte del discorso pubblico sulla disoccupazione e la formazione giovanile si nutre di storie meno solide della nebbia, seppur altrettanto efficaci nel mascherare la realtà delle cose.
Pubblicato sul Manifesto del 7 gennaio 2015: Infermiere e pizzaiolo: il lavoro c’è, nessuno lo vuole… O no?
Versione estesa pubblicata su Roars il 2 ottobre 2015: Infermiere e pizzaiolo: il lavoro c’è, nessuno lo vuole… o no?
Fonte
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