di Michele Paris
La risposta del
governo britannico alla minaccia terroristica che graverebbe sul
continente europeo è apparsa chiara da alcuni annunci e decisioni prese
in questi giorni dal primo ministro, David Cameron, e dai membri del suo
gabinetto. Londra darà cioè un nuovo impulso al militarismo fin dal
prossimo futuro, sia sotto forma di nuove spese per rafforzare le
proprie forze armate sia intervenendo direttamente nel teatro di guerra
siriano. Il tutto mentre la spesa pubblica per i programmi sociali sul
fronte domestico continuerà a essere tagliata in maniera drastica.
Lo
stesso premier ha fatto sapere che il bilancio della Difesa aumenterà
del 7% nei prossimi dieci anni, salendo a 178 miliardi di sterline. I
programmi di spesa in questo ambito sono delineati in due documenti
strategici presentati nella giornata di lunedì e anticipati dalla stampa
già il giorno precedente.
Per cominciare, il governo intende
acquistare 138 aerei da guerra F-35 dalla Lockheed Martin, così da
averne 24 operativi per il 2023, vale a dire molto prima e in numero
maggiore di quanto era previsto in precedenza. Inoltre, la “vita” dei
jet Typhoon sarà prolungata di un decennio fino al 2040, in una mossa
che amplierà significativamente la capacità di fuoco aereo britannica.
Gli acquisti di Londra riguarderanno anche due nuove portaerei e nove
aerei da pattuglia P8 della Boeing, utilizzabili per operazioni di
sorveglianza e per manovre belliche contro navi e sottomarini.
Tra
i piani del governo Conservatore vi è poi quello di creare entro il
2025 due brigate d’assalto composte da 5 mila uomini ciascuna, dotate di
600 veicoli blindati e pronte a intervenire in tempi brevissimi.
Ancora
più importante appare l’impegno economico relativo all’intelligence e
all’antiterrorismo. Le operazioni di questo genere beneficeranno di un
incremento dei fondi pari addirittura al 30% fino al 2020, passando
dagli 11,7 miliardi di sterline originariamente stanziati a 15,1
miliardi.
A tutto ciò vanno aggiunti 80 miliardi di sterline già
preventivati per il rinnovamento dell’arsenale nucleare britannico, tra
cui spicca l’aggiunta di quattro nuovi sottomarini nucleari, definito
recentemente da Cameron la “suprema polizza assicurativa” del paese.
I
giornali del Regno hanno sottolineato in questi giorni come la
revisione di spesa precedente nel 2010 prevedesse un considerevole
ridimensionamento del bilancio militare per contribuire alla riduzione
del deficit pubblico. Mentre i tagli alla spesa in altri ambiti e che
colpiscono i redditi più bassi non hanno quasi mai suscitato particolari
proteste, quelli militari avevano causato diffusi malumori tra i
vertici delle forze armate e tra sezioni di una classe dirigente
preoccupata per il ruolo declinante della Gran Bretagna a livello
internazionale.
Improvvisamente,
Cameron sostiene oggi che Londra può tornare a permettersi spese
militari da grande potenza. Che il vento avesse iniziato a cambiare era
apparso chiaro già qualche mese fa, quando il governo si era impegnato a
rispettare l’obiettivo indicato dalla NATO di spendere annualmente
almeno il 2% del PIL nazionale in ambito militare.
Se
l’incremento degli stanziamenti destinati ai militari viene presentato
come assolutamente necessario per garantire la sicurezza del Regno
Unito, è evidente il carattere classista delle politiche di spesa del
governo Conservatore. Oltre a servire per promuovere gli interessi delle
élites britanniche, la pioggia di sterline a beneficio dell’apparato
militare e di intelligence contrasta drammaticamente con gli assalti al
welfare, alla sanità e all’educazione pubblica condotti da Cameron in
questi anni.
