di David Hearst – Middle East Eye
Un documento di
strategia top secret preparato per il principe ereditario Mohammed bin
Zayed al-Nahyan di Abu Dhabi rivela che gli Emirati Arabi Uniti stanno
perdendo fiducia nella capacità del presidente egiziano Abdel Fattah
al-Sisi di servire gli interessi dello Stato del Golfo.
Il documento, preparato da uno dei team di Bin Zayed e datato 12 ottobre, contiene due citazioni chiave che descrivono la
frustrazione che Bin Zayed sente nei confronti di al-Sisi, il cui colpo
di stato militare è stato finanziato dal principe ereditario grazie ai
miliardi di dollari da lui versati assieme all’Arabia Saudita. Nel documento si legge: “Questo ragazzo deve sapere che io non sono un bancomat”. Più avanti, si rivela anche il prezzo politico che gli Emirati esigeranno per continuare a finanziare l’Egitto.
La futura strategia dovrebbe essere basata non solo
sul tentativo di influenzare il governo in Egitto, ma su un suo
controllo diretto. Si riassume in questi termini: “Ora io darà, ma
alle mie condizioni. Se do, governo”.
L’Egitto, che ha recentemente cercato di arginare la corsa della sterlina egiziana, è fortemente dipendente dal denaro degli Emirati, che sono diventati il suo più grande investitore estero diretto.
Durante una conferenza economica a Sharm el-Sheikh nel mese di marzo,
il primo ministro degli Emirati Arabi Uniti e governatore di Dubai, lo
sceicco Mohammed bin Rashid al-Maktoum, ha rivelato che l’Egitto aveva
già ricevuto 13,9 miliardi di dollari da Dubai e che gli Emirati si
erano impegnati a fornire altri 3,9 miliardi di dollari. Gli
analisti hanno stimato che il reale importo degli aiuti che gli Emirati
hanno versato ad al-Sisi si avvicina ai 25 miliardi, circa la metà del
totale degli aiuti forniti dal Golfo all’Egitto.
Di questi rimangono solo 16,4 miliardi , e solo 2,5 sono in oro, secondo un ex funzionario egiziano che ha parlato a Middle East Eye
in condizione di anonimato. Il resto è sotto forma di prestiti:
condizioni insufficienti per coprire l’importazione di beni di prima
necessità per due mesi.
Nel documento, visionato in esclusiva da Middle East Eye, ci
si domanda se bin Zayed abbia ricevuto un adeguato ritorno sul suo
investimento. Vi si rivela anche l’insoddisfazione per i funzionari
egiziani che gli Emirati pensavano di aver reclutato bene, perché in
seguito è diventato chiaro che non erano così fedeli agli Emirati come
lo erano all’Egitto.
Nel documento di strategia si legge che in futuro gli Emirati dovranno selezionare i loro partner in Egitto con più cura.
In un riferimento alla campagna in corso sui media egiziani contro il
nuovo sovrano saudita, re Salman, e contro suo figlio Mohammed – un
attacco continuo al Regno per il suo ruolo in Siria e per il suo
presunto controllo troppo invadente dell’Egitto – il documento rivela
che bisognerà fermare la guerra di parole perché nuoce agli interessi
degli Emirati.
Tre fasi
Il documento di strategia delinea tre fasi di intervento in Egitto,
che inizieranno il prossimo anno. Nella terza fase, gli Emirati
cercheranno di passare da finanziatore a “partner a pieno titolo”.
Gli Emirati dovrebbero reclutare e finanziare think
tank egiziani, università e media, dice il documento. E prosegue
affermando che questi investimenti diretti dovrebbero avere una
strategia e una visione chiare del fatto che ogni acconto sarà
testato per i benefici che porterà ad Abu Dhabi.
Il documento enuncia in termini diretti le ambizioni degli Emirati
per il controllo dell’Egitto. Questo obiettivo è inerente a una sezione
in cui si raccomandano tre condizioni per la continuazione del piano di salvataggio del governo di al-Sisi.
Tali condizioni sono: la rimozione del sussidio alla benzina
nei prossimi tre anni, rispettivamente tagliandolo del 30 per cento, 30
per cento e poi il 40 per cento all’anno; la richiesta che gli Emirati
stabiliscano la strategia per il prezzo della sterlina egiziana rispetto
al dollaro statunitense, il che equivarrebbe a controllare la politica
monetaria dell’Egitto; il taglio della burocrazia. Tutte e tre sono manovre di politica interna.
Il documento rivela inoltre la misura in cui al-Sisi ha deluso i suoi
finanziatori. Un analista che ha studiato il deterioramento del
rapporto tra i due paesi, ha dichiarato: “La critica indica che non sono
soddisfatti di al-Sisi perché non serve il loro scopo. L’idea
principale che gli Emirati hanno è che Bin Zayed dovrebbe essere il vero
sovrano d’Egitto e chiunque sia al governo deve fare quello che gli
viene chiesto di fare da loro”.
Cause di preoccupazione
Ci sono tre motivi di preoccupazione per gli Emirati.
