Difendere con raid aerei chiunque attacchi i cosiddetti “ribelli
moderati” siriani, anche se a farlo è l’esercito siriano. E’ questa la
nuova politica decisa dall’amministrazione americana, comunicata ieri da
funzionari Usa e rivelata per primo dal Wall Street Journal,
una politica che cambia radicalmente le regole di ingaggio di Washington
nel paese e che rischia di aumentare il frazionamento dei già divisi
combattenti dell’opposizione siriana.
Seppur i dettagli della svolta Usa siano stati diffusi da alcuni
funzionari anonimi, con la Casa Bianca e il Pentagono che rifiutano di
confermare o commentare quanto rivelato, si sa che gli Stati
Uniti contribuiranno con raid aerei offensivi all’avanzata dei miliziani
siriani da loro addestrati – 5.400 combattenti messi insieme a partire
dal maggio scorso, ndr – contro obiettivi dello Stato islamico. La
risposta a chi attaccherà le compagini ribelli, invece, sarà il
bombardamento, di qualunque fazione si tratti.
“Non voglio entrare nello specifico delle nostre regole di ingaggio –
ha dichiarato il portavoce del Consiglio di Sicurezza della Casa Bianca
Alistair Baskey – ma abbiamo detto fin dall’inizio che avremmo dovuto
prendere le misure necessarie per garantire che tali forze
potessero svolgere con successo la loro missione”. Dello stesso avviso
il Pentagono, con la sua portavoce, il comandante Elissa Smith che ha
confermato che “il programma militare degli Stati Uniti si concentra
“prima di tutto”, sulla lotta contro i militanti islamici dello Stato
Islamico”.
Come rivelano fonti ufficiali dell’amministrazione americana, un
maggiore coinvolgimento Usa si rende necessario visto l’attacco subito
venerdì scorso da parte del Fronte al-Nusra dal primo lotto di forze
ribelli addestrate da Washington e schierate nel nord della Siria per
contrastare l’avanzata dell’Isis. Quello sarebbe stato il terreno di
prova per i raid difensivi, una zona militare utilizzata in passato da
un altro gruppo di miliziani sostenuto dall’Occidente, noto come la Divisione 30, da cui proverrebbe la maggior parte delle reclute addestrate dagli Usa.
Si tratta degli stessi combattenti che al-Nusra rivendica di aver catturato la scorsa settimana,
tra cui il presunto comandante della Divisione, che però secondo alcuni
funzionari americani non sarebbe stato mai addestrato da loro. E non si
tratta certo dei primi “ribelli moderati” schiacciati dalla formazione
qaedista: a marzo il gruppo Harakat Hazm,
riccamente finanziato e supportato da Washington per tre anni in chiave
anti-Assad, annunciava il suo scioglimento, decretando ancora una volta
il fallimento della politica Usa di sostegno di certi gruppi di
ribelli.
Per quattro anni, infatti, circa 500 milioni di dollari di
armi, aiuti e addestramento militare sono fluiti dalle casse di
Washington a quelle dei miliziani anti-Assad: miliziani che
hanno visto nascere e moltiplicarsi vari gruppi tra cui Isis, al-Nusra e
altre fazioni più piccole non raggruppate nel cosiddetto Esercito
Siriano Libero e ne sono poi stati sopraffatti, se si considera che i
gruppi jihadisti controllano oggi oltre la metà del territorio siriano.
Continuare a fornire aiuti consistenti a una certa compagine
che sembrava non godere di alcun appoggio in loco – ma che,
sponsorizzata dall’Occidente, era diventata subito “l’unica
rappresentante del popolo siriano” – era parso un gioco pericoloso
perfino al direttore della Cia John Brennan, che a marzo si era lasciato andare ad alcuni commenti
di preoccupazione sulla non compattezza dell’opposizione siriana che,
in caso di “collasso caotico del regime di Assad, […] potrebbe aprire la
strada di Damasco all’Isis”, ricordando che “bisogna sì continuare a
sostenere l’opposizione moderata, ma bisogna anche progettare un
percorso politico per il futuro”.
Sebbene stando alle parole di Washington la distruzione dell’Isis sia
per ora il maggiore obiettivo del generoso finanziamento Usa ai ribelli
anti-Assad, e sebbene le truppe del presidente siriano non abbiano mai
attaccato i reparti della coalizione anti-Isis nel nord della Siria
nonostante il regime abbia più volte dichiarato che qualsiasi ingresso
di truppe straniere nel paese sarà considerato un’invasione e una
violazione di sovranità, non è escluso che questa volta un attacco anche
involontario potrà dar luogo a una carneficina. E non sembra
inverosimile pensare che qualsiasi pretesto sarà usato dalle truppe Usa
per muovere contro il loro vero e a lungo dichiarato obiettivo: Bashar
al-Assad.
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