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01/07/2016

L’algoritmo domina il mondo e non sente ragioni

I non geniali aficionados della teoria del “lavoro cognitivo” – Toni Negri e dintorni – si chiederanno un giorno dov’è l’errore. Ma sta di fatto che la sussunzione reale da parte delle macchine del lavoro un tempo definito “intellettuale” (perché non basato fondamentalmente sull’uso degli arti e misurabile in fatica muscolare) prosegue a ritmo ora persino superiore a quel che avviene nel lavoro “manuale”.

Sembra sorprendente la notizia che riferisce di migliori performance di borsa da parte degli algoritmi rispetto ai trader umani, anche in un momento di tempesta come il voto britannico contro la permanenza nell’Unione Europea. Poche cose vengono associate al “fiuto”, all’istinto genialoide o alle notizie riservatissime, quanto la speculazione finanziaria. Roba da “illuminati”, da sperimentati conoscitori di trappole ignote ai più. E invece basta un buon algoritmo – scritto naturalmente da altri esseri umani “cognitivi” – per sbaraccare un universo di credenze a loro modo fascinose (il cinema statunitense abbonda di ottimi titoli sul tema).

Il segreto, spiega l’articolo che segue, apparso su IlSole24Ore di oggi, sta nella mancanza di umanità. Gli algoritmi per gestire in automatico le transazioni vengono elaborati certamente da esseri umani, ma prendono necessariamente in considerazione scenari e situazioni standardizzate, processando quantità enormi di dati che non troverebbero mai spazio in un cervello umano e reagendo alle variazioni a una velocità inconcepibile persino per il Muhammad Alì dei tempi d’oro.

Una volta stabilite le possibili “strategie”, l’algoritmo procede in base a una serie di if e then, dove l’evento emotivamente eccezionale viene stemperato in quantità definite o definibili. Non che siano esclusi i margini di errore (alcuni crolli clamorosi della borsa Usa, come il lunedì nero di Wall Street, nel 1987, furono ingigantiti dalle vendite in automatico), ma l’esperienza li ha per un verso ridotti, per un altro sottratti all’emotività.

Sembra una buona notizia, e in parte lo è davvero. Ma applicando il ragionamento all’andamento post-referendum britannico ne vien fuori che hanno sbagliato “gli umani” che hanno creduto alle possibili conseguenze catastrofiche – sul piano finanziario – della Brexit. Mentre gli algoritmi, con classico aplomb inglese, hanno continuato a macinare dati e trovare soluzioni “non emotive”. Keep calm, insomma, e pensa ai rendimenti...

Non paradossalmente, questa constatazione toglie molto alla possibilità che “i mercati” riescano a “vendicarsi” sull’economia britannica. Certo, le agenzie di rating hanno abbassato il loro voto; certo, una serie di accordi commerciali andranno rinegoziati... Ma finché non avviene gli algoritmi continueranno a macinare dati secondo criteri consolidati. Servirà dunque molto tempo e molta “politica” perché quei criteri possano essere seriamente modificati. O sostituiti con decisioni “gordiane”.

Qualcuno dirà: “ma con la Grecia ci sono riusciti in un amen”. Vero. Negli algoritmi finanziari la Grecia pesa come un mosca, Londra come un elefante, e la differenza quantitativa si tramuta rapidissimamente in qualitativa. In secondo luogo, la Gran Bretagna stampa sterline, dunque la Bce non poteva bloccare la liquidità nei bancomat e seminare il panico, com’è avvenuto per Atene.

Ma la notizia è comunque pessima, perché significa che non esiste alcun vero “governo del mondo” al di fuori di questi algoritmi (manipolabili, come si è visto per lo scandalo del Libor-Euribor). Che, insomma, quando ci dicono “i mercati non permetteranno questo o quello”, ci stanno dicendo al tempo stesso una cosa vera (viaggiano in automatico, non guardano in faccia a nessuno, ma “soppesano” ogni variabile), e una cosa assolutamente falsa. Perché sono impersonali, privi di volontà propria, se non quella del flusso incessante che deve continuare.

Che spazio trovano in questo quadro, i classici dilemmi e i tempi decisionali della democrazia? Datevi una risposta.

