Moqtada al-Sadr è tornato. Non che fosse mai realmente andato via dall’ampio
palcoscenico politico dell’Iraq post-Saddam. Svestiti i panni del
leader militare, da mesi ha infilato quelli del riformista
moralizzatore, a capo di una campagna anti-corruzione che se da una
parte avalla le ambizioni del premier al-Abadi, dall’altra lo mette in
seria difficoltà.
Al-Abadi tenta ormai da mesi di realizzare un pacchetto di riforme
per combattere dall’interno la radicata corruzione delle istituzioni,
senza successo. Più volte il religioso sciita ha appoggiato a
parole i tentativi governativi, a volte lo ha fatto mandando in piazza
migliaia di suoi sostenitori. Un messaggio chiaro che oggi si ripete:
al-Sadr gode di un sostegno consistente ed è capace di mobilitare non
solo i civili nelle piazze ma anche uomini armati per le strade.
Le cosiddette Brigate della Pace, spin-off di quell’Esercito del Mahdi
che tanti grattacapi ha dato all’occupazione statunitense 10 anni fa.
Ora i sadristi tornano in piazza: sono migliaia quelli
radunatisi nel principale ponte di Baghdad premendo per entrare e
marciare nella Zona Verde, area fortificata e off limits della capitale,
definita dai manifestanti “un bastione del sostegno alla corruzione”,
un cancro le cui metastasi hanno per decenni intaccato l’intero corpo
istituzionale e militare iracheno e che oggi è uno dei principali
responsabili della mancata ricostruzione di infrastrutture ed economia.
Il governo ha tentato di impedire la manifestazione, nei giorni
scorsi, non riconoscendo l’autorizzazione a scendere in piazza: la
marcia è “illegale”, ha detto il governo chiedendone la cancellazione.
Richiesta rigettata da al-Sadr. Così le forze di polizia hanno posto
filo spinato sul punto che porta alla Zona Verde (sede di ambasciate,
parlamento e uffici governativi) e le unità anti-sommossa stanno
presidiando la zona, facendo temere l’esplosione di scontri. Il leader
ha avvertito i suoi sostenitori: “Nessuna arma, nessuna chiusura delle
strade, nessun assalto o disobbedienza”. Manifestanti non violenta e
basta.
Ma dietro alla marcia di oggi si cela anche la rivalità tra
poteri sciiti a Baghdad, più o meno legati all’Iran, longa manus che
controlla oggi l'Iraq. La richiesta di al-Sadr – che con Teheran
mantiene rapporti piuttosto freddi – è politica: la sostituzione dei
ministri con tecnici che non siano legati ad alcun partito, pena la
sfiducia al governo. Una settimana fa era stato lo stesso primo
ministro a muovere una richiesta simile al parlamento, la nomina di
tecnici indipendenti (che siano però fedele specchio della composizione
etnico-religiosa dell’Iraq, ennesima istituzionalizzazione dei
settarismi interni), scontrandosi però con la galassia di poteri
politici che non intendono vedere eroso il proprio potere.
Ma neppure il potere del religioso è da poco: se il blocco
parlamentare che guida, al-Ahrar, conta solo 34 seggi su 328, è nelle
strade che ottiene il sostegno maggiore, riuscendo a portare decine di
migliaia di manifestanti, se non centinaia di migliaia. Sempre più
sciiti guardano ad al-Sadr come figura credibile, l’opposto del mondo
corrotto che vive dentro le stanze dei bottoni. E gli effetti si
vedono anche sul parlamento: una 30ina di deputati si è detta pronta ad
unirsi al blocco di al-Sadr, una nuova coalizione mista, sciita,
sunnita e kurda, contro il potere costituito.
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