Per capire la nascita della Seconda repubblica e conseguentemente l’attuale situazione caratterizzata da forti ondate populiste, penso sia opportuno richiamare l’attenzione su una prima ondata di populismi che ha spianato la strada agli sviluppi successivi.
Nel decennio successivo alla caduta del fascismo emersero occasionali movimenti di protesta che possiamo definire “populisti”: come l’Uomo Qualunque in Italia, il poujadismo in Francia (entrambi di destra), ma si trattò di fenomeni abbastanza effimeri presto riassorbiti dai partiti che, in tutta Europa (e non solo in Italia) restarono per quasi un quarantennio padroni assoluti della scena e canali esclusivi di trasmissione della domanda politica, a differenza di quanto accadeva negli Usa ed in America Latina, dove ci sono sempre state correnti populiste di notevole consistenza (il maccartismo e poi il movimento di Ross Perrot negli Usa, il peronismo in Argentina e, dopo il movimento di Collor de Mello in Brasile e quello di Alberto Fujimori in Perù).
In Europa, conati populisti di sinistra emersero nel corso del movimento del sessantotto (la Cause du Peuple in Francia, Servire il Popolo e, per certi versi, Lotta continua in Italia) ma, con la sola eccezione del movimento danese di Mogens Glistrup (che nelle elezioni del 1973 divenne il secondo partito del paese, ma che si dissolse nel giro di un decennio), non ci furono movimenti significativi sino alla fine degli anni ottanta.
Poi iniziò a manifestarsi un’ondata di populismo che precedette quella attuale e che ebbe manifestazioni non secondarie in Germania (i Republikaner), Polonia (Stanislaw Tyminski), Francia (Energie radicale di Bernard Tapie che ebbe il 12,5% dei voti nel 1994, ma andrebbe considerata anche l’iniziale crescita del Fn di Jean Marie Le Pen), Spagna (Convergenza democratica di Catalogna di Jordi Pujol, che conquistò il governo catalano e che è ancora operante), cui si aggiunsero in seguito i casi di Olanda (Pym Fortuin), Austria (Partito della Libertà Austriaco di Jorg Haider), oltre che in Italia.
Nella maggior parte dei casi si è trattato di movimenti di destra (chiaramente come i Republicaner, il Fn francese o Haider, più velatamente nel caso di Tyminski), ma non sempre (Tapie era originariamente socialista e restò sostanzialmente nel perimetro della sinistra, Pujol era più centrista, Fortuin aveva una caratterizzazione libertaria, anche se era islamofobo).
Alle origini questi movimenti presero le mosse dalla protesta antifiscale, ma dopo vennero via via caratterizzandosi come movimenti identitari o nel senso della xenofobia anti immigrati (Republikaner, Fn, Fortuyn, Haider) o come movimenti etno-regionalisti (Pujol e Lega in Italia). Altro elemento comune (peraltro costitutivo di qualsiasi movimento populista), l’antipolitica che, per di più, trovò alimento nella serie di scandali per corruzione esplosi, più o meno contemporaneamente, in Francia, Germania, Spagna e soprattutto Italia (in Belgio ci fu il caso particolare dello scandalo pedofilia).
Non sembra privo di significato che questa ondata abbia coinciso sostanzialmente con:
a- l’attenuarsi della minaccia sovietica già dai primi anni ottanta che porterà alla fine del bipolarismo
b- il sempre più scarso rendimento politico dell’azione di governo un po’ in tutti i paesi
c- l’avvento della rivoluzione neo liberista con la conseguente delegittimazione della politica nei confronti dell’economia proposta come unico timone credibile delle società occidentali
d- il passaggio dei partiti socialisti (e del Pci) in campo liberista e l’eclissi della sinistra in Europa
e- il forte declino dello Stato sociale peraltro non accompagnato da una significativa riduzione della pressione fiscale
L’Italia fu, in qualche modo, l’epicentro di questa prima ondata che iniziò a manifestarsi con la Liga Veneta di Franco Rocchetta (che conquistò un seggio nelle politiche del 1983) e poi con la Lega Lombarda di Umberto Bossi, cui seguirono la nascita di Forza Italia, di Alleanza nazionale e dell’Italia dei Valori che daranno vita a forme varie di populismo. Va detto, tuttavia che fermenti anti politici e di tipo populista avevano iniziato a manifestarsi sin dagli ultimi anni settanta proprio ad opera dei partiti interni al sistema. In primo luogo il Partito Radicale (in verità partito border line rispetto al sistema) che, mescolando la tematica dei movimenti sociali spontanei con la critica alla partitocrazia di Maranini ed enfatizzando i referendum come unica alternativa ad un ceto politico sostanzialmente omogeneo e corrotto (“l’ammucchiata dei partiti” contro cui tuonava Pannella). Pur rappresentando una protesta reale e tendenzialmente libertaria, il Pr si fece portatore di una cultura via via sempre più antipolitica. E peraltro, elementi extrapolitici, o ipo-politici vennero anche dai movimenti ecologisti (ad esempio il ritornello “non siamo né di destra, né di sinistra”, il carattere monotematico ecc.) e pacifisti (la non violenza come espulsione del conflitto dalla dimensione politica, l’ossessione eticista ecc.). Due in particolare i tratti comuni al Pr ed a questo tipo di movimenti: il rifiuto della complessità della politica ed il rifiuto dell’organizzazione, in favore di soluzioni debolmente strutturate, poco o per nulla formalizzate che promettevano quella democrazia che nei partiti era morta, ma che, alla fine, non si dimostravano affatto più democratiche di essi.
