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03/08/2015

Bombe USA su chiunque attacchi i ribelli moderati, incluso Assad

Difendere con raid aerei chiunque attacchi i cosiddetti “ribelli moderati” siriani, anche se a farlo è l’esercito siriano. E’ questa la nuova politica decisa dall’amministrazione americana, comunicata ieri da funzionari Usa e rivelata per primo dal Wall Street Journal, una politica che cambia radicalmente le regole di ingaggio di Washington nel paese e che rischia di aumentare il frazionamento dei già divisi combattenti dell’opposizione siriana.

Seppur i dettagli della svolta Usa siano stati diffusi da alcuni funzionari anonimi, con la Casa Bianca e il Pentagono che rifiutano di confermare  o commentare quanto rivelato, si sa che gli Stati Uniti contribuiranno con raid aerei offensivi all’avanzata dei miliziani siriani da loro addestrati – 5.400 combattenti messi insieme a partire dal maggio scorso, ndr –  contro obiettivi dello Stato islamico. La risposta a chi attaccherà le compagini ribelli, invece, sarà il bombardamento, di qualunque fazione si tratti.

“Non voglio entrare nello specifico delle nostre regole di ingaggio – ha dichiarato il portavoce del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca Alistair Baskey – ma abbiamo detto fin dall’inizio che avremmo dovuto prendere le misure necessarie per garantire che tali forze potessero svolgere con successo la loro missione”. Dello stesso avviso il Pentagono, con la sua portavoce, il comandante Elissa Smith che ha confermato che “il programma militare degli Stati Uniti si concentra “prima di tutto”, sulla lotta contro i militanti islamici dello Stato Islamico”.

Come rivelano fonti ufficiali dell’amministrazione americana, un maggiore coinvolgimento Usa si rende necessario visto l’attacco subito venerdì scorso da parte del Fronte al-Nusra dal primo lotto di forze ribelli addestrate da Washington e schierate nel nord della Siria per contrastare l’avanzata dell’Isis. Quello sarebbe stato il terreno di prova per i raid difensivi, una zona militare utilizzata in passato da un altro gruppo di miliziani sostenuto dall’Occidente, noto come la Divisione 30, da cui proverrebbe la maggior parte delle reclute addestrate dagli Usa.

Si tratta degli stessi combattenti che al-Nusra rivendica di aver catturato la scorsa settimana, tra cui il presunto comandante della Divisione, che però secondo alcuni funzionari americani non sarebbe stato mai addestrato da loro. E non si tratta certo dei primi “ribelli moderati” schiacciati dalla formazione qaedista: a marzo il gruppo Harakat Hazm, riccamente finanziato e supportato da Washington per tre anni in chiave anti-Assad, annunciava il suo scioglimento, decretando ancora una volta il fallimento della politica Usa di sostegno di certi gruppi di ribelli.

Per quattro anni, infatti, circa 500 milioni di dollari di armi, aiuti e addestramento militare sono fluiti dalle casse di Washington a quelle dei miliziani anti-Assad: miliziani che hanno visto nascere e moltiplicarsi vari gruppi tra cui Isis, al-Nusra e altre fazioni più piccole non raggruppate nel cosiddetto Esercito Siriano Libero e ne sono poi stati sopraffatti, se si considera che i gruppi jihadisti controllano oggi oltre la metà del territorio siriano.

Continuare a fornire aiuti consistenti a una certa compagine che sembrava non godere di alcun appoggio in loco – ma che, sponsorizzata dall’Occidente, era diventata subito “l’unica rappresentante del popolo siriano” – era parso un gioco pericoloso perfino al direttore della Cia John Brennan, che a marzo si era lasciato andare ad alcuni commenti di preoccupazione sulla non compattezza dell’opposizione siriana che, in caso di “collasso caotico del regime di Assad, […] potrebbe aprire la strada di Damasco all’Isis”, ricordando che “bisogna sì continuare a sostenere l’opposizione moderata, ma bisogna anche progettare un percorso politico per il futuro”.

Sebbene stando alle parole di Washington la distruzione dell’Isis sia per ora il maggiore obiettivo del generoso finanziamento Usa ai ribelli anti-Assad, e sebbene le truppe del presidente siriano non abbiano mai attaccato i reparti della coalizione anti-Isis nel nord della Siria nonostante il regime abbia più volte dichiarato che qualsiasi ingresso di truppe straniere nel paese sarà considerato un’invasione e una violazione di sovranità, non è escluso che questa volta un attacco anche involontario potrà dar luogo a una carneficina. E non sembra inverosimile pensare che qualsiasi pretesto sarà usato dalle truppe Usa per muovere contro il loro vero e a lungo dichiarato obiettivo: Bashar al-Assad.

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