Un colpo d’arma da fuoco potrebbe essere stato sparato ieri sera nell’area di Diyarbakır contro l’auto sulla quale viaggiava il leader del Partito democratico del popolo Selahattin Demirtaş. Il vetro antiproiettile ha resistito, ne è stata individuata l’ammaccatura solo quando la vettura è giunta a destinazione e s’è fermata. Non c’è certezza che la rientranza sulla superficie sia stata determinata da un colpo sparato, solo una perizia di tecnici della polizia darà una valutazione del colpo che potrebbe essere stato causato anche da oggetti acuminati (sassi o metalli) gettati sul veicolo. Ma non come un semplice lancio, visto il danno causato. Sulla sua incolumità Demirtaş si mostra serenamente fatalista, affermando che “la morte è comandata da Dio”. L’episodio, comunque, mette in allerta gli attivisti dell’Hdp, già fatti oggetto di agguati con ordigni esplosivi: quello occorso alla vigilia delle elezioni del giugno scorso mentre il leader kurdo teneva un comizio (4 morti). E il tragico attentato nella piazza della stazione di Ankara (102 vittime), dove, poco prima delle consultazioni del 1° novembre, si radunavano i partecipanti a una manifestazione sindacale e di quella sinistra d’opposizione sostenitrice del progetto democratico dell’Hdp.
In entrambe le azioni il sospetto ricade sulla componente eversiva dei Lupi grigi, ridimensionata ma pur sempre attiva, magari in relazione con le stesse Forze dell’Ordine impegnate da mesi in una dura repressione antikurda, anche per la ripresa delle azioni armate del Pkk. Oppure sugli stessi apparati del Mıt che, secondo taluni analisti, sarebbero tornati a fare un lavoro sporco per il sistema di potere erdoğaniano. La strage di Ankara viene ufficialmente attribuita all’Isis, della cui struttura operativa sono stati arrestati alcuni elementi. Però il doppiogiochismo del presidente-padrone con questa sigla e con chi c’è dietro (da Al Baghdadi alle Intelligence di varia sponda) rappresenta una pagina inquietante su cui s’interrogano le opposizioni, politica e informativa, soprattutto dopo la rivelazione compiuta dal quotidiano Cumhuriyet sulle fornitura di armi allo Stato Islamico. Per quella scoperta, documentata con un filmato che mostrava bombe nelle casse di medicinali in viaggio verso la Siria, il governo turco parlò di provocazione e montatura, senza rivelare o indagare da parte di chi. Mentre la polarizzazione interna alla nazione s’acuiva, ben poco l’Esecutivo ha fatto contro quei facinorosi dell’Akp che assaltavano sedi dei gruppi d’opposizione e dei media ancora liberi da censure, aggredendo persone e dando alle fiamme immobili. Sino a giungere ai recenti fischi con cui, sugli spalti dello stadio di Istanbul, è stato accolto il minuto di silenzio per le vittime di Parigi. Lì la pancia della Turchia islamica ha mostrato di sentirsi più prossima al Daesh che all’Europa.
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