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18/08/2015

Roberto Maroni e il patibolo istantaneo

Dopo l’arresto dei due presunti autori dello spregevole delitto di Brescia, secondo gli investigatori una vicenda da chiarire comunque risoltasi a colpi di fucile a canne mozze, il presidente della regione Lombardia non poteva trattenersi dal dire qualcosa. E infatti ha manifestato il suo pensiero, rivolto al pachistano e all’indiano arrestati: “nel loro paese sarebbero già stati messi al muro”.

Ovviamente non è così nemmeno in India e in Pakistan anche se è in vigore la pena di morte in entrambi i paesi. In Pakistan, nonostante il paese sia stato classificato tra i primi cinque del mondo per esecuzioni, si è arrivata a firmare una moratoria per la pena di morte proposta dall’ONU. L’India, che si è rifiutata di firmare la moratoria, ha comunque una corte costituzionale che ha chiesto di limitare le condanne capitali. Tanto che per quasi dieci anni tra la metà degli anni novanta e il decennio successivo, e parliamo di uno dei paesi più popolosi al mondo, è stata eseguita una sola condanna capitale. Non che non esistano giganteschi squilibri nello stato di diritto indiano o pakistano ma, va ricordato a tutti i Maroni di questo paese, esistono anche perchè i poteri di casta, dopo l’indipendenza, si sono insinuati nell’impianto del diritto imposto, a suo tempo, dal colonialismo dei bianchi.

Questo per dire una cosa: nel mondo moderno la giustizia sommaria, evocata da Maroni, dove il reo viene preso per i capelli, portato in piazza tra le ali di folla e giustiziato praticamente all’istante esiste, più o meno in tre casi: nei racconti di storie vere dell’Alabama a cavallo tra ‘800 e ‘900, nel califfato islamico e nella filmografia frequentata dai leghisti. Il punto è che le affermazioni di Maroni, un sopravvissuto a diversi disastri politici (della Lega, del centodestra, dei governi di cui ha fatto parte), bucano lo schermo, circolano sui social network, fanno consenso. Si è imposta, e con l’incedere della crisi trova ancora più spazio, una concezione, non tanto della certezza, ma dell’istantaneità della pena che sta tra il neotribalismo, con echi da diritto medioevale, e il desiderio di risolvere i problemi in tempo reale tipico delle società digitali.

Non esistendo serie voci, quindi una politica della comunicazione, di contrasto i Maroni possono quindi parlare senza essere sepolti dal ridicolo come invece gli competerebbe. Il punto però non starebbe solo nella mancanze di strategie comunicative. Sarebbe, come spesso capita quando viene chiamata in ballo la comunicazione, la consueta povertà politica. C’è una questione, a dir poco rimossa a sinistra, che non si può negare. Le migrazioni spostano gli equilibri sociali dei territori. Con il modello medici senza frontiere per l’accoglienza più il laissez-faire sui territori, dove il mercato neoliberista e la solidarietà starebbero al posto della provvidenza e della carità, si creano solo bombe sociali. Dove le contraddizioni più strazianti vengono tutte scaricate sulle zone e sui quartieri più popolari. Quartieri dove i fascisti crescono, dove la popolazione trova spontaneo reiterare comportamenti aggressivi contro i migranti. E che le varie sinistre sono all’anno zero lo si capisce proprio quando si trovano di fronte a queste bombe sociali. Tanto balbettìo, qualche frase di circostanza e poi via in qualche sala chiusa, climatizzata d’estate e d’inverno, a parlare del futuro della sinistra mentre le bombe sociali si innescano a catena.

Suicida in questo caso è pensare che basti “la comunicazione” per rovesciare uno spontaneo avvelenamento delle periferie italiane, materialmente determinato da un cumulo di politiche neoliberiste, effetti globali compresi. Che basti la censura del politicamente corretto verso i comportamenti di una popolazione, impoverita e impaurita, che si fa sempre più vanto di dire e fare cazzate. Suicida è pensare che l’armamentario di norme ricavate da pur sacrosanti diritti dell’uomo, di pressioni organismi internazionali, di atteggiamenti progressisti della chiesa in qualche modo tenga socialmente sana la situazione delle periferie italiane. Altrettanto suicida è pensare che tutta questa sovrastruttura dell’economia dell’accoglienza, in qualche modo, riesca a impedire l’esplosione dei ghetti italiani. L’assalto agli asili, di cui abbiamo già avuto assaggi, può esplodere in qualcosa di generalizzato come visto, in una breve ma pericolosa stagione, nella Germania dei primi anni ’90.

