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30/11/2015

Terrorismo: quale prevenzione?

La maggiore pecca della lotta antiterroristica dei paesi occidentali è sicuramente l’assenza o l’insufficienza del contrasto politico e psicologico, tuttavia, i rimedi di natura politica o psicologica richiedono tempo e, nel frattempo, abbiamo il problema di bloccare l’offensiva terrorista ed impedire altri massacri e questo si fa sul piano di polizia e di intelligence. Il guaio peggiore è che, anche su questo piano, si sta facendo l’esatto contrario di quello che andrebbe fatto.

In primo luogo la moltiplicazione delle “misure a protezione” con militari in assetto di guerra nei pressi di uffici pubblici, chiese, luoghi di raccolta, poi metal detector stile aeroporto anche per visitare musei e chiese, entrare a concerti, presidi nelle stazioni ecc. ecc. sono un dispendio di soldi del tutto controproducente: quante volte avete visto azioni terroristiche fallite per il presidio militare del luogo o jihadisti arrestati per questi controlli? Tre o quattro casi in 15 anni. E’ solo un modo per dare una (infondata) sensazione di sicurezza ai cittadini, una sorta di effetto placebo che, però, quando poi l’attentato accade, diventa un effetto nocebo perché si risolve nel l’attribuire ai terroristi un’aura di invincibilità e, di riflesso, una patente di impotenza alle forze di polizia: quanto di peggio si possa fare. C’è una legge di comportamento per la quale il terrorista colpisce nel punto sguarnito e, siccome non è fisicamente possibile proteggere più del 10% dei possibili obiettivi (stazioni, aeroporti, treni, navi, aerei, caserme, commissariati, metropolitane, stadi, università, manifestazioni politiche, mercati all’aperto, uffici pubblici, ponti, chiese, scuole, musei, supermercati, autobus, cinema, teatri, eccetera eccetera), prima o poi l’attentato avverrà.

Con l’inutile spiegamento di forze in divisa si forniscono solo informazioni ai terroristi su quali sono le zone presidiate e quali no.

Sarebbe già preferibile seminare la città di agenti in borghese, telecamere occultate e collegate con sistemi informatici di riconoscimento facciale e lettura targhe, ronde in auto civili ecc. e tenere auto pronte a partire con agenti armati a bordo di jeep accuratamente nascoste in caserme ed autorimesse di commissariati e stazioni dei carabinieri, pronte a partire al primo segnale. Utili anche posti di avvistamento nascosti. Non è quello che impedirebbe attentati soprattutto di tipo suicida, ma creerebbe problemi ai terroristi che, pur dando per scontata la presenza di un apparato di sorveglianza, non sarebbero in grado di sapere con sicurezza dove esso è dislocato e questo, quantomeno, potrebbe rallentare il ritmo degli attentati, quel che sarebbe già un risultato, oppure potrebbe indurre in qualche errore da sfruttare.

In secondo luogo, chiudersi in difesa è sempre perdente. La miglior prevenzione è individuare ed arrestare i terroristi prima che compiano attentati, per questo occorre lavorare “nella massa” degli immigrati o dei turisti mediorientali, con molta pazienza, facendo meno errori possibile (che provocano reazioni molto negative), alla ricerca dello “jihadista sconosciuto”.

Identificare un insospettabile è un terno secco, perché sorvegliandolo con molta discrezione, spesso si risale tutta la filiera che, comunque, non va mai arrestata del tutto, perché qualcuno degli identificati conviene non prenderlo per vedere che contatti prende. Per identificare l’insospettabile si può partire da un gruppo base, ad esempio: mediorientale, maschio fra i 20 ed i 35 anni, senza precedenti di nessun genere, ed iniziare a scremare sulla base di una serie di indizi il nucleo da esaminare con più attenzione. Ad esempio se ciascun sospettato frequenta regolarmente la moschea e meglio ancora se “radicale” (per questo è un errore chiudere le moschee con imam radicali che, invece, vanno tenute aperte e tenute d’occhio), controllare dalla carta di credito (quelli che ce l’hanno) dove fa la spesa ed assumere come indizio se si serve presso negozi arabi e se gli acquisti nel periodo del Ramadan sono compatibili con quelli prescritti per il periodo di penitenza, se acquista alcoolici (controllare eventualmente le carte di fidelizzazione dei super mercati) controllare sulla scheda telefonica chi fa frequenti chiamate nei paesi del Mo, se frequenta internet point o uffici di moneygram o simili ecc. se fa spesso viaggi e dove.

Accumulato un certo numero di indizi base, si restringe l’area ad un gruppo molto più ristretto che si passa a controlli più stringenti: interessante è controllare se ciascun sospettato fa offerte votive, se risultano contatti telefonici con numeri sospetti, se alcuni degli indagati non sono in contatto fra loro, controllare i gradi di parentela con ricercati o con caduti o anche solo vittime di bombardamenti (spesso la vendetta è una delle motivazioni degli attentatiti soprattutto suicidi) e si procede ad una seconda scrematura. Ottenuto un numero sufficientemente ristretto si inizia con i controlli mirati, intercettazioni (se possibile avere interpreti fidati), pedinamenti molto discreti (meglio se fatti senza usare uomini, ma seguendo i tracciati telefonici), eventuale infiltrazione di confidenti nel posto di lavoro, fotografie, controlli sui posti frequentati, controllo delle mail (se possibile), eventuale controllo della postazione dell’internet point ecc.

Questo dovrebbe dare come risultato due o tre nomi di molto probabili jihadisti, che a quel punto vanno marcati a vista estendendo i controlli ai contatti abituali.

Altra pista importante è il monitoraggio costante dei siti jihadisti che invece, del tutto stupidamente, si vorrebbero chiudere. Al contrario vanno tenuti aperti ed osservati controllando (con un’opportuna opera di penetrazione dei server) i flussi di traffico (ad esempio è provato che nell’immediatezza dell’attentato in un paese, il flusso di traffico da e per quel paese con il Mo subiscono una impennata) per analizzare i contenuti dei testi, ma anche, aprendo falsi siti jihadisti, per disorientare, dividere e disinformare l’avversario, magari suggerendo tecniche di difesa dai servizi di sicurezza occidentali che, invece, avrebbero l’effetto di rendere riconoscibile lo jihadista ecc.

Infine, ovviamente, seguire la traccia del denaro, nell’epoca delle reti informatiche non dovrebbe essere cosa ardua e questo sia per capire chi e come li finanzia, ma anche per capire a chi vanno i rivoli di denaro che partono dalla centrale per sostenere questo o quel gruppo locale in Europa. Ma quando si parla di denaro i nostri servizi diventano stranamente rispettosi della Privacy.

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