In tempi di confusione, caos e
de-politicizzazione, risultato dei profondi cambiamenti a livello
strutturale nel mondo, a partire dall’economia per poi arrivare a tutto
il resto, ci sembra utile contribuire alle tante discussioni sul tema
“casa” e “lavoro” (come vengono chiamati in assenza di un ragionamento
complessivo sul “salario sociale”) per mostrare come, in realtà, certe
differenze non siano poi così tali e certi percorsi comuni da
intraprendere così improbabili.
Come abbiamo descritto qui
meno di un anno fa, viviamo in un paese in cui la piccola proprietà
della casa è molto diffusa: quasi 8 persone su 10 in Italia sono
proprietarie della casa in cui vivono, anche se il numero “puro” scende a
7 virgola qualcosa se consideriamo chi sarebbe formalmente proprietario
della prima abitazione, ma sta pagando la stessa col mutuo e,
probabilmente, lo sarà appena terminato il pagamento (se lo terminerà)
alla banca. Percentuale che, anche al netto di chi resta fuori dalle
statistiche, sembra confermata dalla prassi delle nostre vite, ad oggi.
Questa “categoria” di persone,
proprietaria ma con mutuo, che quindi sta pagando l’equivalente di un
affitto (lavoratori, disoccupati, pensionati, quindi famiglie) rientra,
assieme a chi vive realmente in affitto e paga una cifra “di mercato” (
tra i 500 e i 7/800 euro al mese, assimilabili ad un mutuo) in
quell’insieme di persone le quali per vivere devono lavorare, affittando
il proprio tempo e le proprie competenze a qualcuno che gli possa
pagare un salario (non reddito, non una generica ricchezza, ma quella
proveniente dal lavoro, mediata dal denaro e che si scambia col profitto
di uno o più padroni). Queste persone, quindi, hanno necessità di
vendersi o affittarsi “a tempo indeterminato” (ovvero non determinato da
“loro”, ma da banche, padroni ecc) e ciò si riflette sul loro
potenziale “potere contrattuale” in sede lavorativa: avranno dunque
bisogno di cercare un salario che arrivi almeno sopra la fatidica soglia
dei 1000 euro, fino a quindici anni fa considerati “il minimo da cui
partire” e oggi ritenuti da molti “un auspicabile traguardo”, visto il
livellamento verso il basso (500 euro circa) di TUTTI i salari,
auspicato e già messo in pratica dai padroni di TUTTO il mondo (con
padroni si intendono le figure chiave del capitale, da cui dipende
l’erogazione, dietro prestazione in un dato tempo, del salario).
E questo cosa c’entra con i piccoli proprietari e gli occupanti di case? – Si chiederanno in molti –.
Proviamo a spiegarci: una
volta premesso che le necessità, materiali e non, di chi vive in affitto
o con mutuo sono di un certo tipo, e che quindi con la mediazione del
denaro queste persone hanno bisogno di un salario che stia almeno sopra i
mille euro mensili, passiamo alla situazione di chi, per caso o
necessità, si trova o a non dover pagare alcun affitto, bolletta, tassa o
quasi, oppure (come nel caso dei piccoli proprietari) “giusto le spese”
(bollette, tasse di vario tipo, rifare l’impianto elettrico ecc.) che
però possono variare anche considerevolmente, a seconda di tanti fattori
che ora non tratteremo qui. Ricordiamoci che stiamo parlando o di chi,
al massimo e grazie al lavoro di una vita dei propri nonni-genitori, si
ritrova in famiglia (non a testa) circa 2-3 case. E in Italia la
famiglia ha un ruolo centrale. O di chi non ha avuto questa “fortuna” ed
è quindi costretto, per scelta o necessità, ad occupare.
Cosa accomuna queste due figure, quindi?
Il fatto che teoricamente non possono, in base ai loro bisogni
effettivi, avere lo stesso “potenziale” o “potere contrattuale” dei
primi sul posto di lavoro (se ne hanno uno) in quanto si trovano in un
diverso stato di necessità, se rimaniamo sull’aspetto per noi centrale
nella società di oggi: dipendere o meno da un salario, quindi denaro che
si scambia con prestazione lavorativa in un dato tempo, per vivere. Quel che salta subito agli occhi è un duplice aspetto:
queste due figure sociali, per quel che riguarda i bisogni essenziali
che, ricordiamolo, si pagano sennò arriva Equitalia (la casa con tutti
suoi annessi e connessi, il cibo ecc.) hanno meno necessità di denaro
rispetto ai primi, e sono anche meno ricattabili (ma non sul piano
legale) per eventuale repressione sindacale o licenziamenti, poiché “si
possono accontentare di meno soldi” (non pagando affitto o mutuo) o
rinunciare con meno timori (ma solo se restiamo in questo campo) ad una
giornata di paga, magari per uno sciopero, un picchetto ecc, cosa che un
lavoratore in affitto o con mutuo può guardarsi bene dal fare, in
genere. Specie se pensiamo agli scioperi farsa della Cgil…
Certo, si dirà, il problema
ingloba tutti non appena, come sta accadendo, i Governi cominciano ad
aumentare i biglietti dell’autobus, a privatizzare, ad aumentare i
ticket sanitari e così via. Sicuramente. Ed
è per questo che c’è bisogno di nuclei unitari organizzati localmente
nelle città, dove vive la maggior parte della popolazione, nel mondo.
Ma bisogna prestare attenzione ad un ultimo dato: i
primi (con mutuo o in affitto) necessitano di più denaro, quindi
investono molto tempo lavorando per ottenerne e, in genere, hanno
contratto a tempo indeterminato, un’età media più alta e la loro forma
di auto-organizzazione in caso di bisogno resta dentro al giro della
famiglia. Poco tempo da spendere in chiacchiere dunque, ruolo centrale
del lavoro nelle proprie vite e impossibilità di organizzarsi sullo
stesso piano di chi ha più tempo a disposizione.
I secondi, quindi occupanti
e piccoli proprietari (la maggioranza) hanno, in misura apparentemente
paradossale, meno bisogno di denaro liquido (se hanno la casa come se
non pagano) più tempo a disposizione per potersi organizzare (anche se
di “qualità diversa”, pensiamo alle minacce di sgombero da una parte, o
alle mille trafile della burocrazia dall’altra). I piccoli proprietari
dunque, come gli occupanti, hanno un minore potenziale rivendicativo sul
posto o sui posti di lavoro e dovranno, se perdurano le condizioni
attuali, accettare di prendere la metà lavorando comunque un
quantitativo di ore analogo, se non maggiore. A tutti, quindi, viene rubato un sacco di tempo.
A domanda “cosa scioperi per l’aumento,
non ti bastano forse 600 euro a nero?” (domanda invece retorica per chi
deve pagare un mutuo o un affitto) cosa risponderanno occupanti e
piccoli proprietari, oggi disorganizzati e disorientati?
Lo scopriremo
solo… vivendo queste contraddizioni e sapendole mettere assieme: se
sapremo dare valore alle nostre vite indipendentemente dal denaro,
potremo cominciare a gridare “casa e salario, nella lotta ci uniamo.
Toccano uno, toccano tutti”
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