Non ce lo mostra neppure l’onnipresente Al Jazeera il volto di Adel, eroe e martire di Burj el-Barajneh – cintura sud di Beirut, quartiere sciita e una delle roccheforti di Hezbollah – dove nel tardo pomeriggio del 12 novembre due miliziani del Daesh hanno seminato morte e falciato 43 persone. Usavano i loro corpi come mine, muniti della cintura da kamikaze. Una strage orrenda, come sono le stragi di civili, che sarebbe risultata ancor più sanguinosa se Adel, allertato da una prima esplosione e con gli occhi ingombri degli strazianti effetti sui concittadini, non avesse intuito i movimenti d’un secondo attentatore che cercava di raggiungere la moschea a quell’ora zeppa di fedeli. Sono stati un attimo, e un gesto fulmineo, quello con cui è volato sull’uomo-bomba, placcandolo come fanno le seconde linee del rugby. Così gli ha impedito d’ingigantire il massacro nel luogo di culto. Non è riuscito a fermare anche l’esplosione e il suo corpo, probabilmente atletico, di certo giovane, s’è smembrato nella deflagrazione assieme al kamikaze. Attorno s’è fatto il vuoto, poi riempito dai poveri resti di passanti.
La faccia di Jonah era nota a molti, se non a tutti. Essere campione di rugby, anche fra i mitici All Blacks, non è come essere Maradona. Ma Lomu, l’inafferrabile pantera rientra nella leggenda di quella meravigliosa frivolezza che è lo sport di fronte ai drammi del mondo, godeva d’una fama e una stima immense. Era un mito, alla maniera di Mohammed Alì e di pochi altri che qui non menzioniamo. Evitava con leggerezza e forza centinaia di prese che sui suoi muscoli mollavano o venivano trascinate via. Poi ce n’è stata una implacabile, decisa dal destino: malattia degenerativa ai reni. A 28 anni, a carriera ancora apertissima. Placcaggio, un gesto naturale presente in certa caccia felina, normale ma improbabile per i più in un’esistenza ormai globalmente sedentaria. Un corpo che scatta rapido e un altro che gli salta addosso; centosettanta o duecentottanta libbre, roba da fratture. Ma non è questo ciò che conta. Per farlo, oltre a saper saltare e cadere, conta il coraggio, di fare, prevedere, rubare nanosecondi a chi porta una palla ovale o dell’esplosivo.
Non sono la stessa cosa, ma in questo parallelo eretico, sarà per la vicinanza degli eventi, sarà per la cinica sorte subìta e per quella gestualità altruista che nobilita uno sport quasi fosse una battaglia civile, però la faccia arcinota di Jonah Lomu e quella sconosciuta di Adel Termos s’uniscono, come le ha unite la morte. Dedicata al suo popolo dal trentenne libanese, che assieme alle altre vittime di Beirut la catena mediatica occidentale ha rimosso, s’è detto perché concentrata sulla successiva tragica e sanguinaria altra impresa dell’Isis a Parigi. Mah... Dedicata a una specialità – il rugby – che il breve e travagliato percorso agonistico della statuaria trequarti ala di Auckland ha segnato per sempre. Vita e morte sono anche questo, pur quando sono sferzate da lutti imprevisti e dunque più dolorosi. Un martire e un simbolo, difficili da dimenticare.
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