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01/03/2016

Le incognite del nuovo corso moderato irianiano

di Giorgia Grifoni

E’ festa, a Teheran, nel campo riformista. Con 92 seggi conquistati – secondo i risultati diffusi ieri a spoglio terminato – a fronte dei 115 andati ai conservatori e 44 agli indipendenti, l’ala riformista torna a posizionarsi nella politica iraniana. Non è però una vittoria totale: i risultati impressionanti della capitale Teheran, dove tutti e 30 i seggi sono andati ai moderati, non sono stati ripetuti nel resto del paese. E ci sono ancora 39 poltrone da assegnare nel ballottaggio di fine aprile, dato che secondo la legge elettorale iraniana i candidati devono ottenere almeno il 25 per cento dei consensi. Difficile fare previsioni certe sul reale aspetto di questo nuovo Parlamento, ma una cosa è certa: per Maziyar Ghiabi, ricercatore in scienze politiche e Medio Oriente all’Università di Oxford, si tratta di “un risultato politico che premia, nonostante tutti gli ostacoli, il governo di Rouhani, e reintegra cautamente il riformismo nel discorso politico iraniano”. E non è mica poco.

Innanzitutto, balza agli occhi la sostanziale impotenza del Consiglio dei Guardiani di fronte al rinnovato entusiasmo con il quale i riformisti hanno partecipato a queste elezioni: l’organismo preposto al controllo e all’ammissione dei candidati, composto da sei membri eletti dal Parlamento e sei nominati dalla Guida Suprema, non è riuscito infatti a filtrare fino in fondo le candidature, “permettendo” a 200 riformisti di partecipare al voto. Un risultato notevole, se si pensa che, per esempio, alle ultime presidenziali era stato ammesso un solo candidato riformista, Mohammed Reza Aref. “Un alto numero di candidati riformisti è stato squalificato – spiega Ghiabi a Nena News – cosa che ha fatto dire a qualche leader riformista di aver ‘vinto queste elezioni con le mani legate dietro la schiena’. In questa istanza, però, sarebbe stato molto rischioso rifiutare tutte le candidature riformiste perché ciò avrebbe provocato un forte astensionismo, con conseguenti danni alla legittimità del sistema della Repubblica islamica”.

Salutato dalla stampa internazionale come un “plebiscito su Rouhani” e sul nuovo corso moderato intrapreso dal presidente soprattutto dopo la firma dell’accordo sul nucleare, il voto rimane sicuramente un punto di svolta nella politica iraniana. Nonostante l’affluenza leggermente più bassa rispetto al 2012 (62 contro 64 per cento degli aventi diritto), la sua portata è innegabile. “Rispetto alle precedenti elezioni – spiega – i cambiamenti si possono definire come importanti. All’intero del paese cambia l’atmosfera politica, ci sarà meno ostracismo su questioni sociali e potrebbero essere introdotte misure di rilassamento su questioni civili. Quanto alla politica estera, il Parlamento ha un ruolo importante sopratutto su questioni che toccano l’indipendenza nazionale. Ma per il resto non cambierà molto, dato che le politiche sono decise da organismi conciliari in cui tutte le fazioni sono presenti, come il Consiglio di Sicurezza Nazionale e i Comitati parlamentari sulla Politica Estera”.

Le riforme su cui l’ala riformista ha puntato tutto, però, non sembrano immediate: “Sono le stesse dei tempi di Khatami. In primis – continua Ghiyabi – cercare di introdurre cambiamenti sull’eleggibilità dei candidati alle elezioni, questione che oggi è decisa dal Consiglio dei Guardiani. Si introdurranno anche riforme per facilitare gli investimenti privati ed esteri, per rilassare le norme dello spazio pubblico. Ma in verità c’è stata molta poca campagna elettorale, per cui il contenuto delle riforme per ora rimane vago. Nell’immediato queste riforme si possono discutere ma ci vorrà tempo prima che vengano approvate e implementate”.

Soprattutto, ci vorrà tempo prima che si delineino degli schieramenti compatti nell’emiciclo. A parte l’attesa per il ballottaggio di fine aprile a cui prenderanno parte 33 riformisti, altrettanti conservatori e 44 indipendenti, infatti, ci si chiede che tipo di ruolo avranno gli indipendenti. Non bisogna dimenticare che in Iran un vero e proprio sistema partitico non esiste: da qui la difficoltà a etichettare precisamente i candidati per affiliazione e per il ruolo che avranno nelle scelte legislative. “Ci sono molte correnti di pensiero all’interno dei campi politici iraniani – precisa Ghiyabi – e le linee guida non sono semplicemente morali/religiose, ma anche socio-economiche, regionali, etc. Il Parlamento rappresenta anche istanze locali ed è eletto su base territoriale, per cui in molti casi l’etichetta di conservatore o riformista non ha senso. Trattasi di candidati che hanno il sostegno di parte delle popolazioni locali e che portano istanze locali a livello nazionale. Ciò significa che possono schierarsi liberamente su questioni di altro tipo”.

Si è parlato molto in questi giorni del ritrovato ruolo dei riformisti, ma le previsioni sulla portata del loro peso effettivo nella nuova legislatura appaiono vaghe. Soprattutto per quel che riguarda l’Assemblea degli Esperti, organismo preposto alla nomina della prossima Guida Suprema. Secondo quanto riporta l’AP, dallo spoglio sarebbe emerso che riformisti e conservatori moderati abbiano ottenuto addirittura il 59 per cento degli 88 seggi dell’Assemblea. Se, come prevede la stampa internazionale, nei prossimi 8 anni il 76enne Ali Khamenei dovesse mancare o lasciare l’incarico, non è così scontato che il suo posto venga dato all’ayatollah Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, ex presidente in passato vicinissimo a Khamenei ma di fatto allontanato dalle alte sfere del potere per non aver mai condannato pubblicamente le manifestazioni dell’Onda Verde. “La scelta della prossima Guida Suprema – conclude – avverrà attraverso negoziati e discussioni che sorpasseranno quelle dell’Assemblea degli Esperti. Dubito che possa essere Rafsanjani che ha due anni in più dell’attuale leader. Io credo che prevarranno le valutazioni politiche su quelle religiose, per cui potremmo aspettarci una Guida Suprema che sia capace di ricoprire il ruolo di garante e mediatore. Un grande stratega. Il nome ce l’ho, ma non voglio bruciarlo”.

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