Correva l’anno 2001 quando il governo di centro-sinistra, affidato ancora una volta a Giuliano Amato, modificò il Titolo V della Costituzione e introdusse il federalismo nel nostro paese. Stretti da una perfida forbice tra la Lega che invocava – allora – “la devolution” dei poteri agli enti territoriali e i Ds che aspiravano a diventare Pd e volevano smantellare lo Stato in nome dei poteri locali, il governo varò la legge e la sottopose a referendum confermativo. Solo in pochi ebbero il coraggio e la coerenza di opporvisi. Deus ex Machina dell’operazione nel centro-sinistra fu il ministro Bassanini, ispiratore di leggi e provvedimenti che hanno picconato ben prima di Renzi l’assetto costituzionale del paese.
Quindici anni dopo il federalismo introdotto d’imperio non funziona, soprattutto sul piano fiscale ed economico, anzi. La crescita dell’autonomia finanziaria dei Comuni, infatti, non sembra aver prodotto alcun beneficio né sui servizi, né sui consumi e sull'occupazione locale. Ma, al contrario, ha portato solo al boom della tassazione locale. A certificarlo, per l’ennesima volta, è la Corte dei Conti nella sua relazione sulla finanza locale.
La riduzione dei finanziamenti statali agli enti locali, non ha prodotto più autonomia decisionale sulla base delle esigenze del territorio ma solo aumenti delle tasse locali.
In quattro anni, dal 2010 al 2014, i Comuni hanno subìto tagli per circa 8 miliardi, compensati da “aumenti molto accentuati” delle tasse locali “per conservare l'equilibrio in risposta alle severe misure correttive del governo”. Solo nell'ultimo triennio, le imposte comunali sono cresciute del 22%: si è passati dai 505,5 euro 2011 ai 618,4 euro pro capite 2014. Nei Comuni con più di 250 mila abitanti la pressione tributaria è arrivata a 881,94 euro a testa. Nei Comuni tra i 60 mila e i 249 mila abitanti la pressione fiscale pro capite si aggira sui 649,69 euro. Infine nei piccoli Comuni (fin a 1.999 abitanti) si pagano mediamente 628 euro di imposte comunali.
Secondo la relazione della Corte dei Conti, la crescita dell’autonomia finanziaria degli enti locali non sembra aver prodotto alcun beneficio, né sui servizi, né sui consumi e sull'occupazione locale, in assenza “di una adeguata azione di stimolo derivante dagli investimenti pubblici”.
La dinamica delle entrate locali, è l'analisi dei magistrati contabili, è dovuta principalmente a due fenomeni: “Il deterioramento del quadro economico, con effetti penalizzanti soprattutto sul gettito risultante dalle più ridotte basi imponibili” e dalle “numerose manovre di risanamento della finanza pubblica, i cui effetti prodotti dal disorganico e talvolta convulso succedersi di interventi sulle fonti di finanziamento degli enti locali hanno determinato forti incertezze nella gestione dei bilanci e nella formulazione delle politiche tributarie territoriali”.
E’ in questo contesto che l’ultima “grande pensata” della demagogia di governo e di opposizione – l’abolizione delle Province – sta innescando un altro possibile cortocircuito. Infatti sempre secondo la Corte dei Conti, le risorse a disposizione delle Province, a riordino non concluso, rischiano di non bastare a "garantire servizi di primaria importanza". Senza interventi "la forbice tra risorse correnti e fabbisogno" tende a una "profonda divaricazione, difficilmente sostenibile per l'intero comparto". Insomma continuiamo ad essere nelle mani degli apprendisti stregoni.
E proprio il principale di essi, Renzi, dal lontano Giappone fa sapere che entro giovedì parte la riforma della pubblica amministrazione. La commissione Affari Costituzionale del Senato lo scorso 31 luglio, ha detto sì all'avvio della "riforma" della pubblica amministrazione. Il ministro Marianna Madia ha dichiarato che poi si aprirà la partita dei decreti attuativi, "che vedo divisi in due pacchetti", almeno in linea di principio. La prima tranche di dlgs dovrebbe partire da "settembre". Lo spirito e gli obiettivi sono gli stessi di Bassanini quattordici anni fa, con i risultati nefasti che abbiamo visto: più imposte, meno servizi, privatizzazioni, nessuna assunzione, riduzione degli organici, punto.
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