Ma la stessa classe politica ebbe un ruolo in questo senso. Mentre tutti i segnali indicavano la forte caduta di consenso dei partiti (crollo dei tesseramenti reali e della stampa di partito, crescita dell’astensionismo, minore partecipazione alle manifestazioni politiche ecc.) i partiti cercavano di resistere aumentando a dismisura il finanziamento pubblico in loro favore, accentuando il loro impegno clientelare e cavalcando disinvoltamente temi e forme di azione e comunicazione che strizzavano l’occhio alla vena populista che andava manifestandosi.
In questo senso lo stesso linguaggio della politica si faceva sempre più orientato al linguaggio comune quotidiano: “parlare come la signora Maria di Voghera” era l’imperativo, ma, se da un lato questo rendeva ancor più arduo esprimere concetti astratti o complessi, dall’altro si riduceva ad un modesto espediente volto più a nascondere che a rivelare le vere dinamiche politiche. Anche le compassate “liturgie” della politica istituzionale cedevano il passo a prassi assi più disinvolte (Craxi che crea scandalo recandosi al giuramento come Capo del Governo, indossando dei jeans). Persino denunciare i mali della politica dall’alto dei propri alti scranni (Pertini che tuona contro i mancati soccorsi ai terremotati).
Misure in sé auspicabili: disfare il linguaggio della politica barocca, superare i riti istituzionali, denunciare i guasti della politica sono tutte cose sicuramente positive, quel che le rese micidiali fu il cocktaill con una prassi clientelar-corruttiva sempre più evidente. Un ruolo particolare in questo senso lo ebbe il Pci. Come si ricorderà, nel 1981 Berlinguer concesse una intervista a “Repubblica” nella quale sollevava il problema della corruzione per il quale usò la formula di “questione Morale” seguita dall’affermazione della “diversità morale” dei comunisti come rimedio al male. Ma, la corruzione non è affatto una “questione morale” ma una questione, appunto, politica ed istituzionale, che deve trovare un contrasto di tipo politico ed istituzionale e certamente non basta la pretesa “diversità morale” di un partito (che, peraltro, si è poi visto non esserci o esserci molto meno di quel che si vantava). Il Pci su questo piano non ebbe alcuna iniziativa concreta, né di tipo legislativo, né di campagne di informazione né di azione politica più generale.
Peraltro, mentre proclamava orgogliosamente la sua diversità morale, il Pci denunciava l’ostracismo di cui era vittima, reclamando a gran voce la consociazione al potere con quegli stessi soggetti che denunciava come moralmente inferiori a sé.
Il secondo momento in cui il Pci spianò la strada all’offensiva populista fu con la disastrosa segreteria di Achille Occhetto e la sua campagna contro il sistema proporzionale e per il passaggio al maggioritario. Nei temi di quella campagna (la polemica contro i “troppi” partiti, l’enfatizzazione del leader chiamato a guidare la coalizione, l’illusione di rendere l’elettorato protagonista nella formazione del governo, la polemica contro il voto di preferenza ecc.) c’erano già tutti gli elementi che faranno la fortuna di Berlusconi.
Tutti questi elementi prepararono il terreno all’esplosione populista che, fra il referendum del 18 aprile 1993 e la vittoria della destra nelle politiche del marzo 1994, spazzarono via la prima Repubblica per inaugurare la Seconda: dalla Repubblica dei partiti alla Repubblica dei populismi.
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