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03/03/2016

L’inutilità dell’Inutile: umanisti e museo delle cere

Recentemente mi è ricapitato per le mani un libretto di Nuccio Ordine, docente ordinario di Letteratura italiana nell’Università della Calabria, “L’utilità dell’inutile”, un libro che consiglio vivamente a tutti: si ride ad apertura di pagina. Qualche esempio a caso?
Lo sguardo puntato sull’obiettivo da raggiungere non permette più di cogliere la gioia dei piccoli gesti quotidiani e la bellezza che pulsa nelle nostre vite: in un tramonto, in un cielo stellato, nella tenerezza di un bacio, in un fiore che sboccia, in una farfalla che vola, nel sorriso di un bambino (p. 18)
Idee nuove, parole mai sentite, profondità inattingibili, ci manca solo che “di mamma ce n’è una sola” e che” le stagioni non sono più quelle di una volta”.

Oppure:
… se lasceremo morire il gratuito, se rinunceremo alla forza generatrice dell’inutile, se ascolteremo unicamente questo mortifero canto delle sirene che ci spinge a rincorrere il guadagno, saremo solo in grado di produrre una collettività malata e smemorata che, smarrita, finirà di perdere il senso di sé stessa e della vita. Ed allora, quando la desertificazione dello spirito ci avrà ormai inariditi, sarà davvero difficile immaginare che l’insipiente homo sapiens potrà ancora avere un ruolo nel rendere più umana l’umanità (pp.31-32)
Intervento della serie: “Comme me pesa sta capa uè”.

Ancora:
Certo non è facile capire, nel nostro mondo dominato dall’Homo oeconomicus, l’utilità dell’inutile e soprattutto l’inutilità dell’utile (quanti beni di consumo non necessari ci vengono venduti come indispensabili?) (p. 17)
E tu perché li compri?

Continuo?
… (queste) parole capaci di far vibrare le corde del nostro cuore, di testimoniare quanto la pretesa inutilità dei classici possa invece rivelarsi un utilissimo strumento per ricordare – a noi ed alle future generazioni, a quegli esseri umani a disponibili a lasciarsi infiammare  – che il possesso ed il profitto uccidono, mentre il ricercare svincolato da qualsiasi utilitarismo, può rendere l’umanità ben più libera, più tollerante e più umana  (pag 196-7)
Disponibili a lasciarsi infiammare? Nel senso che possiamo dargli fuoco? Pronto ad accontentarvi…

Mi fermo qui per non togliervi il gusto della scoperta, se andassi avanti avvertireste un senso di sazietà e non correreste in libreria ad acquistare questo classico dello humor, che riesce a piegare citazioni raffinatissime (Baudelaire, Boccaccio, Shakespeare, Gramsci, Panofsky, Battaille, Lessing e cento altri) a formule di disarmante banalità, che neppure Massimo Catalano di “quelli della Notte” avrebbe saputo trovare.

Ovviamente, nel testo troverete le solite tirate sul sapere “che ci rende migliori”, che affina il “senso critico”,  contro la “dittatura del profitto”, sui parametri fatti per misurare la “quantitas e non la qualitas” eccetera eccetera. L’ordinario Ordine è un grandissimo banalista, autore di un catalogo dei luoghi comuni da fare invidia a Flaubert.

Ma anche la letteratura umoristica può prestarsi a qualche considerazione seria o semiseria. Ad esempio, va detto che economisti e giuristi sono “umanisti” anche loro (d’accordo, gli economisti sono capre, ma sono pur sempre umanisti) e nessuno pensa di fare a meno del loro sapere.

A quanto pare, il problema riguarda i docenti di Lettere, ma solo i docenti, dato che le librerie sono colme di romanzi, raccolte di versi e di racconti, diari eccetera che, crisi permettendo, vendono molto bene. Ed anche libri, dvd, wargame ecc. a carattere storico vanno abbastanza bene e gli accessi ad internet di questi siti sono molto frequentati. Un loro spazio confermano anche sociologia e politologia. Magari hanno meno successo librario i testi di filosofia o di psicologia, che sono generi di nicchia – per quanto non proprio irrilevanti – ma questo è sempre stato così e non c’è una particolare novità.

Insomma non pare che la gente abbia voglia di rinunciare al sapere umanistico e che sia alle viste un crollo di esso. Qui il problema è la riduzione dello spazio di queste discipline negli orari scolastici e nella distribuzione di cattedre e risorse tanto nelle medie superiori quanto nell’università. Il che è il prodotto della vulgata neo liberista che, effettivamente, rappresenta un catastrofico regresso culturale (e si pensi solo alla scomparsa della geografia dagli orari scolastici). Ma va anche detto che i fini intellettuali umanisti che occupano cattedre universitarie, scrivono come opinionisti sui giornali, affollano i salotti televisivi ecc. non abbiano mosso un dito per contrapporsi al pensiero neo liberista (che probabilmente non capiscono). L’ordinario Ordine, nel libro tuona contro l’università-impresa che considererebbe gli studenti come clienti (magari!), ma non ricorda che tanto in occasione del movimento della pantera (1990) quanto in quella dell’Onda (2008) furono pochissimi i docenti che si schierarono con gli studenti e gli “umanisti” furono i più ostili. E mi venite a parlare di difesa del sapere umanistico?

La verità è che, il messaggio, che arriva è “Teniamo famiglia”. Basta con i tagli di posti nelle nostre facoltà che abbiamo gente da sistemare”. Ma a noi viene un dubbio: non sarà che gli attuali “umanisti” non abbiano niente da dire? E non certo perché le rispettive discipline non abbiano da offrire strumenti utilissimi per la comprensione del presente, ma perché loro non sono all’altezza del compito.

Certo che con questi argomenti, uno che legge le ordinate riflessioni di Ordine, chiude il libro e si convince che i neo liberisti più assatanati hanno ragione a proporre la chiusura delle facoltà di lettere e mandare tutti gli umanisti a raccogliere cicorie (peraltro, attività socialmente utile e degnissima).

Perché, invece, non proviamo a parlare dell’utilità di Letteratura, Storia, Filosofia, Psicologia, Sociologia, Antropologia, magari scansano la trita retorica del “sapere critico” della “conoscenza che ci migliora” eccetera eccetera e magari entrando un po’ più nel merito di quello che possono dare effettivamente nel nostro tempo. Ma questo richiederebbe agli “umanisti” di rimettersi seriamente in discussione ed uscire dal museo delle cere in cui vivono.

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