I miliziani dello Stato islamico sfilano a Raqqa |
Mentre rimangono accese le luci rosse di allarme in Europa, Francia e Russia continuano a bombardare l’area di Raqqa, la capitale siriana del Califfato nero. Colpiti i villaggi di al-Zibari, Mo Hasan, al-Bo Omar, al-Mrei’iyyah e al-Bokmal. Forze armate dello Stato Islamico circondano completamente il perimetro della città di Raqqa. I civili che vivono ai margini della città lo fanno in campi spontanei. Al freddo. Senza acqua potabile. Senza latrine. Non ci sono tende delle Nazioni Unite. Non c’è la Croce Rossa Internazionale. Ci sono bambini scalzi mentre fuori la temperatura scende a quattro gradi. Ci sono donne incinte malnutrite. Ci sono uomini con gli occhi incavati senza lavoro.
I militanti hanno il pieno controllo di tutte le strade di accesso ai quartieri. Limitati ingresso e uscita nelle aree assediate. Anche l’assistenza umanitaria risulta limitata o, peggio, del tutto bloccata. Fermato ogni veicolo che trasporta verdure, grano e forniture di cibo. Una sciarpa rossa incornicia il viso smagrito di Ghaith. “Spesso siamo costretti a mangiare le foglie degli alberi e le piante selvatiche” ci racconta.
Campi spontanei alla periferia di Raqqa. Foto: Federica Iezzi |
Oltre all’accesso limitato, l’assedio è combinato a raid aerei e scontri a terra continui e violenti. I prezzi dei prodotti alimentari continuano a salire drammaticamente. Per un chilo di zucchero si paga quasi cinque euro. 51 euro per un chilo di tè. 380 euro per una bombola del gas. Il pane viene preparato in un solo panificio in città.
Abdel vive sotto un telone di plastica riparato da stracci e sopra un tappeto rosso e grigio, l’unico pezzo rimasto della sua vecchia casa nel quartiere di al-Shohadaa, a Raqqa. Ci dice: “non ci hanno permesso nemmeno di andare nelle zone controllate dal governo per ritirare i nostri stipendi. Le decine tra ministeri e governatorati, controllati da Daesh (noto anche come Is, Stato Islamico), non riconoscono il nostro lavoro”. Secondo una stima dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, almeno 640.000 siriani vivono in zone sotto assedio mentre infuria la guerra nel Paese.
Dallo scorso febbraio sono state riconosciute ufficialmente 11 aree assediate in Siria. Alle centinaia di migliaia di siriani che vivono in queste zone sono negate le necessità primarie: cibo, acqua e medicine. Centinaia sono le morti da cause prevenibili, come la fame, la disidratazione e la mancanza di cure mediche. Miran e Saben hanno un negozio di alimentari alla periferia di Raqqa. “Paghiamo un’imposta a Daesh di 44.000 libbre siriane al mese per il nostro negozio. A queste si sommano i costi dell’elettricità e dell’acqua. Ogni giorno per almeno 22 ore non c’è elettricità. E per queste due ore scarse paghiamo 3.000 libbre siriane al mese”. I guadagni sono nulli. I negozi restano chiusi durante il periodo di preghiera per cinque volte al giorno.
Distrutti dai raid aerei della Coalizione Internazionale e da bombe francesi e russe dirette sullo Stato Islamico, anche centrali elettriche e impianti di filtrazione per l’acqua. Adesso l’acqua viene estratta manualmente da falde acquifere contaminate da scarichi fognari e conservata malamente in contenitori di plastica. Non ci sono quasi più medici a Raqqa. Lo Stato Islamico ha perseguitato, torturato e ucciso chiunque curasse combattenti di altri gruppi ribelli. 670.000 bambini sono senza scuola o, peggio, solo con la scuola coranica. Niente più scienza, storia e arte, solo studi islamici distorti dal primitivo significato.
Pantaloni larghi che cadono sopra le caviglie senza lasciare nessun tratto di pelle scoperta. Burhan ci dice: “siamo costretti ad andare in moschea per la preghiera ‘in congregazione’. Sermoni con l’obiettivo del reclutamento. Non abbiamo neanche più la libertà di pregare da soli”.
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