Due sono i punti essenziali se si vuol affrontare la questione migrazione uscendo dall’emergenza e battendo la voglia di forca che serpeggia nella società italiana, ben alimentata dalla Lega: il primo riguarda lo stato sociale odierno e futuro, il secondo l’economia. Un punto lega entrambi i temi: l’economia dell’accoglienza. In Germania, secondo la Handelsblatt, genera ormai 5 miliardi di euro l’anno e si capisce così, in un certo modo, come l’ostilità verso lo straniero sia stata anche monetizzata. Guarda caso, in testa al management e alla logistica di questa economia ci sono i privati come European Homecare, che ha il marchio registrato come se fosse Ebay, e che gioca sui margini di profitto non su quelli di integrazione sociale. In Italia, prima che sbarchino giganti di questo tipo, c’è una giungla di cooperative, privati sociali. E’ un mondo sul quale la chiesa, con le dichiarazioni degli esponenti della Cei, ha intelligentemente lanciato l’OPA. Ma non è questione di capire chi comanda oggi e chi può farlo domani in questo mondo. E’ piuttosto questione di politiche, e di conflitti, che impongano che:
a) le politiche dell’economia dell’integrazione siano pubbliche e non regolate dalla regola della domanda ed dell’offerta tra ministeri, faccendieri dell’accoglienza e cooperative e privati sociali;
b) che riguardino un’idea di territorio che cresce, e che si reinventa, non una dialettica tra sindaci e prefetti su quali capannoni ed ex caserme scegliere;
c) che non siano questione di gara ad offerta su 30 o 35 euro a persona da accogliere ma che ogni progetto riguardi il finanziamento per significative opere di risanamento del territorio su cui si va ad intervenire. Finanziamento la cui erogazione non può riguardare qualche ras del subappalto, magari equo e solidale, ma il territorio nella sua complessità.

Su questi temi i fondi europei possono essere destinati ad aumentare, anche per calmierare le proteste dei paesi PIIGS (i più esposti alle migrazioni immediate e anche alle politiche di austerità) e non possono essere solo mirati al settore dell’emergenza. Si tratta di essere materialisti: le proteste contro l’arrivo di migranti arrivano perché c’è gente che fa i conti, con il declassamento dei valori immobiliari e del peso del proprio territorio. Contro questi comportamenti non serve il sermone criptopacifista, o la pressione da angelica opinione pubblica da tastiera, ma ci vogliono le pressioni serie per le politiche economiche: quando i migranti arrivano sui territori questi devono essere accompagnati da una microeconomia, e da una complessiva governance locale, che il territorio lo arricchisce. In pieno contrasto con i Maroni e i Salvini che offrono solo dinamiche di rancore e, giova dirlo, soldi zero. Anzi, visti tutti i fallimenti economici della Lega casomai questi i soldi li fanno sparire. Certo c’è sempre chi si illude del Renzi di turno su questi temi. Ci penserà la prossima finanziaria del governo “di sinistra” a spazzare ogni dubbio. C’è quindi ampio spazio per i conflitti legati alle migrazioni, e un futuro fatto di consenso, se si passa dal piano etico a quello materiale.

Una economia dell’accoglienza va stimata, potenziata e implementata sui territori. In termini politici e pubblici. Certo c’è chi consegnerebbe, scatola chiusa, i territori ai Don Ciotti secondo uno schema social-liberista da anni ’90. Non funzionerebbe nemmeno, la retorica del sociale, che dietro nasconde il pronti-via per la gara d’appalto successiva in prefettura, non ha il respiro della progettazione complessiva del territorio. Anche perchè, se non entri bene nelle dinamiche di rigenerazione dei territori, è impossibile entrare poi in un’idea di politiche globali su questi temi.

O le varie sinistre entrano in questi temi o il problema finisce in mano ai Buzzi (per il quale notoriamente i “negri” erano meglio della droga. E il fatto che fosse ormai espressione del mondo PD è stato regolarmente omesso) alle cooperative generose ma strozzate dagli appalti, alle mafie, ai fascisti. Con il commento definitivo dei Roberto Maroni che discettano di patiboli istantanei. Certo, disturba che un fatto di cronaca venga usato in questo modo. Lo si fa quando si ha il vento politico in poppa: apri il giornale e ogni cosa sembra esistere per darti ragione. Negli anni ’70 la sinistra sapeva “usare” il giornale oggi nemmeno Facebook. E così ha preso piede un’idea di giustizia tratta da Dredd “io sono la legge” per cui la pena è istantanea, e terminale, dopo aver inquadrato il reo nei propri schermi video. Certo, in un paese da incubo chiamato Padania queste cose possono esistere ma si tratta di fare in modo, con intelligenza, che questo paese rimanga nell’immaginazione di un gruppo dirigente di improbabili. Gruppo che, di danni, in questo paese ne ha già fatti tanti.

Redazione, 18 agosto 2015

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