Proprio questa settimana, un paio di giorni dopo
l’annuncio ufficiale delle aumentate spese militari, il Cancelliere
dello Scacchiere (Ministro delle Finanze), George Osborne, delineerà
inoltre un ulteriore piano d’attacco alla spesa pubblica, fatto di altri
20 miliardi di sterline di tagli, nel quadro dello sforzo per giungere a
un attivo di bilancio nel 2020.
Mentre il denaro per le spese
militari risulta dunque reperibile, le autorità locali e i ministeri che
erogano servizi sociali fondamentali per gli strati più disagiati della
popolazione del Regno continueranno a essere privati di fondi. Osborne
ha infatti appena salutato l’accordo con 11 tra ministeri e dipartimenti
per l’implementazione di tagli dei loro budget tra il 25% e il 40% che
finiranno nella prossima “spending review”. Per comprendere la portata
di queste riduzioni di spesa è opportuno ricordare che esse vanno a
sommarsi a quelle già decise negli anni scorsi e che avevano spesso
superato il 30% dei bilanci totali.
Per quanto riguarda i nuovi
piani di spesa militari, in ogni caso, l’attacco terroristico del 13
novembre scorso a Parigi e il clima di assedio alimentato in tutta
Europa da media e governi hanno fornito l’occasione per darne l’annuncio
in questi giorni.
Allo stesso modo, il gravissimo attentato ha
permesso a Cameron di resuscitare la richiesta di allargare l’impegno
militare britannico in Medio Oriente – ufficialmente contro lo Stato
Islamico (ISIS) – dall’Iraq alla Siria. Nel primo paese le operazioni
sono in corso da oltre un anno ma nel secondo l’ambizione del governo ad
autorizzare i bombardamenti aerei è stata finora frustrata.
Dopo
l’umiliazione del 2013, quando il Parlamento di Londra bocciò
l’aggressione militare contro la Siria in seguito alle accuse infondate
rivolte al regime di Assad di avere usato armi chimiche contro i civili,
Cameron era stato molto cauto nell’approcciare la crisi in questo
paese.
Alcuni mesi fa la questione dell’allargamento delle
operazioni alla Siria era tornata all’ordine del giorno, con una
richiesta di autorizzazione da presentare al Parlamento preparata dal
governo. Recentemente, però, l’iniziativa era stata condannata da una
commissione della Camera dei Comuni, la quale citava tra l’altro il
pericolo di complicare una crisi già quasi inestricabile e il rischio di
un conflitto diretto con la Russia da poco attiva militarmente al
fianco di Damasco.
Proprio
quando la risoluzione di guerra all’ISIS in Siria sembrava morta e
sepolta, la strage di Parigi l’ha rimessa in carreggiata e potrebbe
approdare al Parlamento di Londra già la prossima settimana. Osborne,
tuttavia, ha avvertito che il governo chiederà un voto sulla proposta
solo quando sarà certo di ottenere i voti necessari per l’approvazione.
Nel
frattempo, il premier Cameron ha anticipato il maggiore coinvolgimento
britannico in Siria nel corso dell’incontro di lunedì a Parigi con il
presidente francese, François Hollande. Il leader Conservatore si è
detto convinto che la Gran Bretagna debba unirsi alla Francia nel
bombardare l’ISIS in Siria e ha offerto ai caccia transalpini l’uso
della base della RAF di Akrotiri, a Cipro.
Cameron, dopo avere
fatto visita con Hollande al teatro Bataclan, dove gli attentatori hanno
fatto quasi un centinaio di vittime, ha anche auspicato l’adozione di
misure di sorveglianza ancora più severe. Soprattutto, il primo ministro
ha definito fondamentale la condivisione tra i membri dell’UE delle
informazioni relative a tutti i passeggeri degli aerei che viaggiano da e
per l’Europa, nonostante, come è emerso nei giorni scorsi, i servizi di
sicurezza francesi fossero stati chiaramente allertati da più parti
circa i movimenti e la pericolosità dei responsabili degli attacchi di
Parigi.
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