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25/11/2015

La jihad africana tra Al-Qaeda, Daesh e gruppi separatisti locali

di Rita Plantera

Sono cominciati ieri i tre giorni di lutto a Bamako come nel resto del Mali, tra misure di sicurezza ancora più strette (già subito attivate soprattutto intorno agli alberghi e alle banche) da quando la sera stessa dell’attentato è stato decretato lo stato d’emergenza per dieci giorni.

Le indagini, intensificate (con perquisizioni domiciliari), continuano (nell’incertezza del numero e della nazionalità degli attentatori) e seguono «diverse piste» tra il sospetto che i responsabili dell’attentato (21 i morti, 170 gli ostaggi) abbiano beneficiato di complicità interne: «Ciò che è chiaro è che hanno usufruito di complicità per venire in albergo, e di complicità per commettere il crimine», sostiene Boubacar Sidiki Samaké, procuratore capo del pool anti-terrorismo di Bamako e responsabile dell’inchiesta (che vede il coinvolgimento peraltro della missione dell’Onu in Mali, Minusma). E rende noto altresì come nella hall del Radisson sia stata trovata una valigia zeppa di granate.

Tre i presunti complici ricercati. Mentre un altro gruppo si sarebbe aggiunto ad Al Mourabitoune e ad Al-Qaeda in the Islamic Maghreb (Aqim) nel rivendicare l’assalto al Radisson. Si tratterebbe del Front de Libération du Macina (Flm), un nuovo gruppo integralista emergente a cui vengono attribuiti una serie di attentati che stanno contribuendo a spostare il conflitto islamista dal remoto nord verso le zone più popolate del centro e del sud del Mali. Reclutando adepti tra i Fulani – un’etnia di circa 20.000 membri sparsi tra l’Africa Occidentale e Centrale – l’Flm rischierebbe così di contribuire fortemente a regionalizzare il conflitto islamico. Con tutto ciò che questo comporta.

L’attacco di venerdì scorso al Radisson hotel – il più prestigioso di Bamako e un crocevia di presenze occidentali e non, tra diplomatici, uomini d’affari di mezzo mondo e imam locali – ha reso più vulnerabili non solo i già fragili equilibri interni dell’ex colonia francese ma l’intera regione del Sahel e quei Paesi a sud del Sahara come Nigeria, Camerun, Somalia da lungo tempo esposti alla minaccia di gruppi integralisti legati ad Al-Qaeda. Come riferisce l’Agence de gestion des situations d’urgence (Nema) e l’esercito, sarebbero 8 i morti e 7 i feriti dell’attentato kamikaze (attribuito a Boko Haram) a Maiduguri (nel nord-est della Nigeria) di domenica passata. Quattro civili avrebbero perso la vita sabato scorso nel villaggio di Nigue – nel nord del Camerun – ad opera di 4 kamikaze che si sospetta fossero militanti di Boko Haram.

E ritornando indietro nel tempo, la lista sarebbe ancora più lunga.
In Mali le operazioni militari francesi Serval e Barkhane hanno maggiormente destabilizzato (a dispetto delle ragioni contrarie per cui invece vennero lanciate) lo scenario geopolitico seguito al colpo di stato del 2012 e al disfacimento del regime libico di Gheddafi, creando le condizioni per il proliferare di gruppi separatisti e islamisti. Nel Sahel la presenza militare francese, rafforzata con l’operazione Barkhane (attualmente sono circa 3.500 le truppe francesi di stanza nel nord del Mali), e il protagonismo francese di lunga data nell’accaparramento delle risorse naturali hanno agito da fattore di attrazione di una miriade di gruppi e cellule integraliste che non perdono occasione per dichiarare guerra alla Francia. E del resto, quest’ultima intervenendo militarmente in Mali nel 2013 ha dichiarato guerra ad Al-Qaeda (su mandato Onu e con il sostegno dell’Europa) nell’Africa Sub-sahariana, facendosi scudo dell’antiterrorismo delle reali ragioni della politica della Françafrique.

La dinamica dell’assalto all’hotel Radisson (tra cui il rilascio degli ostaggi previa recitazione del Corano) fa pensare alla matrice al-qaedista più che a quella daeshana, benché alcuni gruppi terroristici africani come Boko Haram abbiano nei mesi scorsi giurato fedeltà al Califfo abbandonando la galassia Al-Qaeda (ma forse non le guidelines?). In questo quadro l’attentato in Mali si inserirebbe allora in una strategia di marcatura del territorio e di competizione tra i due colossi della jihad, da un lato Al-Qaeda e dall’altro Daesh. Cosa che profilerebbe una lotta intestina tra i due principali attori che rivendicano le stesse ragioni nella jihad globale all’Occidente.

Alle ragioni dei jihadisti si aggiungano poi le ragioni dei gruppi separatisti locali con le loro pretese e rivendicazioni territoriali e politico-etniche. Così in Mali, dove ai jihadisti si oppongono i gruppi per l’autonomia del nord del Mali della Coordination of Azawad Movements (Cam). E in quest’ottica non sarebbe da escludere allora che l’attentato al Radisson sia un tentativo di destabilizzazione del processo di pace iniziato a giugno scorso con gli accordi di Algeri tra il governo del Mali e il Cam.

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