di Rita Plantera
Sono cominciati ieri
i tre giorni di lutto a Bamako come nel resto del Mali, tra misure di
sicurezza ancora più strette (già subito attivate soprattutto intorno
agli alberghi e alle banche) da quando la sera stessa dell’attentato
è stato decretato lo stato d’emergenza per dieci giorni.
Le indagini, intensificate (con perquisizioni domiciliari), continuano (nell’incertezza del numero e della nazionalità degli attentatori) e seguono «diverse piste» tra il sospetto che i responsabili dell’attentato (21 i morti, 170 gli ostaggi) abbiano beneficiato di complicità interne:
«Ciò che è chiaro è che hanno usufruito di complicità per venire in
albergo, e di complicità per commettere il crimine», sostiene Boubacar
Sidiki Samaké, procuratore capo del pool anti-terrorismo di Bamako
e responsabile dell’inchiesta (che vede il coinvolgimento peraltro della
missione dell’Onu in Mali, Minusma). E rende noto altresì come nella
hall del Radisson sia stata trovata una valigia zeppa di granate.
Tre i presunti complici ricercati. Mentre un altro gruppo si
sarebbe aggiunto ad Al Mourabitoune e ad Al-Qaeda in the Islamic Maghreb
(Aqim) nel rivendicare l’assalto al Radisson. Si tratterebbe del Front
de Libération du Macina (Flm), un nuovo gruppo integralista
emergente a cui vengono attribuiti una serie di attentati che stanno
contribuendo a spostare il conflitto islamista dal remoto nord verso le
zone più popolate del centro e del sud del Mali. Reclutando adepti tra
i Fulani – un’etnia di circa 20.000 membri sparsi tra l’Africa
Occidentale e Centrale – l’Flm rischierebbe così di contribuire
fortemente a regionalizzare il conflitto islamico. Con tutto ciò che
questo comporta.
L’attacco di venerdì scorso al Radisson hotel – il
più prestigioso di Bamako e un crocevia di presenze occidentali e non,
tra diplomatici, uomini d’affari di mezzo mondo e imam locali –
ha reso più vulnerabili non solo i già fragili equilibri interni dell’ex
colonia francese ma l’intera regione del Sahel e quei Paesi a sud del
Sahara come Nigeria, Camerun, Somalia da lungo tempo esposti alla
minaccia di gruppi integralisti legati ad Al-Qaeda. Come
riferisce l’Agence de gestion des situations d’urgence (Nema)
e l’esercito, sarebbero 8 i morti e 7 i feriti dell’attentato kamikaze
(attribuito a Boko Haram) a Maiduguri (nel nord-est della Nigeria) di
domenica passata. Quattro civili avrebbero perso la vita sabato scorso
nel villaggio di Nigue – nel nord del Camerun – ad opera di 4 kamikaze
che si sospetta fossero militanti di Boko Haram.
E ritornando indietro nel tempo, la lista sarebbe ancora più lunga.
In Mali le operazioni militari francesi Serval e Barkhane hanno
maggiormente destabilizzato (a dispetto delle ragioni contrarie per cui
invece vennero lanciate) lo scenario geopolitico seguito al colpo di
stato del 2012 e al disfacimento del regime libico di Gheddafi, creando
le condizioni per il proliferare di gruppi separatisti e islamisti. Nel Sahel la presenza militare francese, rafforzata con l’operazione Barkhane (attualmente sono circa 3.500 le truppe francesi di stanza nel nord del Mali),
e il protagonismo francese di lunga data nell’accaparramento delle
risorse naturali hanno agito da fattore di attrazione di una miriade di
gruppi e cellule integraliste che non perdono occasione per dichiarare
guerra alla Francia. E del resto, quest’ultima intervenendo
militarmente in Mali nel 2013 ha dichiarato guerra ad Al-Qaeda (su
mandato Onu e con il sostegno dell’Europa) nell’Africa Sub-sahariana,
facendosi scudo dell’antiterrorismo delle reali ragioni della politica
della Françafrique.
La dinamica dell’assalto all’hotel Radisson (tra cui il rilascio
degli ostaggi previa recitazione del Corano) fa pensare alla matrice
al-qaedista più che a quella daeshana, benché alcuni gruppi terroristici
africani come Boko Haram abbiano nei mesi scorsi giurato fedeltà al
Califfo abbandonando la galassia Al-Qaeda (ma forse non le guidelines?).
In questo quadro l’attentato in Mali si inserirebbe allora in
una strategia di marcatura del territorio e di competizione tra i due
colossi della jihad, da un lato Al-Qaeda e dall’altro Daesh.
Cosa che profilerebbe una lotta intestina tra i due principali attori
che rivendicano le stesse ragioni nella jihad globale all’Occidente.
Alle ragioni dei jihadisti si aggiungano poi le ragioni dei gruppi
separatisti locali con le loro pretese e rivendicazioni territoriali
e politico-etniche. Così in Mali, dove ai jihadisti si oppongono
i gruppi per l’autonomia del nord del Mali della Coordination of Azawad
Movements (Cam). E in quest’ottica non sarebbe da escludere allora che
l’attentato al Radisson sia un tentativo di destabilizzazione del
processo di pace iniziato a giugno scorso con gli accordi di Algeri tra
il governo del Mali e il Cam.
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