In primo luogo, gli Emirati pensano che la guerra mediatica
che si è scatenata tra l’Egitto e il Regno saudita stia danneggiando gli
interessi di Abu Dhabi. Il mese scorso il quotidiano egiziano al-Youm al-Sabea ha riportato una discussione tra il presidente del gruppo editoriale al-Ahram Ahmed el-Sayed al-Naggar e l’ambasciatore saudita in Egitto Ahmad Qattan, che si è conclusa con al-Ahram che
diceva “anche un edificio nel centro del Cairo” è più vecchio del
Regno saudita. Un conduttore televisivo filogovernativo, Ibrahim Eissa,
ha accusato l’Arabia Saudita di finanziare gruppi terroristici in Siria e
ha invitato al-Sisi a smettere di essere “un prigioniero di Riyadh,”
esortando l’Egitto a liberarsi dal rapporto di gratitudine nei confronti
dell’Arabia Saudita.
In secondo luogo, gli Emirati sono scontenti delle promesse
mai mantenute da al-Sisi di inviare truppe di terra per la campagna a
guida saudita contro gli Houthi nello Yemen, una guerra in cui gli
Emirati Arabi Uniti sono stati costretti a mandare un contingente.
Al-Sisi ha usato l’espressione in arabo egiziano “masafah al-sikkah”,
il che significa che avrebbe preso il tempo necessario per “attraversare
la strada” e venire in aiuto degli Stati del Golfo, se avessero
avuto bisogno del suo sostegno militare. Finora, nessun soldato egiziano
si è ancora materializzato sul suolo yemenita.
In terzo luogo, gli Emirati si lamentano del fatto che al-Sisi non li
ascolta quando chiedono riforme economiche e amministrative o quando
pretendono che un buon governo sia utilizzato come base per uno stato
stabile.
“Dal punto di vista di Abu Dhabi, al-Sisi non ha fatto quello che doveva. Non ha una strategia per le riforme economiche.
I servizi sono messi molto male. Quindi, la prospettiva degli Emirati è
che al-Sisi non stia facendo quello che gli viene detto di fare“,
spiega un analista, che ha parlato a Middle East Eye
in condizione di anonimato.” Nella fase a venire, a partire dall’inizio
del prossimo anno, gli Emirati hanno in programma questa vasta campagna. Lui è ancora il loro uomo e non lo abbandoneranno, ma non sono
soddisfatti di lui. Vogliono sottomissione totale, per essere loro i
veri dominatori”.
I rapporti con Riyadh
I rapporti di al-Sisi con Riyadh sono peggiorati dopo la scoperta del
presidente che un suo rivale, generale dell’esercito egiziano, nelle
ultime due settimane è stato in Arabia Saudita per colloqui privati.
Fonti vicine al Regno rivelano che l’intelligence militare egiziana ha chiesto ai sauditi perché Sami Anan, un ex capo di stato maggiore,
fosse lì. La risposta è che Anan era lì in visita privata e a titolo
individuale e non c’era niente che il governo di Riyadh avesse potuto
fare per fermarlo.
Anan era secondo solo a Mohammed Hussein Tantawi quando
Mubarak fu estromesso nel 2011. E’ stato licenziato da Mohammed
Morsi quando quest’ultimo è stato eletto presidente nel 2012. Tuttavia,
quando Morsi è stato a sua volta deposto da un colpo di stato militare,
un anno dopo, Anan ha annunciato la sua ambizione a essere un candidato
alla presidenza. Settantenne, è considerato il più vicino a Washington:
si trovava negli Stati Uniti al tempo della rivoluzione del 25 gennaio.
Secondo fonti saudite informate, Anan è uno dei tre nomi
presi in considerazione per sostituire al-Sisi. Gli altri sono Ahmed
Shafiq, un ex generale che è attualmente in esilio ad Abu Dhabi, e Murad
Muwafi, un ex capo della direzione generale di intelligenza, che come
Anan è stato licenziato da Morsi. Sia Shafiq che Muwafi sono considerati
i più vicino agli Emirati.
Nelle sue conversazioni con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan,
re Salman non ha fatto mistero del suo desiderio di mantenere i
militari al potere in Egitto. L’Arabia Saudita guarda all’esercito
egiziano come unico garante della stabilità del paese, ed è la stabilità
piuttosto che la democrazia che interessa a Riyadh.
Tuttavia, tale calcolo è cambiato negli ultimi tre mesi nella misura
in cui Salman non considera più al-Sisi come leader stabile d’Egitto.
Pensano che il mandato di al-Sisi sia scaduto, per cui stanno esaminando
chi all’interno delle forze armate potrebbe assumere il potere, così
come stanno cercando di stabilire un dialogo con tutte le sezioni
dell’opposizione politica egiziana, la maggior parte delle quali è in
esilio.
Anan, considerato come un leader calmo ma scaltro che è naturalmente
avverso al rischio, è uno dei principali candidati per i favori sauditi.
Ha una forte pretesa di rappresentare l’esercito egiziano, anche se
quelle stesse credenziali lo rendono sospetto agli occhi
dell’opposizione egiziana, che ricordano il tempo in cui, tra le fila
del Consiglio Supremo delle Forze Armate, governò l’Egitto dalla caduta
di Mubarak all’elezione di Morsi, mentre il sangue dei manifestanti
veniva versato in piazza Tahrir al Cairo.
“Se sono alla ricerca di una figura militare, Anan è l’opzione
migliore. Ma qualcuno accettato dai militari non lo sarà anche dalla
maggioranza. È qui che sorge il problema di Anan”, ha detto un membro
dell’opposizione politica egiziana.
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