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Il robot batte l’uomo e «guadagna» con Brexit 

Vittorio Carlini

Gli algoritmi? Con la Brexit hanno guadagnato. Non tutti, è ovvio. Ma ciò che emerge dai dati è chiaro: i robot, negli scambi post-referendum, si sono tolti la soddisfazione di battere gli umani. Gli hedge fund, venerdì scorso, complessivamente hanno perso soldi. Secondo l’Hfrx Global Hedge Fund index la loro performance è risultata in calo dell’1,1%. Guardando, però, ai singoli fondi salta fuori che diversi operatori sono andati in controtendenza. Così, ad esempio, è il caso di uno dei fondi di Lynx Asset Management che ha guadagnato oltre il 5%. Oppure del francese Capital Fund Management. Tutti investitori (e gli esempi potrebbero continuare) con un unico comune denominatore: l’approccio matematico-quantitativo.

Una modalità di trading che, evidentemente, ha permesso di evitare gli abbagli presi dal resto del mercato. Già, gli abbagli. Ma quali, allora, le concrete mosse che hanno portato a simili risultati?

Una tra tutte, anche a livello d’impostazione della strategia, è stata la maggiore capacità di prescindere dalle proprie convinzioni. Cioè: molti investitori, al di là dei mille e più sondaggi commissionati, hanno inconsciamente operato nel modo più consono alle loro aspettative. È un classico errore, studiato dalla finanza comportamentale, di cui i trader professionisti avrebbero dovuto essere consapevoli. Così, invece, non è stato.

Il mondo della finanza, si sa, era di fatto schierato contro la Brexit. Nell’operatività concreta questa aspirazione non avrebbe dovuto inserirsi. Soprattutto in un contesto, come quello del referendum, dove da un lato i due opposti schieramenti erano molto vicini tra loro. E, dall’altro, c’è stato un evento emotivamente drammatico quale l’assassinio della parlamentare Jo Cox.

Evidentemente, però, l’essere umano non è (per fortuna) un robot. Di qui uno dei motivi del risultato di molti Hedge Fund.

Risultato che, invece, è stato interpretato correttamente da chi, per l’appunto, ha puntato sui sistemi quantitativi e automatici. È il caso di uno dei fondi della californiana Altegris. «La nostra strategia – spiega al Sole24ore Lara Magnusen, Portfolio Manager di Altegris Futures Evolution Strategy Fund – si basa essenzialmente sull’individuare, attraverso ad esempio serie storiche dei prezzi, gli andamenti di lungo periodo dei diversi asset».

Un approccio statistico che consente, tra le altre cose, di eliminare i rumori di fondo presenti sul mercato.

Così è stato, per l’appunto, con il voto britannico. In particolare rispetto ai sondaggi pubblicati subito dopo la chiusura delle urne. In quel momento la convinzione generale era che il «Remain» avrebbe vinto. Un contesto in cui l’operatore umano, fin lì convinto del successo della «Brexit», sarebbe stato indotto a cambiare posizione. Non, però, il robot. «Il trend di lungo periodo non era mutato – spiega Magnusen -. Il nostro sistema automatico ha proseguito nella sua strategia». La quale, alla fine, si è rivelata quella giusta.

Insomma: la presenza umana, tra emotività ed errori cognitivi, può essere stata un handicap. Giusto? Sbagliato? Difficile dire.

Di certo, alla base della sostituzione del trader-persona con il robot, c’è soprattutto la convinzione che l’investitore non sia realmente razionale. Vale a dire: gli operatori, nel momento in cui comprano o vendono, sono incapaci di massimizzare il profitto (o minimizzare la perdita). Di qui l’utilità dell’algoritmo.

Un’impostazione che, unita anche alla necessità d’interpretare in poco tempo un’enorme mole di informazioni (big data), spinge sempre di più verso l’automazione degli investimenti. Tanto che non deve sorprendere che, secondo gli ultimi dati, oltre il 65% degli scambi azionari globali sia nelle mani dei robot.

Tutto rose e fiori, quindi? Ovviamente no. Al di là del problema legato all’High frequency trading, il rischio è di considerare i titoli semplici numeri. Asset slegati dalla realtà che rappresentato e che vengono scambiati solo in funzione di correlazioni o particolari livelli di quotazione. Un mondo dove la Borsa non è più il luogo dove le aziende trovano fonti d’investimento alternativo alle banche. Bensì una piattaforma attraverso cui fare (solamente) soldi dai soldi.

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