Il Ministero della Difesa russo ha fatto sapere stamattina che il
secondo pilota del Su-24 abbattuto in Siria è salvo: è stato recuperato
dall’esercito di Damasco e ora si trova in una base russa nel territorio
siriano. Il secondo, in base ad una rivendicazione dei ribelli turkmeni, è
stato ucciso da colpi di armi da fuoco sparati mentre si lanciava con
il paracadute.
Ma il giorno dopo l’abbattimento del jet russo da parte
dell’aviazione turca, la tensione resta alle stelle. In mezzo ci sono
tutti: la Nato, gli Stati Uniti, Putin, Erdogan. I due paesi
hanno convocato i rispettivi ambasciatori e il ministro degli Esteri
Lavrov ha cancellato il previsto viaggio a Istanbul, mentre il
presidente turco affermava di non voler “alcuna escalation con la Russia
dopo l’incidente”. Una presa di posizione
apparentemente bizzarra, vista l’aperta sfida all’intervento russo in
Siria. “Difendiamo solo la nostra sicurezza e i diritti dei nostri
fratelli”, ha aggiunto Erdogan in riferimento a raid aerei russi che
avrebbero avuto come target gruppi armati turkmeni anti-Assad.
La Russia insiste: il nostro aereo era in territorio siriano. La
violazione dello spazio aereo turco sarebbe durata solo cinque minuti,
il necessario – secondo Ankara – per giustificare un intervento. La
realtà dei fatti è altra: la Turchia, che si sente messa in un angolo
dal protagonismo russo e vede messi in pericolo gli sforzi anti-Assad,
intende rimettere i piedi nella crisi siriana, con la copertura della
Nato. Eppure, a parole, il nemico è lo stesso: lo Stato Islamico.
Stamattina l’ambasciatore russo in Francia, Orlov, ha proposto una
missione comune anti-jihadista a cui prendano parte Francia, Russia,
Stati Uniti e anche la Turchia. Un chiaro tentativo di muoversi
sul piano diplomatico e mostrarsi ancora una volta come i più validi
negoziatori della crisi siriana, sfruttando gli ostacoli posti dal
fronte anti-Assad per screditarne la strategia. Anche per
questo ieri sera Mosca, per bocca del vice presidente del parlamento
russo, si è rivolta alla Nato chiedendo spiegazioni in merito
all’abbattimento del jet: “La Turchia è un membro Nato e ci attendiamo
spiegazioni non solo dalle autorità turche ma anche dall’Alleanza
Atlantica. Non possiamo considerare quanto successo se non come un atto
di aggressione. Dobbiamo rispondere con le misure necessarie”.
Un altro modo per mettere all’angolo la Nato e fare pressioni su una
Turchia apparentemente avventata: Putin ha già prospettato un
cambiamento nelle relazioni tra i due paesi, che hanno già raggiunto i
minimi storici. Lo stesso presidente Usa Obama, che aveva
all’inizio difeso il diritto turco a difendere i propri confini e la
propria sovranità, in una telefonata con l’alleato Erdogan ha espresso
l’intenzione di “evitare un’escalation e prendere le misure necessarie
ad evitare che simili incidenti accadano di nuovo”.
Alla fine è probabile che la provocazione turca abbia
conseguenze negative proprio su Ankara: nel tentativo di acciuffare per i
capelli la partecipazione diretta alla soluzione della crisi siriana,
imponendo i propri interessi e obiettivi, Erdogan ha commesso un errore.
Ha sfidato la super potenza che oggi ha in mano il maggior potere
contrattuale, diplomatico e militare, in Siria. La Nato, che ha
espresso solidarietà alla Turchia, sa di non potersi permettere una
rottura dei rapporti con la Russia, in un momento tanto delicato nei
negoziati promossi dalla comunità internazionale.
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